Che cosa succederebbe se cambiasse la circolazione atlantica?

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Che cosa succederebbe se cambiasse la circolazione atlantica?

Nuove prove di crisi passate di questo sistema di correnti marine emergono dalle profondità del Mare di Norvegia e mostrano gli impatti sul clima di un evento che può ripetersi anche oggi
di Jacopo Pasotti
www.lescienze.it

Vista sulla costa rocciosa delle isole Svalbard, a nord della Norvegia (TT/iStockphoto) ()

L’Artico sta cambiando, rapidamente, e il suo destino preoccupa sempre di più il mondo scientifico. Recentemente diversi studi hanno evidenziato un indebolimento del Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Atlantic Meridional Overturning Circulation, AMOC), il complesso sistema di correnti che percorre l’Oceano Atlantico dall’emisfero australe fino alle regioni artiche e a cui si deve il clima piuttosto mite del Nord Europa. A queste analisi ora si aggiunge una preoccupante lettera di 44 esperti da 15 nazioni rivolta al Consiglio Nordico (Nordic Council), l’organismo per la cooperazione interparlamentare dei paesi nordici. A tutto ciò si sommano nuovi studi su sedimenti prelevati nel Mare di Norvegia che mostrano come, durante l’ultimo periodo interglaciale, AMOC si sia indebolito fino ad arrestarsi. Un fenomeno simile a quello che si teme possa avvenire nel prossimo futuro, è dunque avvenuto in passato e si è innescato nelle regioni artiche.

Se ciò avvenisse potrebbero esserci grandi cambiamenti climatici nelle regioni dell’Atlantico del Nord, che porterebbero a temperature e condizioni meteorologiche più imprevedibili in Europa. AMOC è come un “nastro trasportatore” che distribuisce il calore tra diverse regioni terrestri. Il suo funzionamento è guidato dalle diverse densità dell’acqua. L’acqua più fredda e salata è più densa e tende a sprofondare, mentre quella calda è meno salata e tende a rimanere in superficie. Questa differenza di densità permette alle correnti calde di spostarsi dall’equatore verso il Circolo polare artico, riscaldando il Nord Europa.

Ora il riscaldamento dei mari, la fusione dei ghiacciai, e la riduzione del ghiaccio marino stanno compromettendo questo complesso sistema. Lo suggerivano i modelli climatici, si sta osservando di fatto.

Due studi recenti in particolare hanno scosso l’attenzione dei mezzi di comunicazione e del pubblico. Uno di questi, pubblicato su “Nature” nel 2023, impiegava modelli matematici e misure di temperatura di alcune regioni critiche del sistema di correnti evidenziando segnali di un possibile collasso dell’AMOC. Tra i segnali c’erano maggiori fluttuazioni nel suo comportamento (ovvero AMOC sta perdendo una certa stabilità), e il recupero più lento dalle perturbazioni del sistema. La loro analisi suggeriva che continuando con i livelli attuali di emissioni l’enorme sistema di correnti oceaniche potrebbe collassare tra il 2025 e il 2095. Lo studio andava avanti suggerendo che il momento più probabile per questo evento sarebbe attorno alla metà del secolo.

Molti scienziati però, pur riconoscendo che il cambiamento climatico sta indebolendo AMOC, sottolineano che le previsioni di un collasso completo in questo secolo sono altamente incerte.  Andrew Watson, professore di ricerca della Royal Society presso il Global Systems Institute dell’Università di Exeter, in Regno Unito, dice per esempio che “l’instabilità potrebbe anche essere meno drammatica rispetto a un collasso”, e che “la maggior parte dei modelli attualmente suggeriscono un rallentamento, ma non un arresto, delle correnti”.


La maggior parte dei modelli, compresi quelli usati dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), indicano che è improbabile che si verifichi un collasso prima del 2100. Molti avvertono che anche un rallentamento dovrebbe preoccupare i governi europei e non solo.

