C’è differenza tra i sessi nelle radici del dolore

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C’è differenza tra i sessi nelle radici del dolore

Studi sul dolore condotti sugli animali stanno raccogliendo prove sempre più convincenti che le vie nervose del dolore sono diverse tra maschi e femmine e coinvolgono, tra l’altro, ormoni e cellule immunitarie. Queste scoperte potrebbero avere profonde conseguenze sul trattamento personalizzato del dolore negli esseri umani, anche se non in un futuro immediato
di Amber Dance/Nature
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Nel 2009 Robert Sorge studiava il dolore nei topi, ma è stato lui a finire con il mal di testa.

Alla McGill University di Montreal, in Canada, Sorge stava studiando in che modo gli animali sviluppavano un’estrema sensibilità al tatto. Per analizzare questa reazione, Sorge stimolava le zampe dei topi usando peli sottili, che normalmente non li infastidivano. I maschi si comportavano come affermava la letteratura scientifica: ritraevano le zampe anche per quelli più fini. Invece le femmine rimanevano insensibili ai gentili punzecchiamenti di Sorge.

“Nelle femmine non funzionava affatto”, ricorda Sorge, che ora studia il comportamento all’Università dell’Alabama a Birmingham. “Non riuscivamo a capire perché”. Sorge e il suo supervisore alla McGill University, lo studioso del dolore Jeffrey Mogil, proseguirono nelle ricerche fino a determinare che quel tipo di ipersensibilità al dolore derivava da vie molto diverse nei topi maschi e femmine, con tipi distinti di cellule immunitarie che contribuivano al disagio.

Sorge e Mogil non avrebbero mai fatto la loro scoperta se avessero fatto come la maggior parte dei ricercatori che si occupano di dolore. Includendo topi maschi e femmine, stavano andando controcorrente. All’epoca, molti studiosi del dolore temevano che i cicli ormonali delle femmine complicassero i risultati. Altri si limitavano ai maschi perché… beh, perché era così che si faceva.

Oggi, ispirati in parte dal lavoro di Sorge e Mogil e spinti dai finanziatori, i ricercatori che studiano il dolore stanno aprendo gli occhi sulla variabilità delle risposte tra i sessi. I risultati stanno iniziando a diffondersi ed è chiaro che alcune vie del dolore variano notevolmente, e le cellule immunitarie e gli ormoni hanno ruoli chiave nelle differenti risposte.

Questa spinta fa parte di un movimento più ampio per considerare il sesso una variabile importante nella ricerca biomedica, in modo da garantire che gli studi coprano l’intera gamma di possibilità invece di racimolare i risultati di una singola popolazione.

Una svolta importante è avvenuta nel 2016, quando i National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti hanno reso obbligatorio per chi richiedeva un contributo di giustificare la scelta del sesso degli animali utilizzati negli esperimenti. Le scoperte nella ricerca sul dolore sono tra le più interessanti che sono emerse, afferma Cara Tannenbaum, direttrice scientifica dell’Institute of Gender and Health di Montreal, parte del Canadian Institutes of Health Research. E sul lavoro di Sorge e Mogil, aggiunge, “Per quanto ne so, nessun altro campo scientifico ha identificato questo tipo di differenza di sesso”.

Le differenze tra i sessi nelle radici del dolore

Il dolore acuto si propaga dai nervi periferici verso la spina dorsale e poi verso il cervello. Su questo meccanismoi di base se ne innestano altri, mediati dagli ormoni e dalle cellule immunitarie (Science Photo Library RF / AGF)

La ricerca potrebbe aprire la porta a nuovi progressi medici, aggiunge Tannenbaum, di cui c’è un estremo bisogno: circa il 20 per cento delle persone in tutto il mondo soffre di dolore cronico, e la maggior parte sono donne. Oggi il mercato farmaceutico offre gli stessi farmaci antidolorifici a tutti. Ma se le radici del dolore sono diverse, alcune molecole potrebbero funzionare meglio in alcune persone che in altre.

