Ecco perchè dovremmo preoccuparci (seriamente) della crisi dei ghiacci e della criosfera
A causa dell’aumento della temperatura globale, l’alterazione dei ghiacciai del pianeta sta per raggiungere punti di non ritorno, oltre i quali i cambiamenti saranno irreversibili, dureranno secoli e porteranno a conseguenze pesanti
di Rudi Bressa
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I ghiacci terrestri, meglio conosciuti come criosfera, sono tra i termoregolatori del clima terrestre. E sono in profonda crisi: la loro fusione porterà a cambiamenti a cui non potremmo adattarci facilmente. È questo, forse, il messaggio principale che esce dal Rapporto sullo Stato della Criosfera 2024, pubblicato qualche giorno fa dall’International Cryosphere Climate Initiative (ICCI), e presentato alla COP29 di Baku. Una fotografia aggiornata dello stato di salute delle riserve di ghiaccio del pianeta. A rischio non ci sono solamente i ghiacciai delle catene montuose terrestri, ma le calotte polari dell’Artico e dell’Antartico, il permafrost, e il funzionamento di veri e propri sistemi di correnti oceaniche come l’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC).
Cosa ci dice il rapporto sulla criosfera
Più che l’ennesimo allarme, ormai noto da più di trent’anni, si tratta di una presa di coscienza delle implicazioni che il superamento del limite di 1,5°C di riscaldamento comporterà per il “sistema Terra”. La riflettività e l’effetto di raffreddamento globale del ghiaccio marino artico e antartico sono già diminuiti a causa della perdita della copertura di ghiaccio. E questo è uno dei punti principali del rapporto: portare a fusione le superfici ghiacciate significa lasciare posto a superfici più scure, che assorbiranno più radiazioni e calore, riscaldando l’area interessata.
“Se facciamo scomparire il ghiaccio ai poli, riscaldiamo il clima oltremodo e questo avrà un impatto a livello globale: i poli regolano la distribuzione di calore tra l’equatore e le latitudini più alte tramite la circolazione atmosferica ed oceanica”, spiega a “Le Scienze” Florence Colleoni glaciologa e paleoclimatologa, attualmente coordinatrice del programma scientifico Instabilities and Thresholds in Antarctica (INSTANT) della commissione internazionale Scientific Committee on Antarctic Research (SCAR). “Perdere il ghiaccio dei poli significa modificare completamente la dinamica climatica di queste regioni, e di conseguenza, dell’equilibrio del pianeta.”
Ecco allora un aumento del livello dei mari che sarà distruttivo per molte regioni costiere, o il rallentamento delle correnti oceaniche che avranno impatti potenzialmente negativi per l’Europa settentrionale, che registrerà temperature più basse, e la costa orientale degli Stati Uniti che vedrà invece un maggiore innalzamento del livello del mare. Ma non solo, in crisi ci sono le riserve di acqua dolce di tutto il pianeta: dai ghiacciai alpini a quelli himalayani. Il manto nevoso ha raggiunto i minimi storici nell’Hindu Kush Himalaya, con un impatto sulla disponibilità di acqua a valle per miliardi di persone, mentre il Venezuela ha perso il suo ultimo ghiacciaio e l’Eternity Glacier dell’Indonesia, l’ultimo ghiacciaio tropicale dell’Asia, si avvia verso la scomparsa nei prossimi due anni.
Un problema di visione
Nonostante da decenni si conoscano gli effetti che la crisi della criosfera porterà alla società, il problema pare confinato negli ambienti della ricerca accademica. Secondo Andrea Spolaor, ricercatore dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-ISP) il problema risiede nel fatto che “la criosfera è spesso percepita come una realtà lontana e non direttamente collegata alla vita quotidiana”, e che questa “continua a essere vista principalmente come una sentinella del cambiamento climatico, piuttosto che come una risorsa vitale che si sta progressivamente riducendo”.
È piuttosto evidente che i tempi della politica e dell’economia mal si adattano a visioni di lungo termine, mentre le enormi masse di ghiaccio terrestre impiegheranno millenni a fondersi del tutto. Ma il punto su cui fare leva, probabilmente, sono i famigerati punti di non ritorno (tippingpoint), ovvero cambiamenti che avvengono oggi, ma che poi continueranno a lungo nel futuro “provocando cambiamenti drastici del sistema climatico a livello globale in modo irreversibile”, sottolinea Colleoni.
“Il cambiamento è in atto, ma spesso ci si concentra solo sugli eventi della stagione precedente, trascurando di osservare i trend di lungo termine, come quelli che si sviluppano nell’arco di dieci anni o più”, spiega Spolaor.
È vero, quando parliamo di criosfera, di correnti oceaniche, di innalzamento del livello dei mari, siamo fuori dalla scala temporale umana. Ma “negli ultimi decenni, la situazione è accelerata e peggiorata”, continua Colleoni. “Non solo si tratta di vedere che le cose stanno già cambiando, ma anche che continueranno a cambiare fino al 2100, ma anche ben oltre: il mondo non si ferma nel 2100.”
Per questo gli scienziati hanno sottoscritto il manifesto “Ambition on Melting Ice”, con l’obiettivo di sensibilizzare i leader mondiali sui costi significativamente più elevati legati ai ritardi nelle misure di mitigazione. Gli scienziati della criosfera (International Cryosphere Climate Initiative, ICCI) sottolineano che solo misure rapide e definitive per ridurre le emissioni e fermare il superamento del limite possono evitare i peggiori impatti di perdita e danno legati allo scioglimento di ghiaccio e neve, riducendo al contempo i costi finali sia per le nazioni vulnerabili che per i grandi emettitori.
“L’importante è capire che quello che vediamo ora, peggiorerà e non potrà essere fermato”, conclude Colleoni.