Correlazione tra inquinamento atmosferico e danni cerebrali: il parere della scienza

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Correlazione tra inquinamento atmosferico e danni cerebrali: il parere della scienza

Studi epidemiologici hanno collegato l’aria inquinata alla demenza e ad altri disturbi cerebrali. Ora i ricercatori stanno cercando di determinare in che modo gli inquinanti provocano danni e quanto danneggiano
di Liam Drew/Nature
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Lo smog oscura la vista dal monte Saad Abad, a nord della capitale iraniana Teheran, a causa degli alti livelli di inquinamento atmosferico che hanno avvolto i punti di riferimento della città. (Atta Kenare/AFP via Getty Images) ()

Nel 2012, Deborah Cory-Slechta dell’Università di Rochester, New York, ha ricevuto un “secchio di cervelli”. Un collega stava studiando in che modo l’inquinamento atmosferico nei dintorni dell’università danneggi il cuore e i polmoni dei topi e aveva chiesto a Cory-Slechta di controllare se il cervello degli animali fosse danneggiato. Essendo uno specialista della neurotossicità da piombo, Cory-Slechta ricorda di aver pensato: “Inquinamento atmosferico? Quanto può essere grave?” Ma ciò che ha visto in quei cervelli è stato così “sbalorditivo”, spiega, che ha spostato il suo obiettivo di ricerca.

Concentrarsi sul modo in cui l’inquinamento atmosferico danneggia il cervello ha portato Cory-Slechta in un territorio inesplorato. È ormai assodato che l’inquinamento atmosferico, sotto forma di particolato, ozono o altri gas tossici, contribuisce all’asma, al cancro ai polmoni e ad altre malattie respiratorie, e che il particolato contribuisce soprattutto alle malattie cardiache. Ma all’epoca, dice l’autrice, poche persone che studiavano l’inquinamento atmosferico erano interessate al cervello e ancora meno neuroscienziati erano interessati all’inquinamento atmosferico. Le sue presentazioni ricevettero così poca attenzione ai congressi di neuroscienze che smise di partecipare alle riunioni.

Ora quest’area di ricerca sta ricevendo maggiore attenzione e suscita preoccupazione in tutto il mondo. Uno studio dopo l’altro ha dimostrato che livelli più elevati di inquinamento atmosferico sono correlati a un maggior rischio di demenza, oltre che a tassi più elevati di depressione, ansia e psicosi. I ricercatori hanno anche riscontrato legami con patologie del neurosviluppo, come l’autismo, e deficit cognitivi nei bambini.

Nel 2020, l’autorevole Commissione Lancet sulla demenza ha riconosciuto l’inquinamento atmosferico come fattore di rischio per la condizione e, nel suo rapporto di follow-up dello scorso anno, ha dichiarato che l’esposizione al particolato atmosferico “è ora di grande preoccupazione e interesse”. Nel frattempo, un rapporto del 2022 del Comitato sugli effetti medici degli inquinanti atmosferici del governo britannico ha chiesto di intensificare la ricerca sui legami dell’inquinamento atmosferico con la demenza. Allo stesso modo, le linee guida globali sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) del 2021 sottolineano l’importanza di studiare gli effetti neurologici dell’inquinamento atmosferico su giovani e anziani.

L’OMS stima che il 99 per cento della popolazione mondiale sia esposta a livelli di inquinamento superiori a quelli raccomandati, e molte città dei paesi a basso e medio reddito hanno una qualità dell’aria particolarmente scadente. Ma non sono solo le megalopoli, come Città del Messico e Delhi, a essere a rischio. “Anche un’esposizione di basso livello che si ritiene abbastanza sicura per la salute pubblica sta facendo qualcosa a livello cerebrale”, afferma Megan Herting, neuroscienziata alla University of Southern California di Los Angeles.

I ricercatori devono ora provare a individuare i meccanismi alla base di questi problemi per adottare misure volte a mitigarli, afferma Ian Mudway, tossicologo ambientale dell’Imperial College di Londra e coautore del rapporto 2022 per il Regno Unito. Per Mudway, la domanda da un milione di dollari è: “Che cosa c’è nell’inquinamento atmosferico che provoca questi effetti?”