Un altro studio, pubblicato invece nel 2024 sulla rivista “Science”, ha confermato che l’AMOC ha un punto critico oltre il quale può collassare e che questo dipende in gran parte dall’ingresso di acqua dolce nei settori settentrionali. Ciò sta effettivamente avvenendo e questo è un altro fatto osservato e misurato: stanno aumentando le precipitazioni, il deflusso dei fiumi, e l’acqua di disgelo dei ghiacciai e della calotta groenlandese. Il punto di svolta è stato dimostrato con simulazioni al computer all’avanguardia. Tutto fa dunque pensare che la corrente oceanica stia muovendosi proprio in quella direzione. Rimane aperta la domanda, cruciale, su quando ciò potrebbe accadere.

Ora, nuove evidenze di crisi passate del sistema di correnti emergono dalle profondità del Mare di Norvegia. Qui i fanghi sottomarini hanno conservato nel tempo resti di organismi marini e traccianti geochimici biologici che gli scienziati utilizzano per dedurre informazioni sui cambiamenti passati nella distribuzione del ghiaccio marino (cruciale nell’ostacolare o favorire il riscaldamento dell’acqua marina), nelle temperature della superficie del mare, e nelle fonti di acqua dolce.

L’analisi di questi dati, presentati sulla rivista “Nature Communications”, guidata da Mohamed Ezat dell’iC3 Polar Research Hub della Università Artica di Norvegia (UiT) spiega come durante un periodo caldo avvenuto circa 125.000 anni fa, e noto come ultimo interglaciale, un ingente rilascio di acqua dolce dall’Artico abbia influenzato la circolazione oceanica e la distribuzione del calore nei mari nordici fino a ridurre il movimento di correnti calde verso nord, con impatti sul clima delle regioni circumpolari. Si tratta dunque di una nuova evidenza che queste correnti si possono alterare fino a entrare in crisi.


”Abbiamo visto che la riduzione del ghiaccio marino deve essere stato il fattore scatenante dell’indebolimento del sistema, almeno in questa regione dell’oceano”, spiega Ezat. “Il fatto che lo scioglimento del ghiaccio marino artico probabilmente abbia in passato provocato un raffreddamento significativo nel Nord Europa è preoccupante: questo ci ricorda che il clima del pianeta è un equilibrio delicato, facilmente sconvolto dai cambiamenti di temperatura e dalla copertura di ghiaccio.”

L’ultimo interglaciale è una finestra sulle temperature che ci possono attendere, e lo studio di Ezat e colleghi mostra il ruolo chiave dello stato del ghiaccio marino nell’artico nel fato delle correnti marine atlantiche.

Ezat conclude dicendo che non si può sapere se e quando la AMOC collasserà, ma questo poco importa perché anche il semplice fatto che si stia indebolendo dovrebbe essere fonte di preoccupazione. E avverte anche che il sistema potrebbe indebolirsi fortemente in alcuni settori ma non in altri, evidenziando la complessità delle correnti oceaniche.

I timori di Ezat si riflettono in una lettera aperta ai ministri del Consiglio Nordico nelle cui righe si legge quanto sia “urgente attirare l’attenzione sul rischio di un grave cambiamento della circolazione oceanica nell’Atlantico. Una serie di studi scientifici degli ultimi anni suggeriscono che questo rischio è stato finora ampiamente sottostimato”.

Il documento, firmato da scienziati e scienziate dall’Australia alla Norvegia, avverte: “Considerata la crescente evidenza di un rischio più elevato di collasso dell’AMOC, riteniamo che sia di fondamentale importanza che il pericolo di raggiungere un punto di svolta nell’Artico, in particolare il rischio di collasso dell’AMOC, siano presi sul serio nella governance e nella politica. Ciò è grave, anche con una probabilità media che si verifichi, dato che l’esito sarebbe catastrofico e avrebbe un impatto sul mondo intero per i secoli a venire, riteniamo che sia necessario fare di più per ridurre al minimo questo rischio.”

Il documento chiede ai governi dei paesi nordici di “aumentare la pressione per una maggiore urgenza e priorità nello sforzo globale di ridurre le emissioni il più rapidamente possibile, al fine di rimanere vicini all’obiettivo di 1,5 °C fissato dall’accordo di Parigi”. In questo modo si potrà rallentare, o mitigare, la crisi di uno dei sistemi naturali di regolazione del clima terrestre.

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