La grotta di Denisova sorprende ancora con il genoma umano più antico del mondo

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La grotta di Denisova sorprende ancora con il genoma umano più antico del mondo

Quattordici anni dopo la scoperta della misteriosa popolazione denisoviana, il sito siberiano si conferma uno scrigno di paleo-molecole di DNA utili per ricostruire l’evoluzione e le interazioni dei gruppi umani arcaici
di Anna Meldolesi
www.lescienze.it

Denisova è l’unico sito al mondo noto per aver ospitato tre tipi diversi di Homo: denisoviani, neanderthaliani e sapiens. Il primo ad averci fatto scoprire una popolazione estinta a partire dalle sue tracce molecolari anziché fossili: gli uomini e le donne di Denisova, per l’appunto.

In questo luogo dei paleo-miracoli sono venuti alla luce anche i resti di una ragazza mista, neanderthaliana da parte di madre e denisoviana da parte di padre, a dimostrazione del fatto che la preistoria umana è stata un melting-pot di migrazioni e incroci.

Questa grotta circondata da foreste di larici e betulle, situata sui monti Altai, in Siberia, ha garantito per centinaia di migliaia di anni condizioni di umidità e temperatura ottimali, tali da conservare in buono stato il DNA nonostante la frammentazione dei resti ossei. Crocevia di specie e culture arcaiche, culla della rivoluzione del paleo-DNA, ora dai suoi spessi strati archeologici è emerso un altro genoma da record: il più antico DNA nucleare di alta qualità appartenuto a un essere umano. Questo individuo denisoviano di sesso maschile, vissuto ben 200.000 anni fa, è indicato con il nome Denisova 25.

Le tante occupazioni della grotta di Denisova


La notizia, annunciata al meeting annuale della Society for Molecular Biology and Evolution che si è tenuto recentemente in Messico, è stata ripresa da “Science” l’11 luglio. Il nuovo genoma batte di 80.000 anni il precedente primato, attribuito a un Neanderthal vecchio 120.000 anni, trovato anche lui a Denisova. È doveroso precisare che esistono segmenti di DNA ancora più antichi, ma nessuno può competere con Denisova 25 per quanto riguarda la quantità di informazioni conservate. Il Neanderthal spagnolo di Sima de los Huesos, in particolare, vanta 400.000 anni ma ci ha restituito solo il piccolo DNA mitocondriale (che segue la linea materna) e una minima parte del DNA nucleare (quello ben più grande ereditato in proporzioni uguali da mamma e papà).

Denisova 25 arriva ad affiancare la più celebre bambina di Denisova datata tra i 60.000 e gli 80.000 anni fa, il cui genoma (prima mitocondriale e poi nucleare) ha svelato per la prima volta l’esistenza di questa popolazione di cui non erano ancora emerse testimonianze fossili. Per inciso, gli antropologi hanno evitato di creare una specie ad hoc, perché i confini tra gruppi estinti possono essere elusivi e porosi, soprattutto laddove ci sono prove di ibridazioni ripetute. Per questo quasi nessuno si riferisce ai denisoviani con la classica nomenclatura latina (la dicitura Homo altaiensis, coniata a partire dai Monti Altai, non ha mai preso piede).

Le tante famiglie dei Denisova

Resta il fatto che il primo DNA di Denisova, miracolosamente estratto a Lipsia da una minuscola e apparentemente poco significativa falange di un mignolo con fattezze infantili, ha stupito la comunità scientifica perché la sequenza non rientra nei parametri dei Neanderthal classici né tanto meno degli umani anatomicamente moderni. È così che, a partire dal 2010, un terzo gruppo umano di cui nessuno aveva ipotizzato la presenza è entrato a sorpresa sulla scena del Pleistocene euroasiatico e si è scatenata la caccia per scovare altri reperti e altri genomi denisoviani. Nonostante alcuni ritrovamenti importanti, le testimonianze fossili restano tuttora scarse e frammentarie in confronto alla ricchezza dei dati genetici, al punto che i Denisova possono essere definiti una “popolazione biomolecolare”.