Creare collegamenti

Gli studi sul cervello di bambini e cani condotti a Città del Messico tra la fine degli anni duemila e l’inizio del 2010 sono stati tra i primi a lanciare l’allarme sulla neurotossicità dell’inquinamento atmosferico. Le neuroimmagini hanno rivelato che molti più bambini che vivevano nella città altamente inquinata presentavano lesioni nei tratti di materia bianca che collegano tra loro le regioni cerebrali rispetto ai bambini delle aree meno inquinate, con la corteccia prefrontale che sembrava particolarmente vulnerabile. Inoltre, i bambini di città, senza altri fattori di rischio per i disturbi cerebrali, hanno ottenuto risultati relativamente scarsi nei compiti cognitivi.


L’inquinamento è una miscela estremamente complessa di componenti gassosi e particolati che differiscono a seconda della fonte. Gli scarichi dei veicoli e la produzione industriale sono le principali fonti di particelle di varie dimensioni, ma anche i fornelli, gli incendi e la polvere del deserto contribuiscono. La combustione dei carburanti e altre fonti rilasciano ossidi di azoto e di zolfo, monossido di carbonio e ozono. Studi condotti in diversi paesi, compresi quelli in cui le normative hanno migliorato drasticamente la qualità dell’aria negli ultimi decenni, hanno rilevato associazioni tra l’inquinamento e specifici disturbi cerebrali.

Un’analisi del 2023 su oltre 389.000 partecipanti alla UK Biobank ha dimostrato che l’esposizione a lungo termine al particolato atmosferico, all’ossido di azoto e al biossido di azoto è correlata a livelli più elevati di depressione e ansia. L’autore principale, Guoxing Li, tossicologo ambientale all’Università di Pechino, in Cina, sottolinea che anche livelli di esposizione molto bassi aumentano il rischio di queste condizioni.

Il mese scorso, uno studio di 16 anni su oltre 200.000 residenti in Scozia ha rilevato che una maggiore esposizione cumulativa al biossido di azoto è associata a un aumento dei ricoveri ospedalieri per disturbi mentali e comportamentali.

Nel frattempo, studi condotti in Francia, Stati Uniti e Cina hanno documentato che nelle regioni in cui la qualità dell’aria è migliorata, sono diminuiti i tassi di demenza, declino cognitivo e depressione nelle popolazioni più anziane.

Studi osservazionali hanno anche collegato l’inquinamento atmosferico a cambiamenti strutturali nel cervello, come la riduzione del volume dell’ippocampo, che sono coerenti con un aumento del rischio di demenza negli adulti più anziani. Gli studi di Herting sui dati di neuroimaging provenienti dai cervelli in via di sviluppo di migliaia di giovani in tutti gli Stati Uniti suggeriscono che l’inquinamento atmosferico altera lo sviluppo dei tratti di materia bianca. L’anno scorso, il suo gruppo ha riferito che un aumento dell’esposizione all’inquinamento atmosferico sembra alterare la comunicazione tra le regioni cerebrali.

Tuttavia, secondo Herting, questi studi non hanno ancora trovato una chiara configurazione del danno. Sospetta che la tempistica dell’esposizione durante lo sviluppo possa influenzare la vulnerabilità.

Nonostante tutte le prove che collegano l’inquinamento atmosferico ai danni al cervello, i ricercatori affermano che è difficile individuare una causa chiara usando solo studi osservazionali. Per esempio, le persone che vivono in comunità povere, che spesso respirano l’aria di qualità peggiore, hanno probabilmente più fattori di rischio per i disturbi cerebrali, lo stress, un livello di istruzione più basso e l’obesità, rispetto a chi vive in aree a reddito più elevato. Inoltre, molti studi esistenti stimano l’esposizione sulla base degli indirizzi di residenza, senza tenere conto di come le professioni e gli stili di vita delle persone influenzino la loro esposizione.

I tipi specifici di inquinanti che le persone respirano sono quasi certamente importanti, dicono i ricercatori. Le misurazioni standard della qualità dell’aria si basano sui livelli dei componenti gassosi primari e del particolato con diametro inferiore a dieci micrometri (PM10) o 2,5 micrometri (PM2,5). Ma le particelle sospese nell’aria trasportano una serie di sostanze chimiche, da semplici sali a innumerevoli composti altamente tossici, che variano da un luogo all’altro. “Tutte le particelle sono considerate ugualmente tossiche”, afferma Mudway, “eppure sono un miscuglio di tutte le sostanze chimiche – centinaia di migliaia di sostanze chimiche – presenti nell’aria.”

