Come deviare un asteroide pericoloso con un’esplosione nucleare
Un esperimento di laboratorio ha dimostrato in che modo le emissioni di raggi X generate da un’esplosione nucleare potrebbero alterare la traiettoria di un asteroide diretto verso il nostro pianeta
di Emiliano Ricci
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Fra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del secolo scorso, mentre la corsa allo spazio stava accelerando, alcuni scienziati cominciarono a considerare l’uso dell’energia nucleare nello spazio per varie applicazioni. Questo interesse teorico trovò una prima espressione in progetti come il Project Orion, avviato dal fisico Freeman Dyson e da altri ricercatori, con l’intento di esplorare l’ipotesi di impiego di esplosioni nucleari per spingere una navicella spaziale, prendendo spunto da un’idea iniziale del fisico polacco Stanislaw Ulam, formulata già nel 1946. Anche se Orion non si concentrava sugli asteroidi, fu uno dei primi progetti a considerare l’uso di armi nucleari nello spazio.
L’idea di utilizzare un’arma nucleare per deviare un asteroide risale invece alla fine degli anni sessanta, e fu quasi per gioco. Fu infatti un gruppo di studenti del Massachusetts Institute of Technology (MIT), sotto la supervisione del loro insegnante Paul Sandorff, a concepire nel 1967 il celebre Icarus Project, a cui anni dopo si ispirò la pellicola Meteor, del 1979, entrata a buon diritto nel filone del cinema catastrofista. Il progetto prese infatti forma come un esercizio teorico proposto dal docente ai suoi studenti, che dovevano affrontare uno scenario ipotetico in cui un asteroide di grandi dimensioni, chiamato 1566 Icarus, sarebbe entrato in rotta di collisione con il nostro pianeta. Proprio in quello stesso anno, infatti, Icarus si avvicinò a circa 6,4 milioni di chilometri dalla Terra, generando per la prima volta un serio interesse nello studio di potenziali tecniche di difesa nel caso di un futuro impatto.
Ora, su “Nature Physics”, un gruppo di ricercatori guidato da Nathan W. Moore, dei Sandia National Laboratories, ad Albuquerque, nel New Mexico, negli Stati Uniti, torna a descrivere un esperimento in cui viene simulata la deviazione di un asteroide utilizzando un’esplosione nucleare. Utilizzando la macchina Z (Z machine), un dispositivo a potenza pulsata in dotazione ai Sandia National Laboratories, che sfrutta campi magnetici per produrre alte temperature e raggi X ad alta potenza, Moore e colleghi hanno dimostrato come le emissioni di raggi X generate da un’esplosione nucleare potrebbero alterare la traiettoria di un asteroide. In particolare, l’articolo descrive la simulazione della deflessione di un asteroide con un impulso di raggi X prodotto da un denso plasma di argon generato dalla macchina Z. Questi risultati suggeriscono che, in caso di emergenza, una simile strategia potrebbe prevenire una collisione con la Terra.
Dal chicco di caffè all’asteroide
“Abbiamo dimostrato che un finto asteroide (delle dimensioni di un chicco di caffè) può essere deviato in laboratorio simulando un’esplosione di raggi X: la potenza dell’esplosione è stata tale da vaporizzare la superficie del finto asteroide e accelerarlo a circa 70 metri al secondo, ovvero alla velocità di un treno ad alta velocità”, spiega a “Le Scienze” lo stesso Nathan Moore, primo autore dell’articolo. “Scalando matematicamente il risultato, prevediamo che questa idea possa essere utilizzata per deviare asteroidi di molti chilometri di grandezza. In alternativa, si potrebbe usare questo concetto per deviare asteroidi più piccoli che ci sorprendono presentandosi senza preavviso, se è necessaria una risposta rapida.”
Questo esperimento è il primo del suo genere e il gruppo sta appena iniziando a determinare l’efficacia di questo approccio. Ma intanto permette di misurare l’efficacia della deviazione orbitale di diversi tipi di asteroidi in laboratorio, senza le complicazioni dei test nello spazio. Esperimenti come questo saranno poi utili a sviluppare i modelli di deflessione degli asteroidi, essenziali per progettare una strategia di difesa planetaria efficace, che tenga conto di tutti i possibili scenari.
“Finora abbiamo dimostrato la validità di questo concetto solo utilizzando materiali molto semplici, ovvero due forme di silice pura”, prosegue Moore. “Ma le rocce possono essere complicate. Si ritiene che molti asteroidi siano costituiti da collezioni di diversi tipi di rocce e minerali. Alcune possono essere tenute insieme con forza, mentre altre appaiono come cumuli sciolti di macerie [i cosiddetti asteroidi di tipo “rubble pile”, NdA]. Esperimenti come il nostro saranno fondamentali per capire come queste differenze possano influenzare la possibilità di modificare la traiettoria di un asteroide in arrivo.”
