L’INFORMAZIONE METEOROLOGICA: PARLARNE PRIMA DEI DISASTRI E NON SOLO DOPO
di Andrea Corigliano – Fisico dell’Atmosfera
tratto da CENTROMETEO
Quasi cinquecento millimetri in otto ore: la pioggia di un anno, abbiamo detto. Mentre continuano a scorrere le immagini di un territorio letteralmente devastato dalla furia delle acque, il fango restituisce i corpi di chi è rimasto intrappolato in questa catastrofe: nel momento in cui pubblico questo articolo siamo arrivati a 158 morti e il bilancio, a quanto pare, è ancora provvisorio. Di fronte alla tragedia si sono rincorse diverse spiegazioni per far capire che cosa è successo.
E, a tal proposito, si è parlato molto della DANA, un acronimo utilizzato dai meteorologi spagnoli per indicare una «Deprésion Aislada en Niveles Altos», vale a dire una «depressione isolata ad alta quota» che in Italia chiamiamo da sempre «goccia fredda»: come è noto, si tratta di una figura di bassa pressione autonoma che si isola dalla circolazione atmosferica e che presenta in quota aria più fredda rispetto alle zone circostanti.Utilizzata in questo modo, la meteorologia entra così a far parte dei fatti di cronaca perché viene interpellata a evento atmosferico avvenuto per far capire all’utenza come si è formato quel fenomeno che ha causato gli effetti che la stessa cronaca ci racconta: ci sono delle vittime e quindi l’interesse sale.
Non è però questo il ruolo della scienza del tempo: essa, al contrario, è da sempre esistita e si sono compiuti sforzi per migliorare le conoscenze sulla dinamica dell’atmosfera per prevenire gli eventi e non solo per poter raccontare dopo perché questi si sono verificati. Quale sarebbe, altrimenti, l’utilità della meteorologia se non quella di avvisare i cittadini su potenziali situazioni critiche che possono verificarsi e avere il tempo materiale di mettere in pratica, di conseguenza, le norme di autoprotezione? Non possiamo mostrare interesse a capire solo il perché dei fenomeni quando si contano delle vittime o quando si contano danni ingenti perché non possiamo permetterci di arrivare dopo il fenomeno potenzialmente intenso che viene previsto.
Dobbiamo interessarci prima a capire l’entità del rischio legato di un fenomeno atmosferico perché l’obiettivo è non restare impreparati e, soprattutto, annullare la conta delle vittime. Questo modus operandi diventa possibile solo se si sviluppa una cultura del meteo e del rischio, cioè se viene anche concesso maggiore spazio alla previsione del tempo e a tutto quello che le ruota attorno, allerte meteo comprese. Non sarà mai possibile ambire a questo risultato fino a quando l’esposizione di una previsione meteorologica assomiglierà a uno scioglilingua da concludere in un minuto – quando va bene – specie quando c’è una situazione potenzialmente rischiosa da comunicare.
Un utilizzo accurato e preventivo delle informazioni meteorologiche, tra l’altro, ha il grande potere di mettere a tacere le voci di «complottismo» che si rincorrono sempre dopo i disastri e che passano sempre dai megafoni di certa carta stampata, come se il fenomeno meteorologico che si è verificato nascondesse chissà quale strano processo di formazione: spiegare prima diventa quindi più istruttivo e più opportuno che spiegare dopo.
Fonte immagine: agenzia di stampa Reuters.
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura
Andrea Corigliano, fisico dell’atmosfera