Inoltre, le particelle ultrafini non sono monitorate di routine, osserva Cory-Slechta. Eppure, le particelle di dimensioni inferiori a 100 nanometri sono le più reattive dal punto di vista chimico e quelle che hanno maggiori probabilità di penetrare nel corpo e nel cervello.

Le scansioni cerebrali mostrano aree di ridotto spessore corticale (regioni colorate) nei bambini esposti a livelli più elevati di inquinamento da traffico durante il primo anno di vita (© T. Beckwith et al./PLoS ONE/CC-BY-4.0)

Anche senza questa lacuna nei dati di monitoraggio, secondo Mudway, gli studi osservazionali sulle persone che respirano molti inquinanti non possono isolare le sostanze chimiche responsabili per ottenere una comprensione dei rapporti causali. Le malattie cardiovascolari sono un noto fattore di rischio per la demenza. I danni che l’inquinamento atmosferico provoca al cuore e ai vasi sanguigni sono un altro fattore confondente. “L’unico modo per svelarlo”, spiega Mudway, “è la sperimentazione”.

In laboratorio

Gli studi di laboratorio possono dimostrare, per esempio, che in condizioni controllate i cocktail di inquinanti presenti nell’aria danneggiano il cervello. Questo è ciò che Cory-Slechta ha visto nel 2012, quando ha confrontato il cervello di topi che avevano respirato aria proveniente da tutta l’università con quello di topi che avevano respirato aria filtrata. Studi successivi effettuati dal suo laboratorio hanno dimostrato che i topi esposti alle particelle ultrafini durante lo sviluppo – anche nel grembo materno, attraverso la respirazione delle madri – presentano un ingrossamento dei tratti di materia bianca e dei ventricoli cerebrali. I topi esposti durante lo sviluppo hanno mostrato una maggiore impulsività e deficit di memoria a breve termine.

I cambiamenti fisici del cervello si sovrappongono in parte a quelli riscontrati nelle persone affette da patologie del neurosviluppo come l’autismo e la schizofrenia. Negli animali anziani, l’inquinamento atmosferico sembra accelerare la deposizione delle proteine amiloidi e tau associate alla malattia di Alzheimer. Altri studi sugli animali hanno rilevato danni a livello anatomico, cellulare e molecolare.

Anche se i segni del danno variano da uno studio all’altro, Caleb Finch, ricercatore che si occupa di invecchiamento alla University of Southern California, afferma che c’è un aspetto comune: “È una risposta infiammatoria”, chiarisce. Gli studi effettuati dal suo laboratorio e da altri dimostrano che sono attivati i geni che mediano le risposte infiammatorie; i messaggeri associati all’infiammazione diventano più abbondanti; ci sono segni di stress ossidativo e si attivano le cellule microgliali che percepiscono i danni e proteggono i neuroni. Secondo Finch, sono interessate tutte le principali classi di cellule cerebrali.

Se la responsabilità è dell’infiammazione, questo potrebbe spiegare perché l’inquinamento atmosferico è un fattore di rischio per diverse malattie. L’infiammazione è associata a disturbi dell’umore e al declino legato all’età e ha il potenziale di interrompere lo sviluppo. L’infiammazione “fa sì che i sistemi funzionino un po’ meno bene”, chiarisce Herting. “Poi, altri fattori ambientali e di sviluppo che si verificano nella vita quotidiana possono contribuire a far pendere l’ago della bilancia verso uno o l’altro disturbo.”

I ricercatori stanno iniziando a chiedersi quali siano i numerosi inquinanti atmosferici che provocano l’infiammazione e come la innescano. Studi postmortem su cervelli umani forniscono la prova diretta che numerosi inquinanti – tra cui nanoparticelle e metalli tossici – si accumulano nel tessuto cerebrale. Le particelle ultrafini e le sostanze chimiche provenienti dalle inalazioni di PM2,5 e PM10 possono passare dai polmoni al sangue e attraversare la barriera emato-encefalica fino al cervello. Ma queste particelle possono anche raggiungere direttamente il cervello viaggiando dalle cavità nasali lungo i nervi olfattivi e potenzialmente attraverso altri nervi, aggiunge Cory-Slechta.


