Da tempo la comunità scientifica è concorde nel ritenere che non vi sia un chiaro legame tra gli eventi atmosferici e i terremoti: la convinzione, da sempre, è che gli eventi sismici possano influenzare le falde sotterranee, ma non l’eventuale formazione di piogge, e allo stesso modo che pioggia e neve non siano in grado di esercitare sulla crosta terrestre un’azione sufficiente a spiegare i grandi terremoti.
L’immagine evidenzia lo stress delle faglie della California che cambia di mese in mese a causa del carico dell’acqua nelle montagne che circondano la valle centrale. In particolare, ben visibile, il picco di stress sulla faglia di San Andreas durante la seconda parte dell’estate e l’autunno, mentre le faglie ad est della Sierra Nevada mostrano stress di punta alla fine della primavera e all’inizio dell’estate.
Tuttavia uno studio del 2017 della Berkeley University pubblicato sulla rivista Science sembra suggerire che in realtà le variazioni stagionali di precipitazioni (piovose o nevose) siano in grado di influenzare almeno i sismi di minore intensità!
Gli autori dello studio infatti hanno analizzato tutti gli eventi simici che hanno colpito la California nel periodo compreso tra il 2006 e il 2014 e li hanno correlati ai quantitativi di pioggia e neve caduti nel medesimo arco temporale. In questo modo hanno scoperto un legame evidente tra i due fenomeni: in alcune aree i terremoti diventano più frequenti nei periodi asciutti, in altre zone invece il loro numero aumenta quando cadono grandi quantità di pioggia o neve.
Stoccaggio dell’acqua in California mese per mese dal 2006 al 2014, stimato dalla rete GPS regionale. Il rapporto è lo spessore medio dello strato di acqua su una griglia di 25 chilometri. Il blu rappresenta il carico dell’acqua superiore alla media, mentre il rosso è inferiore alla media. I mesi estivi sono caratterizzati da una perdita di acqua nella Sierra Nevada e nella valle centrale che viene poi interessata dalle precipitazioni durante i mesi invernali più piovosi, mentre le falde si riempiono e la neve si accumula. Nella valle centrale, lo stoccaggio dell’acqua è in continua diminuzione a causa dell’agricoltura su larga scala. La variazione stagionale della massa deforma la crosta e le modifiche dello stress associate modulano la sismicità regionale.
Del resto il peso della neve e dell’acqua si accumula nei bacini idrici infatti è enorme e può spingere la crosta terrestre verso basso di alcuni millimetri, per poi consentire il rigonfiamento della stessa quando, nella stagione estiva, la neve si scioglie e i bacini idrici si svuotano. Così, in base all’orientamento della faglia e alle caratteristiche del territorio, grandi quantità di neve e acqua possono contribuire a tenere unita la frattura (e inibire quindi i movimenti sismici) piuttosto che metterla maggiormente sotto stress favorendone al contrario le oscillazioni.
In ogni caso gli studi condotti dai ricercatori americani mostrano un legame evidente solo per terremoti relativamente deboli, alcuni anche avvertibili dall’Uomo ma comunque sempre di magnitudo piuttosto bassa. Non si è evidenziato invece alcun legame chiaro tra il regime delle precipitazioni e gli eventi sismici più importanti.
Nel 2010, la faglia di San Andreas (immagine sinistra, rosso e arancione) ha avuto la punta di stress nel mese di settembre dopo che la neve e il deflusso hanno permesso alle montagne di “rimbalzare”. Le faglie ad est della Sierra Nevada (rosso e arancione) hanno subito la punta di stress nel marzo dell’anno successivo.
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