Inoltre, potrebbero servire farmaci per il dolore diversi quando i livelli ormonali oscillano nel corso della vita. E il sesso di una persona non sempre s’inserisce chiaramente nelle categorie di maschio e femmina: è determinato da uno spettro di caratteristiche, tra cui la genetica, lo sviluppo anatomico e i livelli ormonali, ognuno dei quali potrebbe influenzare i bisogni di una persona nella terapia del dolore. Il quadro è molto lontano dall’essere completo, e gli studi, quasi tutti sui roditori, finora si sono concentrati sul sesso biologico, e non sul genere, un concetto psicosociale che non corrisponde necessariamente al sesso.

Iain Chessel, vicepresidente e responsabile del dipartimento di neuroscienze di AstraZeneca a Cambridge, nel Regno Unito, prevede che i futuri farmaci antidolorifici saranno adattati alle persone e che il sesso sarà un fattore chiave di queste prescrizioni personalizzate. “Ma non ne sappiamo ancora abbastanza”, aggiunge.

Immuni al dolore

Il dolore insorge quando i sensori nervosi della pelle, dei muscoli, delle articolazioni o degli organi registrano una sensazione potenzialmente dannosa, come il calore o un’alterazione dei tessuti. Trasmettono segnali attraverso i nervi periferici al midollo spinale, attivando altri nervi che inviano segnali al tronco encefalico e alla corteccia cerebrale, che interpreta quei segnali come “ahi!”. Ma il dolore si produce in molti modi, e vi contribuiscono diversi percorsi chimici. Alcuni tipi di dolore si distinguono per la durata. C’è una risposta acuta a qualcosa di caldo, acuto o comunque nocivo, e c’è un dolore cronico a lungo termine che potrebbe persistere anche dopo che la ferita iniziale è guarita.

Il dolore cronico può manifestarsi come ipersensibilità a stimoli altrimenti non dolorosi, come nel caso dei topi maschi di Sorge.

Nel 2009, lui e Mogil stavano studiando un modello di dolore cronico scatenato dall’infiammazione. L’iniezione di una molecola batterica chiamata lipopolisaccaride nella spina dorsale dei topi attirava l’attenzione della microglia, le cellule immunitarie residenti del sistema nervoso. Ma negli studi di Sorge, questo portava all’infiammazione solo nei maschi, spiegando perché erano così sensibili al test della stimolazione con i peli, come riferito da Sorge e Mogil nel 2011. Nelle femmine la microglia restava inattiva, il che sembrava spiegare la loro indifferenza verso la stimolazione prodotta da Sorge sulle loro zampe.

Per capire meglio perché topi maschi e femmine affrontavano il dolore in modo così diverso, Sorge e Mogil si sono rivolti a una fonte di dolore che colpisce tutti i topi. Hanno lesionato il nervo sciatico degli animali, che corre dalla parte bassa della schiena lungo ogni zampa. La lesione ha provocato una forma di dolore cronico che si verifica quando il sistema di rilevazione del dolore del corpo è danneggiato o malfunzionante, rendendo sia i topi maschi sia i topi femmina più sensibili al tatto.

Le differenze tra i sessi nelle radici del dolore

BSIP / AGF

Eppure anche in questo caso c’erano delle differenze. La microglia sembrava avere un ruolo preminente nel dolore dei maschi, ma non in quello delle femmine. Sorge e un gruppo di collaboratori di tre istituzioni hanno scoperto che, a prescindere da come si bloccava la microglia, il blocco eliminava l’ipersensibilità al dolore solo nei maschi.

Non è che le femmine fossero immuni al dolore. Erano infastidite dalle lesioni nervose tanto quanto i maschi, ma non usavano la microglia per diventare ipersensibili al tatto. Mogil e Sorge si sono chiesti se dietro al dolore cronico nelle femmine vi fosse un’altra componente immunitaria: i lifociti T, un tipo di cellule di cui è noto il ruolo nella sensibilizzazione al dolore nei topi.

