L’impatto di un asteroide primordiale ha devastato ma anche aiutato la vita
Un gigantesco oggetto spaziale roccioso che si è abbattuto sulla Terra più di tre miliardi di anni fa ha stravolto la biosfera ma poi ha fornito risorse essenziali per la sua ripresa e per lo sviluppo di organismi più complessi
di Douglas Fox/Scientific American
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Sessantasei milioni di anni fa una roccia spaziale larga 10 chilometri cadde dal cielo sopra l’attuale penisola dello Yucatán, nel Golfo del Messico. Quando colpì la Terra, fece un buco nella crosta grande più della Sicilia, innescando tempeste di fuoco globali e uccidendo circa il 75 per cento delle specie. Per i dinosauri che ha portato all’estinzione, l’evento è stato di fatto la fine del mondo. Ma dalle ceneri sorsero sopravvissuti – i nostri antenati mammiferi – che diedero inizio a una nuova, vivace era nella storia della Terra. Oggi questo impatto catastrofico è considerato un atto cosmico di distruzione creativa, senza il quale noi esseri umani non esisteremmo.
Ma il famigerato oggetto caduto in quell’occasione non era nulla in confronto all’asteroide che colpì la Terra 3,26 miliardi di anni fa, in quello che gli scienziati chiamano l’eone archeano della storia del nostro pianeta, lunga 4,5 miliardi di anni. La roccia spaziale di quell’impatto, denominata “S2,” era da 50 a 200 volte più grande, abbastanza da far schizzare in cielo almeno 10.000 chilometri cubi di roccia vaporizzata, che poi si è ricondensata in goccioline fuse ed è piovuta sulla Terra. Non sorprende che queste circostanze debbano essere state “davvero disastrose per la vita primitiva”, afferma Nadja Drabon, geologa della Harvard University. Ma la sua ultima ricerca indica che – proprio come il più famoso impatto che uccise i dinosauri – questa collisione molto più grande e più antica ha avuto anche un lato positivo, dando un potente impulso alla biosfera primordiale della Terra.
“Ciò che abbiamo scoperto è stato davvero sorprendente”, spiega Drabon. Insieme a diversi colleghi, la sua analisi di alcuni strati rocciosi in Sudafrica ha mostrato che, oltre a generare grandi volumi di roccia vaporizzata che hanno incendiato tutto il mondo, l’impatto di S2 ha innescato immensi tsunami e ha fatto ribollire lo strato superiore dell’oceano. Ma ha anche immesso fosforo e altri elementi essenziali per la vita nei mari affamati di nutrienti del mondo, dando il via a una fioritura di organismi.
Mentre però l’impatto che ha sterminato i dinosauri ha lasciato dietro di sé una scia di milioni di anni di devastazione ecologica, le terribili conseguenze di questa collisione molto più grande sono state di durata troppo breve per emergere dalle analisi chimiche degli strati rocciosi, spiega Drabon.
Le condizioni sono rimaste terribili “per un paio d’anni, forse qualche decennio,” sottolinea Drabon. “Ma poi la vita si è ripresa molto rapidamente.”
Il suo nuovo studio, pubblicato oggi sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, indica che i giganteschi impatti hanno avuto un’influenza ancora maggiore sulla biosfera terrestre primordiale rispetto a quanto precedentemente stimato, e che gli organismi che abitavano il nostro pianeta nell’Archeano erano molto più resistenti a questo tipo di shock di quanto non lo sia la vita attuale.
Una Terra irriconoscibile
Se avessimo sorvolato il nostro pianeta poco prima dell’impatto con S2, più di tre miliardi di anni fa, avremmo constatato che aveva un aspetto molto diverso da quello attuale.
“La Terra era in gran parte un mondo acquatico”, con solo alcuni vulcani e isole più grandi che si ergevano sopra la superficie dell’oceano, dice Andrew Knoll, geobiologo della Harvard University, che ha collaborato con Drabon al nuovo studio. Gli oceani del mondo potrebbero aver contenuto il doppio dell’acqua che contengono attualmente, perché l’interno del pianeta non si era ancora raffreddato abbastanza da assorbire tanta umidità quanta ne contiene oggi.
Senza grandi continenti che si erodono e trasportano i minerali lungo i fiumi, l’oceano era privo di nutrienti critici come fosforo, rame, molibdeno e nichel. L’atmosfera e l’oceano erano quasi privi di ossigeno libero, l’elemento che oggi costituisce oltre il 20 per cento dell’aria del nostro pianeta e che sostiene animali, piante e funghi. La Terra probabilmente ospitava solo l’1 o il 2 per cento della quantità di vita odierna, dice Knoll, tutta sotto forma di microbi unicellulari.
