Così le onde di Alfvén spingono il vento solare
Approfittando dei dati raccolti durante un raro allineamento fra due sonde solari spaziali – Parker Solar Probe della Nasa e Solar Orbiter dell’Esa – è stato possibile dimostrare come un particolare tipo di onde presenti nel plasma – le onde di Alfvén – riesca ad accelerare e riscaldare il flusso di particelle cariche in uscita dalla corona solare. Lo studio è stato pubblicato su Science
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Da dove proviene l’energia che riscalda e accelera il vento solare? Dati cruciali per rispondere a questa domanda, sulla quale gli astrofisici si interrogano da decenni, arrivano ora dalla sonda Solar Orbiter dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. Lavorando in tandem con la sonda della Nasa Parker Solar Probe, Solar Orbiter ha infatti permesso di scoprire che parte dell’energia necessaria ad alimentare il vento solare – un flusso costante di particelle cariche che fuoriesce dalla corona – ha origine nelle grandi fluttuazioni del campo magnetico della nostra stella.
Il vento solare – la cui collisione con l’atmosfera del nostro pianeta genera le aurore polari – può toccare velocità superiori ai 500 km/s, pari a ben 1.8 milioni di km/h. Quando fuoriesce dalla corona, però, ha velocità inferiori. Dunque dev’esserci qualcosa che lo accelera quando si allontana. E che lo “scalda”: dal milione di gradi iniziale, infatti, man mano che il flusso di particelle si espande e diventa meno denso ovviamente si raffredda, proprio come accade qui sulla Terra all’aria salendo in montagna, ma si raffredda più lentamente di quanto ci si attenderebbe.
Cosa fornisce dunque l’energia necessaria per accelerare e riscaldare le componenti più veloci del vento solare? I dati di Solar Orbiter e di Parker Solar Probe hanno fornito la prova definitiva che la risposta sta nelle oscillazioni su larga scala del campo magnetico del Sole, note come onde di Alfvén.
«Prima del nostro lavoro, le onde di Alfvén erano state contemplate tra le potenziali fonti di energia, ma non avevamo prove definitive», ricorda Yeimy Rivera del Center for Astrophysics – Harvard & Smithsonian (Massachusetts, Usa), prima autrice dello studio che illustra la scoperta, pubblicato oggi su Science e al quale ha preso parte anche Rossana De Marco dell’Inaf di Roma. «Il nuovo risultato è stato reso possibile solo grazie a un allineamento molto particolare dei due veicoli spaziali, che hanno potuto campionare lo stesso flusso di vento solare in fasi diverse del suo viaggio dal Sole».
Le onde di Alfvén sono particolari onde magnetoidrodinamiche. A differenza di quanto avviene in un normale gas come può essere l’aria, dove si formano solo onde acustiche, quando un gas raggiunge temperature straordinarie – come nell’atmosfera del Sole – si ionizza e diventa plasma: uno stato in cui risponde ai campi magnetici, consentendo così la formazione di un nuovo tipo di onde – le onde di Alfvén, appunto – capaci di immagazzinare energia e trasportarla in modo efficiente attraverso il plasma.
Sia Solar Orbiter che Parker Solar Probe hanno a bordo gli strumenti necessari per misurare le proprietà del plasma, compreso il suo campo magnetico. Pur operando a distanze diverse dal Sole e su orbite molto differenti, nel febbraio 2022 le due sonde si sono ritrovate allineate lungo lo stesso flusso di vento solare. Parker, in orbita a 13.3 raggi solari (circa 9 milioni di km) dal Sole, dunque ai margini esterni della corona solare, ha attraversato il flusso per primo. Solar Orbiter, che si trovava invece a 128 raggi solari (89 milioni di km), lo ha attraversato uno o due giorni più tardi.
Approfittando di questo raro allineamento, il team ha così potuto confrontare misure dello stesso flusso di plasma ottenute in due punti diversi. Vicino al Sole, dove sono stati raccolti i dati di Parker, circa il dieci per cento dell’energia totale si trovava nel campo magnetico. Nei pressi di Solar Orbiter questa frazione era scesa ad appena l’uno per cento, e al tempo stesso il plasma si era raffreddato più lentamente del previsto e aveva raggiunto una velocità superiore. Confrontando questi dati, il team ha così concluso che ad accelerare il plasma e a rallentarne il raffreddamento – dunque a scaldarlo – è stata proprio l’energia magnetica mancante.
Dai dati è inoltre emerso il ruolo che hanno, nell’accelerazione del vento solare, particolari configurazioni magnetiche note come switchback. Ampie e repentine deviazioni delle linee di campo magnetico del Sole, gli switchback sono stati osservati già dalle prime sonde solari degli anni Settanta, ma la frequenza di rilevamento è aumentata drasticamente da quando Parker Solar Probe è diventato il primo veicolo spaziale a volare attraverso la corona del Sole, nel 2021,e ha rilevato che gli switchback si presentano a gruppi – e che questi gruppi contengono energia a sufficienza da poter essere responsabili della porzione mancante dell’accelerazione e del riscaldamento del vento solare, perlomeno di quello più veloce.
«Questo nuovo lavoro mette sapientemente insieme alcuni grandi pezzi del puzzle solare. Sempre di più, la combinazione dei dati raccolti da Solar Orbiter, Parker Solar Probe e altre missioni ci mostra come diversi fenomeni solari agiscano insieme per formare un ambiente magnetico straordinario», dice Daniel Müller, project scientist dell’Esa per Solar Orbiter.
Il lavoro del team nel frattempo va avanti cercando di estendere la ricerca anche alle forme più lente del vento solare, per capire se l’energia del campo magnetico del Sole gioca un ruolo anche nella loro accelerazione e nel loro riscaldamento.