Sorge ha provato a produrre la stessa lesione ai nervi di femmine di topo private di linfociti T. Ne è risultato che diventavano ancora ipersensibili ai peli sottili, ma il meccanismo sembrava esplicarsi tramite la microglia. Nelle femmine prive di linfociti T, il blocco dell’attività della microglia impediva questa risposta al dolore, proprio come nei maschi. E quando i ricercatori hanno trasferito i linfociti T ai topi femmina che non li avevano, gli animali hanno smesso di usare la microglia nel dolore indotto da una lesione dei nervi (si veda l’infografica di “Nature”).

I risultati del gruppo, riportati nel 2015, hanno avuto una grande influenza sul campo degli studi sul dolore, afferma Greg Dussor, neurofarmacologo dell’Università del Texas a Dallas. I risultati hanno mostrato che anche se dall’esterno il dolore potrebbe sembrare simile per tutti, gli scienziati non possono supporre che sia lo stesso all’interno.

I punti del dolore
Se gli animali possono passare da una via del dolore a un’altra, che cosa controlla il passaggio?

I ricercatori hanno attribuito a lungo le differenze di sesso nella percezione del dolore agli estrogeni, ormoni che controllano lo sviluppo dell’utero, delle ovaie e del seno e che regolano il ciclo mestruale. Gli estrogeni possono esacerbare od offuscare il dolore, a seconda della loro concentrazione e posizione. Il testosterone, l’ormone coinvolto nello sviluppo del pene, dei testicoli e della prostata, e di caratteristiche secondarie come i peli del corpo, ha ricevuto molta meno attenzione dagli studiosi del dolore, anche se le ricerche suggeriscono che può ridurre il dolore, e alcune persone con dolore cronico seguono terapie con testosterone.

Nel caso della microglia e dell’ipersensibilità al dolore, la ricerca di Mogil punta direttamente al testosterone come interruttore di controllo delle vie del dolore. Negli studi del 2011 e del 2015, quando Sorge ha testato topi maschi castrati, che hanno bassi livelli di testosterone, gli animali hanno mostrato una risposta simile a quella delle femmine. E quando i ricercatori hanno fornito testosterone ai maschi castrati o alle femmine, la via del dolore è diventata una via dipendente dalla microglia.

Da allora, i ricercatori hanno continuato a trovare prove che confermano l’importanza della microglia – e degli enzimi e dei recettori delle cellule – nei topi maschi che provano dolore. E il fenomeno non è limitato ai topi: uno dei collaboratori di Mogil, il neuroscienziato Michael Salter, ha scoperto anche recettori microgliali attivi in ratti maschi che presentavano ipersensibilità da lesione dei nervi. Salter, che guida la ricerca presso l’Hospital for Sick Children di Toronto, in Canada, ora sta indagando sulla questione nei macachi, che probabilmente elaborano il dolore in modo più simile agli esseri umani.

Studiare queste vie del dolore negli esseri umani è molto più difficile, ma stanno emergendo nuovi indizi. Il neurofarmacologo Ted Price, dell’Università del Texas a Dallas, e i suoi collaboratori, hanno trovato prove preliminari, pubblicate questo mese, di differenze nel modo in cui le cellule immunitarie contribuiscono al dolore negli esseri umani.

Price e colleghi tanno lavorando con tessuto nervoso rimosso da individui con cancro, i cui tumori hanno invaso la spina dorsale. Nei nervi escissi dagli uomini che provano dolore, il gruppo di Price ha trovato segni d’infiammazione causata dalle cellule immunitarie chiamate macrofagi. Queste cellule svolgono una funzione simile a quella della microglia.

Nelle donne che pativano dolore, tuttavia, i fattori più importanti in gioco sembravano invece le stesse cellule nervose e una breve sequenza di mattoni elementari delle proteine (i peptidi) che stimola la crescita dei nervi. I risultati suggeriscono parallelismi tra uomo e roditore nelle differenze sessuali, dice Price.