Cory-Slechta sospetta che il cervello non sia in grado di gestire le concentrazioni di metalli che ne derivano, visto che per decenni i patologi hanno riscontrato livelli elevati di vari metalli nel cervello di persone affette da malattie neurodegenerative. La ricercatrice sta ora studiando come i metalli alterino la chimica cerebrale, anche somministrando ai topi varie preparazioni di nanoparticelle che contengono un solo metallo ciascuna.

Ma non è necessario che gli inquinanti arrivino al cervello per causare danni. I contaminanti nel sangue potrebbero infiammare la barriera emato-encefalica in modo da innescare l’infiammazione in tutto il cervello. In alternativa, l’infiammazione polmonare potrebbe rilasciare molecole di segnalazione endogene che, a loro volta, influenzano la barriera e il cervello stesso, afferma Paul Matthews, neuroscienziato clinico al Rosalind Franklin Institute di Didcot, Regno Unito.

La plausibilità di questi meccanismi ha convinto Matthews, dopo decenni di studi sulle malattie neurologiche, a unire le forze con Mudway nel 2021 per studiare l’inquinamento atmosferico. La coppia sta ora testando queste idee in sistemi di colture cellulari che fungono da modelli per la barriera emato-encefalica e in volontari umani che hanno una storia familiare di demenza. I volontari respirano in laboratorio diversi inquinanti atmosferici, come le emissioni del traffico o il fumo di legna. I test cognitivi determineranno se l’inquinamento influisce sulle funzioni cerebrali e i campioni di sangue saranno analizzati per individuare le molecole circolanti che scatenano l’infiammazione e le sostanze chimiche rilasciate quando il cervello è infiammato.

Sapere chi è più suscettibile ai danni dell’inquinamento atmosferico è importante per comprendere il rischio e potrebbe indicare i meccanismi, dicono i ricercatori. L’inquinamento atmosferico potrebbe aumentare il rischio di Alzheimer in misura maggiore nelle persone con la variante genetica APOE4, un noto fattore di rischio per l’Alzheimer, dice Finch. Altri lavori nei topi e negli esseri umani indicano potenziali differenze di sesso nella vulnerabilità all’inquinamento atmosferico, che potrebbero dipendere dallo stadio della vita al momento dell’esposizione, afferma Cory-Slechta.

Le sfide rimangono
Anche se i ricercatori invitano a studiare ulteriormente gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute, riconoscono le sfide da affrontare. Lo sforzo è più complesso dello studio degli effetti di un singolo elemento tossico. Inoltre, gli studi sugli animali che riproducono l’esposizione degli esseri umani agli inquinanti richiedono costose attrezzature per il controllo dell’aria non utilizzate abitualmente nei laboratori di neuroscienze.

Tuttavia, in caso di successo, gli sforzi potrebbero individuare quali inquinanti sono più problematici e quindi fornire una base di informazione per le normative volte a migliorare la qualità dell’aria, spiegano i ricercatori. Spesso le misure per la qualità dell’aria si concentrano sulla riduzione degli inquinanti più abbondanti, ma questi potrebbero non essere i più neurotossici, aggiunge Mudway.

A questo punto, il settore ha ancora bisogno di un maggior numero di neuroscienziati, afferma David Jett, direttore del programma al National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) di Bethesda, nel Maryland, negli Stati Uniti, che nel 2021 ha lanciato un programma di finanziamento chiave per esaminare come le esposizioni ambientali, compreso l’inquinamento atmosferico, contribuiscano ai disturbi neurologici. Jett stima che degli oltre 22.000 delegati al meeting della Society for Neuroscience del 2024 a Chicago, nell’Illinois, meno di 20 abbiano lavorato sull’inquinamento atmosferico. Jett ha partecipato per far conoscere le prove esistenti e per esortare i neuroscienziati a chiedere finanziamenti per studiare l’inquinamento atmosferico. “Lentamente ma inesorabilmente, sta funzionando”, conclude Jett. “Ma non così velocemente come vorrei.”

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature”. Traduzione ed editing a cura di “Le Scienze”. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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