Per quanto riguarda l’ultimo arrivato, Denisova 25, siamo ancora in attesa di una pubblicazione ufficiale e dobbiamo accontentarci di quanto anticipato al meeting di Puerto Vallarta da Stéphane Peyrégne del Max-Planck-Institut per l’antropologia evoluzionistica a Lipsia. Vale la pena notare che anche quest’ultimo exploit è arrivato nell’istituto tedesco diretto da Svante Pääbo, il padre fondatore degli studi sul paleo-DNA, vincitore del Nobel per la medicina 2022. Tutto ciò che sappiamo al momento, comunque, è che il nuovo genoma maschile deriva da un molare trovato da Maxim Kozlikin dell’Accademia russa delle scienze, e che è riconducibile a una popolazione distinta rispetto alla bambina del mignolo. Il gruppo a cui apparteneva quest’uomo, ben più arcaico, sarebbe stato rimpiazzato nel corso del tempo da altri denisoviani giunti nella stessa grotta.


Tra gli uni e gli altri si sarebbe verificata l’occupazione neanderthaliana, con possibili sovrapposizioni e coabitazioni, come suggerisce il ritrovamento della ragazza mista di prima generazione. Altri elementi arrivano a complicare il quadro. Innanzitutto sembra che gli antenati di Denisova 25 si siano incrociati in più occasioni con individui neanderthaliani appartenenti a una popolazione non ancora individuata attraverso il DNA. Per aggiungere un ulteriore livello di complessità, è interessante ricordare che nel genoma del mignolo femminile erano state intraviste le tracce di un contributo non identificato ancora più arcaico.

Potremmo definirlo “super-arcaico” e ipotizzare che indichi un incrocio della linea denisoviana con Homo erectus o un suo parente. La stessa eco genetica di questo possibile evento si ritrova ora anche nel genoma del molare maschile. Resta aperta, dunque, l’ipotesi di una ghostpopulation, ovvero un gruppo di antenati “fantasma” la cui plausibile presenza emerge statisticamente dalla modellizzazione delle sequenze genetiche anziché concretamente dagli scavi archeologici. Il mistero insomma si dirada e si complica al tempo stesso, accrescendo l’eccitazione degli esperti che da oltre un decennio cercano di decifrare l’enigma di Denisova.

Volendo mettere qualche punto fermo, per fare un po’ di chiarezza, possiamo dire che Neanderthal e Denisova rappresentano due linee distinte, emerse da un comune antenato almeno 400.000 anni fa. I primi si sono stabiliti in Europa e Medio Oriente, i secondi si sono spinti ulteriormente verso est, nel continente asiatico, continuando a incrociarsi nelle zone di contatto. Secondo i dati anticipati da Peyrégne, le due strade si sono separate abbastanza nettamente da far acquistare ai denisoviani circa 300.000 cambiamenti genetici distintivi rispetto ai neandertaliani.

A comporre il puzzle stanno contribuendo anche altri elementi, tra cui le tracce denisoviane lasciate dagli incroci del passato nel DNA degli Homo sapiens dei giorni nostri, tra cui gli abitanti della Papua Nuova Guinea e i cinesi di etnia Han. Gli avanzamenti tecnici stanno rendendo accessibili una quantità crescente di informazioni, grazie al DNA recuperato direttamente dai sedimenti e agli studi molecolari che prendono di mira le paleo-proteine quando il DNA è troppo degradato. In definitiva, tutto lascia credere che questi umani arcaici fossero abbastanza numerosi e geograficamente diffusi, certo non confinati a un’unica grotta sperduta in Siberia.

I primi ritrovamenti lontano da Denisova, in effetti, sono avvenuti in Tibet con un genoma mitocondriale denisoviano pubblicato nel 2020 e, poche settimane fa, con la ricostruzione delle prede cacciate nella grotta di Baishiya. Nella comunità scientifica serpeggia il sospetto che possa appartenere al gruppo anche l’enigmatico Dragon Man cinese, un cranio splendidamente conservato che potrebbe finalmente consentirci di guardare in faccia i denisoviani, ma per il momento manca la prova regina: la conferma molecolare. Nel 2019 ha fatto clamore il primo studio che ha provato a dedurre alcune caratteristiche fisiche denisoviane a partire dai dati paleo-molecolari del genoma del mignolo.

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