QUINDI ALLUVIONI E ALLAGAMENTI SAREBBERO UNA QUESTIONE DI… TOMBINI?

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QUINDI ALLUVIONI E ALLAGAMENTI SAREBBERO UNA QUESTIONE DI… TOMBINI?

QUINDI ALLUVIONI E ALLAGAMENTI SAREBBERO UNA QUESTIONE DI… TOMBINI?

di Andrea Corigliano – Fisico dell’Atmosfera

La manutenzione del territorio è sacrosanta, nessuno dice il contrario. Mantenere efficienti gli scarichi dell’acqua piovana in ambiente urbanizzato è altrettanto importante per ridurre al minimo il rischio di allagamenti. Tuttavia, non è solo la cattiva gestione ambientale a far sì che possano crearsi problematiche quando il cielo apre le cateratte e le tiene aperte per ore ed ore: c’è anche il problema di quanta pioggia cade e in quanto tempo. I violenti nubifragi, oggi etichettati dall’informazione sensazionalistica come «bombe d’acqua», sono precipitazioni che possono rovesciare su un vasto territorio anche fino a 300 millimetri di pioggia in 3-4 ore. Abbiamo idea che cosa sono 300 millimetri d’acqua?

Sono, SEMPLICEMENTE, 300 litri di acqua che si distribuiscono su un metro quadrato di superficie, cioè l’equivalente di 200 bottiglie da un litro e mezzo che vengono vuotate su una bacinella di lato un metro: se facciamo lo sforzo di comprendere che tutta quella pioggia può cadere anche su decine di chilometri quadrati (un chilometro quadrato equivale a un milione di metri quadrati), potete immaginare la massa d’acqua che può cadere per esempio da un intenso temporale. Ho scritto questa equivalenza pluviometrica perché mi sembra di capire che, in generale, il concetto di «portata di un evento meteorologico» sfugga a molti. E quindi, tralasciando questo particolare non di poco conto si crede che, indipendentemente da quanta pioggia cade, il nostro sistema di smaltimento delle acque piovane debba reggere l’impatto. Detto in altre parole, i tombini sarebbero sempre obbligati a ricevere e a smaltire in fretta qualunque sia la massa d’acqua in gioco.

Proviamo a semplificare ancora e guardiamo la figura del lavandino. Il getto d’acqua è paragonabile alla precipitazione che cade durante il passaggio di una normale perturbazione: lo scarico, cioè il nostro tombino, riceve senza problemi. Riempiamo ora una bacinella capiente e svuotiamola di getto nel lavandino per simulare la pioggia di un violento nubifragio. A questo punto, credo che sia di una banalità assoluta chiedere se il nostro tombino riesce o meno a smaltire tutta quell’acqua senza andare in crisi. La risposta è scontata e quindi non la scrivo nemmeno. Ribadisco quanto detto all’inizio: la manutenzione del territorio è sacrosanta e mantenere efficienti gli scarichi dell’acqua piovana in ambiente urbanizzato è altrettanto importante per ridurre al minimo il rischio di allagamenti.

Però cerchiamo ora di entrare nell’ottica che si possono verificare precipitazioni di gran lunga più impattanti che diventano ingestibili se ristrette nel tempo in cui un tombino riesce a gestire lo scarico di una precipitazione meno intensa, meno abbondante e che si distribuisce su più ore. Se allora meteorologi e climatologi fanno notare che certi eventi, che singolarmente avrebbero tempi di ritorno SECOLARI, hanno letteralmente scardinato la statistica climatologica nel momento in cui si sono verificati per ben tre volte nell’arco di SEDICI MESI, possiamo provare a comprendere che, prima di tirare sempre fuori la «storia del tombino», ci sia da chiedersi perché stiamo assistendo all’aumento della FREQUENZA di situazioni di questo tipo. E se sussiste un legame con il cambiamento climatico, perché per esempio la legge fisica di Clausius-Clapeyron ci dice che un’atmosfera più calda è in grado di incamerare più vapore acqueo e quindi più materia prima per produrre pioggia, cerchiamo di prenderne atto. La risoluzione dei problemi parte anche dalla consapevolezza che l’atmosfera ha una maggiore capienza e che, se messa nelle condizioni di trasformare un maggiore potenziale pluviometrico in precipitazione reale a causa di un concatenamento di fattori atmosferici alle diverse scale sinottiche, essa può calare il jolly.

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