Le differenze tra i sessi nelle radici del dolore

Cellula della microglia ripresa al microscopio elettronico a scansione (Science Photo Library / AGF)

Ma le cellule immunitarie e gli ormoni non spiegano completamente le differenze nel dolore.

Per esempio, Sarah Linnstaedt, biologa traslazionale dell’University of North Carolina Medical Center a Chapel Hill, ha scoperto che alcune donne potrebbero avere una predisposizione genetica al dolore cronico. Il suo gruppo ha identificato una serie di molecole di RNA nel sangue che hanno maggiori probabilità di essere present in concentrazioni elevate nelle donne che sviluppano dolore cronico al collo, alle spalle o alla schiena dopo un incidente automobilistico. Molte di queste molecole di RNA sono codificate da geni sul cromosoma X, di cui esistono due copie nella maggior parte delle donne.

Sono informazioni utili, dice Linnstaedt. “Ci consentiranno di sviluppare nuove terapie che possono essere utilizzate nelle donne in modo specifico a dosi più elevate”.

Differenziare i farmaci

Anche altri stanno pensando a trattamenti per il dolore differenziati in base al sesso. In uno studio pubblicato online nel novembre 2018, Price e il suo gruppo hanno riferito che un farmaco per il diabete chiamato metformina riduce le popolazioni microgliali che circondano i neuroni sensoriali nel midollo spinale. Hanno anche dimostrato che il farmaco blocca l’ipersensibilità al dolore dovuto a danni ai nervi solo nei topi maschi. “Non ha fatto nulla nelle femmine; anzi, è andata un po’ peggio”, dice Price, che ha una teoria sul perché di questo fenomeno: per entrare nel sistema nervoso, la metformina utilizza una proteina espressa a livelli più alti nelle cellule dei maschi. Tuttavia, dosi più alte non hanno fatto la differenza nelle donne, presumibilmente perché il farmaco era intrappolato al di fuori dei nervi.

Dosi più elevate aiutano le donne che assumono uno dei più antichi farmaci antidolorifici: la morfina. Sia le donne sia i roditori femmina solitamente richiedono dosi più elevate di morfina per ottenere lo stesso sollievo dal dolore degli uomini e dei roditori maschi, afferma Anne Murphy, neuroscienziata della Georgia State University di Atlanta, che è una tra i pochi ricercatori che studiavano le differenze sessuali ben prima che i NIH cambiassero le loro linee guida.

La microglia è anche dietro i diversi effetti della morfina, secondo quanto riferito dal gruppo di Murphy nel 2017. La droga attenua il dolore bloccando i neuroni in una regione del cervello chiamata sostanza grigia periacqueduttale, o PAG. Ma lì il farmaco può anche attivare la microglia, contrastando gli effetti di riduzione del dolore della morfina.

Questo è esattamente ciò che accade nei ratti femmina, che hanno una microglia più attiva nel PAG rispetto ai maschi. Quando i ratti venivano trattati con la morfina prima che gli scienziati applicassero un raggio di luce caldo alle loro zampe, le femmine avevano più infiammazione nel PAG e ritraevano le gambe più rapidamente dei maschi a cui era stata data la stessa dose. Quando il gruppo di Murphy ha bloccato gli effetti della morfina sulla microglia, maschi e femmine hanno risposto al dolore in modo simile.

C’è almeno un farmaco già sul mercato che gli scienziati hanno ragione di pensare che funzioni in modo diverso tra i sessi. Nel 2018, la Food and Drug Administration statunitense ha approvato trattamenti per l’emicrania basati su anticorpi contro il CGRP, un peptide del sistema nervoso coinvolto in questo tipo di mal di testa. Le emicranie colpiscono tre volte più donne che uomini.

In uno studio non ancora pubblicato su topi e ratti, un team guidato da Price e Dussor ha applicato il CGRP alla spessa membrana che riveste il cervello. Nelle femmine, il peptide ha creato una risposta che sembrava un’emicrania: gli animali facevano una smorfia e le loro facce erano ipersensibili al tatto. Nei maschi: “Niente”, dice Dussor. Le moderne medicine anti-CGRP potrebbero funzionare meglio nelle donne che negli uomini, aggiunge – ma gli studi clinici del farmaco non hanno verificato tali effetti.