Parte di quel bioma rarefatto era alimentato da una forma primitiva di fotosintesi in cui i microbi usavano la luce del sole per strappare elettroni al ferro disciolto nell’acqua di mare, riuscendo così a convertire l’anidride carbonica in zuccheri. Ma gli strati superiori degli oceani, dove la luce era disponibile, contenevano solo tracce di ferro, il che rendeva difficile anche per creature così resistenti procacciarsi il necessario per la sussistenza. Quegli oceani erano “deserti biologici”, spiega Drabon. Per questo gli esperti hanno spesso immaginato che la Terra primitiva fosse un luogo tranquillo e noioso.
Le scoperte geologiche hanno cambiato radicalmente questa visione alla fine degli anni ottanta e negli anni novanta. Negli strati archeani del Sudafrica, per esempio, i geologi Donald Lowe e Gary Byerly, ora rispettivamente alla Stanford University e alla Louisiana State University, hanno trovato sfere minerali grandi come granelli di sabbia ammassate in almeno otto strati di roccia. Queste minuscole “sferule” si sono rivelate gocce solidificate di roccia fusa piovute dopo una raffica di impatti massicci.
I crateri di questi impatti devono essere stati erosi da tempo, ma gli spessi strati di sferule mostrano comunque che sono avvenuti, e con una frequenza sorprendente. Sulla base dei loro studi sugli strati, Lowe e Byerly hanno stimato che, fra i 3,5 e i 3,2 miliardi di anni fa, oggetti più grandi del killer dei dinosauri hanno colpito la Terra almeno una volta ogni 15 milioni di anni, molto più spesso di quanto accada oggi. Alcuni di questi asteroidi, hanno ipotizzato gli studiosi, potevano avere una massa fino a 350 volte superiore a quella del killer dei dinosauri.
Dalla pentola in ebollizione al paradiso
Drabon, un’ex studentessa di Lowe, si è chiesta come queste sconvolgenti collisioni abbiano influenzato la biosfera archeana, e ha trascorso anni a raccogliere rocce da pochi metri subito sopra e sotto lo strato dell’impatto di uno di questi famosi eventi: il già citato S2. Entrambe le serie di rocce erano del tipo che si era formato dai sedimenti depositatisi su fondali marini costieri poco profondi vicino ad alcuni dei rari pezzi di terra. Le rocce al di sotto dello strato d’impatto, precedenti al cataclisma, erano piene di sottili strati neri di antico carbonio organico: i resti di tappeti appiccicosi di microbi che fiorivano sul fondo del mare prima di essere sepolti, schiacciati e cotti dagli ordinari processi geologici. Questi strati calmi e piatti si sono probabilmente accumulati nel corso di migliaia di anni. Ciò che si trovava subito sopra di loro è stato il prodotto di eventi molto più rapidi.
Lo strato di sferule, alto in alcuni punti quanto diversi materassi da letto impilati, era mescolato a sabbia e ciottoli, segno di una serie di tsunami che hanno raschiato e rimescolato il fondale marino nelle ore successive all’impatto. Spessi strati di fango pietrificato sovrastavano questi detriti dell’impatto, presumibilmente formatisi nel corso di giorni o settimane, quando il limo a grana fine sollevato dalle onde si depositò sul fondale. In cima a quel fango c’era qualcosa che affascinava Drabon: minuscoli cristalli di sale esagonali depositati dall’improvvisa evaporazione dell’acqua marina salata.
I cristalli erano un segno sicuro che l’impatto “aveva riscaldato significativamente la superficie e aveva iniziato a far bollire parte dell’acqua [oceanica]”, spiega Drabon.
Lei, Knoll e gli altri coautori (tra cui Lowe) sostengono che uno strato di acqua, esteso fra pochi metri e qualche decina, sia stato riscaldato in modo repentino diventando vapore. Se ciò è effettivamente accaduto, deve avere ucciso “un gran numero di batteri,” aggiung Knoll. E i detriti gettati nell’atmosfera devono aver oscurato il sole per mesi o anni, rendendo la vita molto più difficile ai microbi fotosintetici sopravvissuti.
Ma la situazione dev’essersi calmata rapidamente.
“Alcuni metri sopra lo strato d’impatto, le rocce sono di nuovo piene di strati microbici neri ricchi di carbonio, forse ancora più densi di quelli sottostanti, a dimostrazione che la vita è probabilmente prosperata dopo la collisione,” dice Drabon.
Lei e il suo team propongono che tali fioriture siano state alimentate da diversi fattori. Gli strati di roccia sopra l’impatto contengono alti livelli di fosforo, un nutriente critico usato dagli organismi viventi per produrre di tutto, dal DNA alle membrane cellulari. Secondo le stime, l’asteroide S2 potrebbe aver trasportato 360 miliardi di tonnellate di fosforo extraterrestre negli affamati oceani della Terra. E una quantità ancora maggiore di questo elemento sarebbe confluita nei mari attraverso le enormi quantità di roccia e limo erose dalle isole colpite dagli tsunami.