I rischi da valutare
Naturalmente, l’uso dell’energia nucleare per deviare un asteroide non è esente da problemi. Il rischio principale è che l’esplosione sia troppo forte e fratturi l’asteroide. Se l’asteroide dovesse fratturarsi, potrebbe diventare difficile prevedere la traiettoria dei frammenti, alcuni dei quali potrebbero anche arrivare a colpire la Terra. Di conseguenza, potrebbe esserci un limite pratico alla forza con cui si può far esplodere un asteroide senza che si frantumi. L’approccio proposto dal gruppo prevede il rilascio di un’esplosione di raggi X a diversi chilometri o più dalla superficie dell’asteroide, che aiuta a minimizzare questo effetto, perché l’esplosione è meno violenta rispetto a una detonazione in superficie. “I nostri esperimenti, che possono essere condotti sulla Terra, forniscono un modo per iniziare a capire come le superfici degli asteroidi risponderanno a questi scenari”, commenta ancora Moore.
La missione DART della NASA dello scorso anno ha dimostrato che gli asteroidi possono essere bersagliati con successo. Tuttavia, al momento l’unico modo conosciuto per creare un impulso di raggi X abbastanza intenso da deviare un vero asteroide nello spazio sarebbe in effetti proprio quello di far esplodere un dispositivo nucleare vicino a un asteroide. Pertanto, prima di poter testare una tecnologia di questo tipo su un asteroide reale dovranno essere affrontate importanti questioni pratiche, come, per esempio, la valutazione delle diverse alternative disponibili.
Diversi approcci possibili
Come spiega ancora Moore, negli ultimi decenni sono stati proposti diversi approcci alla difesa planetaria. Tra questi, l’impatto cinetico (come quello di DART), l’esplosione di raggi X (come l’approccio affrontato dagli autori dell’esperimento), le esplosioni di neutroni, i laser focalizzati, i motori a fusione nucleare, i trattori gravitazionali e molti altri. Tra la miriade di opzioni, solo l’impatto cinetico e l’esplosione di raggi X sono ritenuti in grado di affrontare l’intera gamma di scenari che coinvolgono asteroidi di diverse dimensioni e anche la possibilità di un breve tempo di preavviso. Tuttavia, sono in corso ricerche in tutte queste aree. Avere a disposizione più opzioni è il modo migliore per prepararsi.
L’impatto cinetico, come ha dimostrato la missione DART, può essere molto efficace per gli asteroidi di piccole e medie dimensioni o quando c’è un ampio tempo di preavviso (decenni, per esempio). Ma l’impatto cinetico ha i suoi limiti. Per gli asteroidi più grandi, speronarli con un piccolo veicolo spaziale non sarebbe sufficiente. La comunità della difesa planetaria è concorde nel ritenere che l’approccio che prevede l’esplosione di raggi X sia l’unica opzione praticabile per gli asteroidi più grandi e minacciosi o per modificare la traiettoria di un asteroide scoperto poco prima dell’impatto con la Terra (entro un anno o meno). “Questi sono in effetti i due scenari in cui l’impatto cinetico potrebbe essere insufficiente”, chiarisce Moore.
Rilevare, classificare, prevedere
Proprio i tempi di preavviso rappresentano una criticità importante. “Esistono sforzi internazionali per rilevare e classificare gli oggetti vicini alla Terra nel nostro sistema solare”, conferma Moore. “Via via che gli oggetti vengono scoperti, si possono fare delle stime sulla traiettoria. Al momento non siamo a conoscenza di oggetti potenzialmente devastanti in traiettoria verso la Terra. Tuttavia, si stima che attualmente sia stato scoperto meno del 50 per cento degli asteroidi in grado di provocare devastazioni significative. Pertanto, la possibilità di un impatto rimane una preoccupazione.”
Prima di poter progettare una missione di deflessione di successo, restano dunque da risolvere alcune importanti questioni scientifiche. Queste domande includono: come reagiscono gli asteroidi composti da minerali diversi? Qual è la distanza ideale di detonazione per produrre la massima spinta sull’asteroide? Possiamo effettivamente imprimere all’asteroide una spinta sufficiente a farlo uscire dalla rotta senza provocarne la frattura? “La nostra nuova tecnica sperimentale permetterà di rispondere a molte di queste importanti domande conducendo esperimenti controllati qui sulla Terra. In questo modo avremo modo di testare i nostri modelli e di prevedere le probabilità di successo, in modo da essere pronti se dovesse arrivare il momento”, conclude Moore.