Questo è tipico di molte sperimentazioni sui farmaci. Di solito includono uomini e donne, ma i numeri dei soggetti coinvolti spesso non sono abbastanza alti da individuare le differenze. C’è una reale possibilità che farmaci antidolorifici che in passato hanno fallito le sperimentazioni cliniche potrebbero aver avuto successo se fossero stati testati separatamente in base al sesso, dice Price. “Sembra una cosa ovvia”, aggiunge, “ma nessuno la stava facendo davvero”.

Pillole personalizzate

Chessel, di AstraZeneca, sarebbe felice di sviluppare un farmaco antidolorifico che funziona solo in persone di un certo sesso. Ma il sesso dei partecipanti agli studi e degli animali sottoposti alle sperimentazioni è guidato da questioni pratiche, preoccupazioni etiche e regolamenti governativi, dice. AstraZeneca utilizza roditori femmina nella maggior parte della sue ricerche precliniche sul dolore perché sono meno aggressivi e più facili da gestire dei maschi. Nelle prime sperimentazioni cliniche, la sicurezza è l’obiettivo, quindi le aziende spesso escludono le donne che potrebbero rimanere incinte. Di conseguenza, i farmaci sono testati soprattuto su uomini e su donne già in menopausa.

Ma anche se gli scienziati sviluppassero farmaci mirati a vie del dolore specifiche di uomini o donne, questi potrebbero non essere sufficienti. Potrebbe essere meglio personalizzare i farmaci ancora di più, per tenere conto della variabilità genetica, dei livelli ormonali e dello sviluppo anatomico.

Poche ricerche sono state condotte sui meccanismi del dolore in persone che non rientrano in una definizione binaria di sesso e genere. In uno studio condotto in Italia, i ricercatori hanno esaminato persone transgender sottoposte a trattamento ormonale. Hanno scoperto che 11 soggetti su 47 che passavano da maschio a femmina riferivano problemi di dolore sorti dopo la transizione. Sei persone su 26 in transizione da donna a uomo hanno riferito che i loro problemi di dolore erano diminuiti dopo l’assunzione di testosterone.

Basandosi sugli esperimenti del suo gruppo con i trattamenti al testosterone e di castrazione nei topi, Mogil pensa che le vie del dolore siano determinate dai livelli ormonali. Presuppone che le persone con un livello di testosterone oltre una certa soglia abbiano meccanismi di dolore di tipo maschile, e quelle in cui il testosterone scende al di sotto di quel livello sperimentino il dolore attraverso meccanismi comuni nelle femmine.

Le risposte al dolore sembrano cambiare anche durante la vita, all’incirca nel momento in cui i livelli ormonali aumentano o diminuiscono. Gli studi che guardano solo al sesso biologico hanno scoperto che durante la pubertà le percentuali di disturbi del dolore aumentano più nelle ragazze che nei ragazzi. E via via che le persone invecchiano, e alcune entrano in menopausa, i livelli ormonali cambiano di nuovo e le differenze di sesso nei tassi di dolore cronico cominciano a scomparire.

Anche la gravidanza modifica le risposte al dolore. Il gruppo di Mogil ha riferito nel 2017 che, all’inizio della gravidanza, i topi passano da un meccanismo di sensibilizzazione al dolore tipicamente femminile, indipendente dalla microglia, a uno più associato ai maschi, che coinvolge la microglia. Alla fine della gravidanza, le femmine non sembrano provare dolore cronico.

Gli scienziati in cerca di queste differenze sessuali non sono più pochi. “Si stanno scoprendo cose un po’ ovunque”, dice Mogil. “A questo punto, penso che sappiamo meno di metà di tutta la faccenda.”

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Nature” il 27 marzo 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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