A gennaio deficit copertura della neve in Italia al 63 per cento

0

A gennaio deficit copertura della neve in Italia al 63 per cento

Tratto da 30science.com

A gennaio, il quadro generale dell’equivalente idrico nivale dipinge ancora un deficit significativo a livello nazionale. L’accumulo di neve è ben al di sotto delle medie stagionali, con ripercussioni dirette sulla disponibilità idrica dei bacini fluviali.

Lo Snow Water Equivalent (SWE), almeno per ora, conferma un deficit nazionale pari al –63%1. Dopo il primo bilancio di dicembre, si tratta ancora una volta di una situazione critica per l’intero arco alpino e per gli Appennini. Sono i dati rilevati con il monitoraggio della risorsa idrica nivale di Fondazione CIMA. “Le cause del deficit non sono uniformi lungo il territorio – spiega Francesco Avanzi, ricercatore di Fondazione CIMA – Sulle Alpi, la mancanza di precipitazioni, sta rallentando la formazione del manto nevoso, nonostante temperature relativamente fresche. Sulle zone Appenniniche, invece, le piogge sono state più abbondanti, ma sono state vanificate da temperature più alte della media, portando la neve a fondere rapidamente”. Nel cuore delle Alpi, dicembre ha registrato ancora una scarsa quantità di neve, con i principali bacini fluviali, come il Po e l’Adige, significativamente sotto la media. In particolare, entrambi i bacini hanno accumulato circa un terzo della neve attesa entro i primi di gennaio, con un incremento lento e insufficiente rispetto agli anni passati. Questa “stagione al rallentatore” è il risultato di un inverno iniziato tardi, con un accumulo di neve che fin da novembre è rimasto sotto la media stagionale. Questo trend riflette la mancanza di eventi nevosi significativi nonostante temperature un po’ più basse rispetto agli ultimissimi anni.

L’importanza delle Alpi come “serbatoi d’acqua naturale” per l’Italia non può essere sottovalutata. Contributi idrici ridotti dai bacini alpini influenzano direttamente la disponibilità d’acqua per uso agricolo, civile e industriale, specialmente nei mesi primaverili ed estivi. I dati storici dimostrano che un inverno povero di neve si traduce spesso in una ridotta portata dei fiumi durante i mesi estivi, aumentando il rischio di siccità. Se sulle Alpi la situazione è critica, sugli Appennini non è da meno, ma con dinamiche differenti. Le piogge abbondanti, anziché tradursi in un accumulo nevoso duraturo, sono state spesso accompagnate da temperature superiori alla norma, favorendo quindi la fusione della neve in tempi molto rapidi. Un caso emblematico è il bacino del Tevere, dove in poche settimane si è passati da condizioni nella media a un deficit del -88%2. Si tratta di un classico comportamento da neve “effimera”. “La neve effimera è un fenomeno tipico delle aree nevosi più miti – spiega Avanzi, – e si verifica quando la combinazione di precipitazioni abbondanti e temperature elevate impedisce alla neve di consolidarsi e persistere al suolo a lungo. Questo comporta una fusione quasi immediata, con implicazioni significative per la gestione delle risorse locali. Questo tipo di neve, che quindi fonde pochi giorni/settimane dopo la sua caduta, è storicamente più frequente nelle aree Appenniniche rispetto alle Alpi. Ma gli scenari futuri, segnati dal cambiamento climatico, suggeriscono un’espansione di queste condizioni anche nell’arco Alpino. Il rapido passaggio da accumuli intensi ma episodici a lunghi periodi di fusione può generare squilibri significativi nei bacini fluviali, influendo negativamente sulla stabilità degli ecosistemi locali e sulla capacità delle comunità di pianificare l’uso delle risorse idriche”.

Le previsioni di dicembre mostravano un inizio inverno instabile, e i dati confermano questa tendenza. In alcune aree, si è registrato un ritardo di quasi un mese nell’inizio della stagione nevosa, accentuando il contrasto tra periodi di accumulo accelerato e successivi cali drastici. Questo andamento altalenante riflette le conseguenze di un clima sempre più caldo, che modifica le dinamiche tradizionali dell’accumulo nevoso. Per molte regioni italiane, l’inizio di questo inverno si colloca tra i peggiori per neve al suolo dal 2011. Ce lo dicono i dati. Le condizioni registrate ricordano, inoltre, da vicino quelle di anni critici come il 2016, il 2022 e il 2023. Questo confronto evidenzia l’impatto persistente delle variazioni climatiche sui regimi nevosi, sottolineando la necessità di monitorare costantemente l’evoluzione della situazione e le sue ripercussioni sulla disponibilità idrica e sugli ecosistemi. Nonostante il panorama attuale, è ancora presto per trarre conclusioni definitive su questa stagione. Le previsioni stagionali di ECMWF3 indicano un trimestre invernale più caldo della norma su tutta l’Europa, con temperature particolarmente elevate sull’arco alpino e l’area centro-appenninica. Per quanto riguarda le precipitazioni, si prevede una situazione media sulle Alpi e leggermente sotto la media sugli Appennini. Tuttavia, recenti nevicate sull’Appennino meridionale offrono un segnale di speranza per un parziale recupero nei prossimi mesi. Conclude Avanzi: “Il picco di accumulo è previsto tra febbraio e marzo, e questo ci dà ancora tempo per osservare sviluppi significativi”.

Share.

Leave A Reply