Milioni di anni fa il Mediterraneo si prosciugò: una lezione per l’umanità di oggi

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Milioni di anni fa il Mediterraneo si prosciugò: una lezione per l’umanità di oggi

Rimasto isolato dagli altri mari e oceani, divenne un grande lago salato e si verificò un evento di estinzione di massa, con una successiva ricolonizzazione da parte di specie atlantiche che durò altri milioni di anni ancora. Un monito per l’attuale crisi ambientale causata dalle emissioni di gas serra e dalla distruzione di ecosistemi
di Daniel García-Castellanos e Konstantina Agiadi/The Conversation
www.lescienze.it

Che cosa succederebbe se gli esseri umani prosciugassero il Mar Mediterraneo, trasformandolo in un gigantesco lago salato? La sua fauna sopravvivrebbe e, in caso affermativo, quanto tempo impiegherebbe per riprendersi?

Queste possono sembrare domande molto teoriche, ma non per Herman Sörgel, un architetto bavarese che ha dedicato gran parte della sua vita proprio a questo progetto: costruire una diga gigante attraverso lo Stretto di Gibilterra, lasciare che il Mediterraneo si prosciughi e colonizzare la terra recuperata dal mare.

Sörgel organizzò conferenze e documentari e raccolse fondi fino agli anni cinquanta per un progetto che, secondo lui, avrebbe promosso la cooperazione tra Africa ed Europa e alimentato entrambi i continenti attraverso giganteschi megaprogetti idroelettrici.

Non sapeva che il suo sogno si era già realizzato alla fine del Miocene, 5,5 milioni di anni fa, come semplice risultato di forze naturali.

Quando il Mediterraneo scomparve
Dagli anni settanta, diverse generazioni di geologi e geofisici marini hanno confermato l’esistenza di uno strato di sale spesso da uno a tre chilometri, sepolto nella maggior parte delle zone più profonde del Mar Mediterraneo.

Si tratta di quasi un milione di chilometri cubi di sale che testimoniano un breve periodo in cui il Mediterraneo è stato isolato dal resto degli oceani del mondo – breve in senso geologico, poiché l’episodio è durato circa 190.000 anni.

Il colpevole non fu, ovviamente, un eccentrico architetto tedesco, ma la tettonica delle placche. Il bacino del Mediterraneo, intrappolato tra due continenti che oggi continuano ad avvicinarsi fino a due centimetri all’anno, fu tagliato fuori dall’Atlantico. Le sue acque evaporarono rapidamente a causa del clima arido della regione, lasciando dietro di sé grandi quantità di sale.

Questo episodio, noto come crisi di salinità del Messiniano (il Messiniano è l’ultimo periodo del Miocene), è il più grande evento di estinzione sperimentato dalla Terra dopo il meteorite che spazzò via i dinosauri non capaci di volare e pose fine all’era mesozoica 65 milioni di anni fa.

Chiusura dell’ultimo canale di collegamento tra il Mediterraneo e l’Atlantico, che portò alla crisi di salinità del Messiniano 5,96 milioni di anni fa. (B) e (C): i fiumi che prima scaricavano nel Mediterraneo hanno scavato profonde gole nei bordi del continente; (D) l’evaporazione ha causato la saturazione salina delle acque e la precipitazione di strati salini spessi più di un chilometro; (E) nelle parti più profonde del mare sono rimasti dei laghi. Questa illustrazione mostra come i mammiferi, quali i camelidi e i gerbilli, fossero in grado di muoversi attraverso lo Stretto di Gibilterra (Pau Bahí y Daniel García Castellanos/Wikimedia Commons, CC BY-SA)

Di conseguenza, non sono necessari esperimenti di geoingegneria per rispondere alla nostra domanda iniziale: quanto è resistente la vita marina di fronte a una crisi ambientale di questa portata?

La risposta è stata appena pubblicata sulla rivista “Science”, in uno studio guidato da Konstantina Agiadi dell’Università di Vienna in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo e altri 28 scienziati di 25 istituti europei [tra cui numerosi sono quelli italiani, NdR].

Dopo aver raccolto tutti i dati fossili del Mediterraneo risalenti a un periodo compreso tra 12 e 3,6 milioni di anni fa, i risultati suggeriscono che la vita marina autoctona si è praticamente estinta quando il Mediterraneo è stato tagliato fuori, e che la successiva ricolonizzazione da parte di specie atlantiche ha dato origine a una fauna mediterranea più simile a quella che troviamo oggi.