Gli strati microbici sopra l’impatto sono anche ingombri di un minerale di ferro rosso-ruggine chiamato siderite, presumibilmente formatosi grazie alle acque ricche di ferro che sono state sollevate dalle profondità dai turbolenti tsunami. Questo afflusso avrebbe dato un’ulteriore carica ai batteri fotosintetici dipendenti dal ferro che giò avevano ricche disponibilità di fosforo, alimentandone ulteriormente la fioritura.
Drabon ha anche esaminato i rapporti tra gli isotopi del carbonio pesanti e leggeri (ovvero atomi di carbonio con masse atomiche diverse) negli strati microbici scuri sopra e sotto l’impatto. Questo può fornire indizi sui tipi di organismi che erano presenti, perché le diverse forme di vita assorbono gli isotopi pesanti del carbonio e quelli leggeri a tassi diversi. Ciò ha rivelato qualcosa di importante.
“Vediamo un cambiamento negli isotopi del carbonio”, dice Drabon, segno che il mix di microbi è cambiato dopo l’impatto. “Abbiamo un nuovo metabolismo dominante” nell’oceano, spiega, il che probabilmente riflette un aumento dei microbi che usano il ferro per generare energia, attraverso la fotosintesi o altre vie.
Microbi contro mammut
Questa nuova prova della fioritura della vita dopo l’impatto di S2 “è una scoperta davvero interessante”, afferma Alexandra Davatzes, geologa della Temple University, che studia gli impatti dell’Archeano. L’autrice fa notare che anche altri grandi sconvolgimenti dell’ambiente terrestre hanno fatto crescere la biosfera, come gli eventi della cosiddetta “Terra palla di neve” (SnowballEarth) che si pensa si siano verificati 700 milioni e 635 milioni di anni fa. Durante questi eventi, i ghiacciai si estesero su gran parte della superficie del mondo e probabilmente sterminarono molte forme di vita. Ma quando i ghiacci si ritirarono, scaricarono nell’oceano grandi quantità di rocce polverizzate dal ghiaccio, ricche di nutrienti, che alimentarono una ripresa della vita.
Eva Stüeken, geobiologa dell’Università di St. Andrews, in Scozia, che studia la Terra nell’Archeano, ritiene che la ricerca di Drabon potrebbe portare a ulteriori scoperte.
“Sicuramente molti eventi di impatto possono esserci sfuggiti”, spiega. Dopotutto, non si conoscono crateri da impatto terrestri di quell’epoca che siano arrivati fino ai giorni nostri. Ed è tutt’altro che garantito che gli strati di sferule disseminati sul nostro pianeta da queste collisioni si siano conservati in rocce così antiche. Ma se si troveranno segni di altri impatti precedentemente sconosciuti, potremmo renderci conto meglio di come questi eventi non hanno solo danneggiato gravemente la biosfera terrestre, ma hanno anche contribuito a guarire quelle ferite.
Stüeken si chiede se S2 e altri impatti giganteschi abbiano anche fertilizzato la vita in un altro modo, al di là di quanto suggerito da Drabon. I tuffi infuocati degli asteroidi in arrivo potrebbero aver estratto dall’atmosfera un ulteriore nutriente critico, l’azoto, consegnandolo all’oceano in forme chimicamente reattive che i microbi potevano assorbire. “È un’idea che sarei entusiasta di esplorare”, dice.
Simone Marchi, planetologo presso il Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado, vede una lezione importante nell’impatto di S2. Esiste “un’interessante interazione” tra l’impatto di un asteroide e il tipo di vita presente al momento in cui si verifica, dice. I microbi, a differenza dei brontosauri o dei mammut, possono sopravvivere a calore estremo, disidratazione e radiazioni formando cisti o spore che persistono per anni. E i microrganismi, nel loro insieme, hanno una capacità superiore di resistenza agli sconvolgimenti ambientali in una miriade di altri modi. Se sopravvive anche solo un microbo su un miliardo, questo può ricostituire l’intera popolazione perché cresce e si moltiplica molto rapidamente.
“La vita all’epoca era in grado di incassare il colpo” dell’impatto di S2, spiega Marchi. Ma cosa sarebbe successo se questo asteroide molto più grande avesse colpito la Terra 66 milioni di anni fa, dopo che si erano evoluti fiori, alberi, dinosauri, mammiferi, pesci e altre forme di vita complessa?
“A un evento di questo tipo, potevano sopravvivere solo le forme di vita semplici”, afferma Marchi. Invece che eliminare i dinosauri lasciando intatti mammiferi, uccelli e pesci, l’impatto avrebbe potuto cancellare tutte le piante e gli animali esistenti. “Sarebbe stato un reset completo della vita – conclude Marchi – che l’avrebbe riportata al livello batterico.”