C’era una volta un pianeta con gli anelli… la Terra

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C’era una volta un pianeta con gli anelli… la Terra

Circa 466 milioni di anni fa la Terra potrebbe aver avuto un sistema di anelli simile a quello posseduto oggi da Saturno, la cui presenza potrebbe aver contribuito al primo dei grandi eventi di estinzione di massa nella storia del nostro pianeta. È quanto suggerisce un nuovo studio condotto da tre ricercatori della Monash University
di Giuseppe Fiasconaro
Tratto da INAF

Nel  Sistema solare, solo quattro pianeti possiedono anelli. Sono i giganti gassosi Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Saturno è il pianeta con il sistema di anelli più esteso e visibile – da cui l’appellativo “il Signore degli anelli”. Giove, Urano e Nettuno hanno invece anelli più sottili, e per questo non facilmente visibili. Questo oggi, ma un tempo le cose potrebbero essere state molto diverse. Secondo un nuovo studio pubblicato su Earth and Planetary Science Letters, infatti, circa 466 milioni di anni fa la Terra potrebbe aver avuto un sistema di anelli simile a quello posseduto oggi da Saturno. Ma c’è di più: considerato che studi recenti limitano l’età degli anelli di Saturno a non più di 400 milioni di anni, a quell’epoca il “Signore degli anelli” del Sistema solare potrebbe essere stato il nostro pianeta.

Andrew Tomkins, Erin Martin e Peter Cawood, ricercatori presso la Monash University, in Australia, sono giunti a questa conclusione esaminando le registrazioni paleogeografiche dei crateri da impatto prodotti all’inizio di un periodo di intenso bombardamento meteorico della Terra, noto come evento meteorico dell’Ordoviciano o picco di impatti dell’Ordoviciano.

Illustrazione artistica realizzata con Adobe AI del sistema di anelli che la Terra potrebbe aver avuto 466 milioni di anni fa. Crediti: Media Inaf

Il punto di partenza di questo lavoro di ricerca è un assunto che riguarda la distribuzione dei crateri da impatto su un pianeta e il corpo all’origine di queste voragini. L’assunto è questo: se i crateri da impatto su di un pianeta derivano da impatti di asteroidi provenienti dalla fascia degli asteroidi, tra le orbite di Marte e Giove, questi saranno uniformemente distribuiti su tutta la superficie. Viceversa, se derivano da un unico corpo che si è frantumato durante un incontro ravvicinato con la Terra, saranno “concentrati” in una specifica area.

Nello studio in questione, i ricercatori hanno esaminato la distribuzione di 21 crateri da impatto noti per essere stati prodotti durante l’evento meteorico dell’Ordoviciano. Per farlo, hanno utilizzato le registrazioni paleogeografiche di questi crateri e tutti i modelli globali relativi alla tettonica a placche disponibili per l’Ordoviciano – un periodo geologico compreso tra  485 e 443 milioni di anni fa –, identificando le paleo-latitudini delle aree che conservano tali crateri, i cosiddetti cratoni: ampie zone continentali che per centinaia di milioni di anni non hanno subito grandi modificazioni geologiche. Le indagini hanno mostrato che tutti e 21 i crateri in esame erano situati entro 30 gradi dall’equatore, nonostante oltre il 70 per cento della crosta terrestre si trovasse al di fuori di questa regione.

Secondo i ricercatori, la spiegazione più plausibile di questo risultato, e qui arriviamo al dunque, è che questi crateri non siano stati prodotti da impatti casuali di corpi provenienti dalla Fascia degli asteroidi con la Terra, ma da un unico grande asteroide – probabilmente il corpo progenitore delle condriti di tipo L – che è entrato nella sfera di Hill della Terra, la sua regione di dominanza gravitazionale. Quando l’asteroide è passato oltre il limite di Roche (la distanza minima rispetto al centro del nostro pianeta alla quale un corpo può orbitare senza frammentarsi per effetto delle forze di marea), questo si sarebbe disintegrato, formando un anello di detriti attorno al pianeta simile a quello presente oggi attorno a Saturno e ad altri giganti gassosi. Nel corso di milioni di anni, spiegano i ricercatori, il materiale costituente questi anelli – polveri, ghiaccio e frammenti di roccia – è deorbitato, cadendo sulla Terra e producendo il picco di impatti dell’Ordoviciano e la distribuzione dei crateri osservata nei registri geologici.

I risultati di questa ricerca, oltre a spingere gli scienziati a riconsiderare la comprensione della storia antica del nostro pianeta, si prestano a speculazioni sul paleoclima della Terra. A questo proposito, l’ipotesi dei ricercatori è che la presenza di un anello di detriti attorno al nostro pianeta possa aver bloccato il flusso della luce solare in arrivo. Questa ombreggiatura potrebbe aver contribuito in modo significativo all’evento di raffreddamento globale, verificatosi verso la fine dell’Ordoviciano, noto come glaciazione dell’Hirnantiano: uno dei periodi più gelidi degli ultimi 500 milioni di anni di storia della Terra, alla base del primo dei “cinque grandi” eventi di estinzione di massa.

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