Specie autoctone, estinte e migranti
Analizzando statisticamente le informazioni provenienti da oltre 750 articoli scientifici, siamo riusciti a documentare 22.932 presenze di un totale di 4897 specie marine che vivono nel Mediterraneo. Prima della crisi, 779 specie potevano essere considerate endemiche (cioè documentate solo nel Mediterraneo). Di queste, solo 86 erano ancora presenti dopo la crisi di salinità. Tutti i coralli tropicali che erano abbondanti nel Mediterraneo prima di questo cataclisma ambientale sono scomparsi.

Un dugongo che si nutre sul fondo del mare vicino a Marsa Alam, in Egitto. Metaxytherium serresii, un sirenio strettamente imparentato, è l’unico mammifero locale del Mediterraneo più antico della crisi di salinità che è rimasto presente dopo l’evento. A causa della limitata documentazione paleontologica, tuttavia, non si può escludere che la loro sopravvivenza sia avvenuta al di fuori di questo mare (Julien Willem, Wikimedia Commons, CC BY-SA)

Tuttavia, alcune specie di sardine apparentemente endemiche riuscirono sopravvivere. Anche il sirenio, un mammifero marino imparentato con gli attuali lamantini e dugonghi (noti anche come vacche di mare), sopravvisse.

Poiché la documentazione fossile è limitata e frammentaria, non possiamo essere certi che queste specie fossero tutte endemiche o che non sarebbero sopravvissute al di fuori del Mediterraneo; da qui il valore di basare il nostro studio sulle statistiche di un ampio numero di specie. Ma per quelle endemiche, dove sono riuscite a sopravvivere e quali rifugi hanno trovato per evitare l’aumento radicale dei livelli di sale e della temperatura?

Queste domande rimangono senza risposta, ma siamo riusciti a stabilire che i cambiamenti nelle popolazioni sono il risultato della sostituzione con specie atlantiche dopo la rialluvione del Mediterraneo, piuttosto che di un rapido adattamento al nuovo ambiente ipersalino. In altre parole, la vita non ha avuto abbastanza tempo per adattarsi e le specie estinte sono state sostituite da specie atlantiche che sono migrate nel Mediterraneo.

Diverse specie iconiche, come il grande squalo bianco e il delfino, sono apparse nel Mediterraneo solo dopo la crisi. Ancora più interessante è il fatto che l’attuale ricchezza faunistica del Mediterraneo occidentale sia arrivata solo dopo la rialluvione: in precedenza, il Mediterraneo orientale (Mar Ionio e Mar Levantino) aveva un numero maggiore di specie diverse.

Lezioni sull’estinzione di massa
L’impatto dell’isolamento del Mediterraneo sulla sua fauna e flora è stato catastrofico, distruggendo la maggior parte dei suoi ecosistemi. Un altro dato significativo emerso dalla nostra ricerca è che ci sono voluti più di 1,7 milioni di anni per recuperare il numero di specie. Questo lento recupero della ricchezza degli ecosistemi mediterranei fornisce la prima quantificazione dettagliata della risposta della fauna selvatica a un evento di estinzione di questa portata.

La stenella striata (Stenella coeruleoalba) è una delle specie di delfino più comuni nel Mediterraneo (Francesca Grossi/Wikimedia Commons, CC BY)

La biodiversità del Mediterraneo è oggi molto elevata grazie alla presenza di numerose specie endemiche. I nostri risultati suggeriscono che questo era il caso anche sei milioni di anni fa, ma che la stragrande maggioranza di queste specie endemiche è scomparsa quando il Mediterraneo è stato tagliato fuori dall’Atlantico.

Forse un’altra lezione appresa da questo studio è che, per quanto si possa essere tentati di credere che i progetti di geoingegneria possano permetterci di mantenere il nostro attuale tasso di emissioni e di distruzione dell’ecosistema, il passato geologico della Terra rivelerà più di qualsiasi esperimento.

Quando il Mediterraneo si è ricollegato all’Atlantico, è stato ripopolato dall’enorme riserva di specie degli oceani del mondo, ma ci sono voluti milioni di anni affinché gli ecosistemi del Mediterraneo si riprendessero in termini di ricchezza. Nessuno sa ancora quanto tempo occorrerà alla vita marina per riprendersi dal tipo di cambiamento su scala globale attualmente in corso.

Gli autori
Daniel García-Castellanos, è geoscienziato dell’Istituto di geoscienze di Barcellona(Geo3Bcn – CSIC), in Spagna
Konstantina Agiadi, è geoscienziata e paleontologa del Dipartimento di geologia dell’Università di Vienna, in Austria

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