Petroliera Sounion, il Mar Rosso sta rischiando il più grande inquinamento marino di sempre

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Petroliera Sounion, il Mar Rosso sta rischiando il più grande inquinamento marino di sempre

L’appello dell’Ammiraglio Caligiore per una task force d’intervento posta sotto il coordinamento Onu, in grado di affrontare la petroliera in fiamme
Di Aurelio Caligiore, Ammiraglio Ispettore del Corpo della Guardia Costiera
tratto da GREENREPORT

L’Imo (l’Organizzazione marittima internazionale) è l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite responsabile della sicurezza della navigazione e della prevenzione dell’inquinamento marino e atmosferico causato dalle navi. Il lavoro dell’Imo sostiene gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Questa è la definizione che da di sé stessa questa Organizzazione che sovraintende a tutti gli affari dello shipping mondiale legati alla sicurezza della navigazione (safety), all’antinquinamento del mare causato dalle navi (marine pollution) e, recentemente – dopo l’attentato terroristico alle twin towers – anche in materia di sicurezza (securety).

Mi piace ricordare i compiti specifici che le Nazioni Unite hanno conferito a questa loro Agenzia specializzata per richiamare il fatto che l’assetto di coordinamento per ciò che concerne il “marine pollution” viene demandato all’Imo. Naturalmente, questo esplicito richiamo di compiti e attribuzioni è legato a quello che accade in queste ore nel Mar Rosso, in seguito all’incendio causato da un attacco terroristico degli Houti sulla petroliera greca Sounion, con un carico di 150.000 tonnellate di greggio.

La motocisterna in parola, ricordiamolo, venne colpita da razzi lanciategli contro dai ribelli yemeniti il 21 agosto scorso: a distanza di 22 giorni, nonostante la nave sia rimasta senza governo – l’intero equipaggio venne evacuato da bordo lo stesso giorno dell’attacco –, non si è ancora stati capaci di intervenire per mettere in sicurezza la nave: sicurezza che in un caso del genere riguarda la protezione dell’ambiente.

Il greggio presente a bordo, una volta fuoriuscito dalle cisterne, avrebbe un effetto altamente inquinante sull’intera area. Segnalo, inoltre, che nella storia dei trasporti marittimi non si è mai verificato un evento di queste proporzioni, il cui potenziale impatto distruttivo sull’ambiente marino ridicolizzerebbe i pur seri sinistri marittimi verificatesi nei decenni scorsi; cito per la memoria lunga degli italiani la petroliera Haven (marzo 1991) davanti al porto di Genova; la petroliera Erika (1999) davanti le coste bretoni e la Prestige (2002) davanti le coste galeghe. 

La tiepida (per adoperare un eufemismo) reazione degli Organi internazionali appare del tutto inadatta di fronte ad un reale pericolo di disastro ambientale che si annuncia da settimane e di cui nessuno, a parte l’armatore e i P&I Clubs, sembra preoccuparsene.

Ricordo, da questa testata on line che ha avuto la sensibilità di occuparsi e rilanciare il caso, che non esiste un protocollo o una procedura d’intervento già collaudata per casi del genere, per la semplice ragione che l’umanità non si è mai dovuta (per fortuna) confrontare con una situazione del genere. Una petroliera che brucia da tre settimane, lasciata senza governo in mezzo al Mar Rosso, dovrebbe turbare il sonno di coloro che hanno gravose responsabilità istituzionali al punto da non farli dormire la notte.

Concludo questo ennesimo appello, esortando, da marinaio che ama profondamente il mare, tutti coloro che nelle istituzioni internazionali, comunitarie e nazionali occupano posti di responsabilità affinché si adoperino a costituire una task force d’intervento, posta sotto il coordinamento Onu, che intervenga senza ulteriori indugi nel teatro del potenziale disastro ambientale che di ora in ora diventa sempre più drammaticamente realistico. 

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