PERCHÉ L’ANTICICLONE NORD AFRICANO, IN ESTATE, È UN ANTICICLONE A METÀ. L’ESEMPIO NELLA SITUAZIONE PREVISTA PER QUESTA SETTIMANA
Scritto da Andrea Corigliano
tratto da CENTROMETEO
Nei miei interventi, se ci avete fatto caso, non ho mai parlato esplicitamente di «anticiclone nord africano», ma di «promontorio nord africano» per rendere l’idea di un’ondulazione del flusso che porta la cresta dell’onda a espandersi dall’entroterra sahariano fino al Mediterraneo. Non si tratta di una scelta arbitraria, ma legata a quei principi di base di fisica dell’atmosfera che ci permettono di capire come si formano le figure di alta e di bassa pressione che ci interessano. Che cos’è l’anticiclone nord africano? Quando possiamo chiamarlo in questi termini e quando no? Che legami ha con l’Anticiclone delle Azzorre? Proviamo a rispondere a queste domande, partendo dall’ultima. L’Anticiclone delle Azzorre e quello noto ai più come «anticiclone nord africano» fanno entrambi parte della fascia anticiclonica subtropicale: si tratta di una cintura di alte pressioni che si forma attorno ai 30° di latitudine nord – e in modo speculare anche sull’emisfero australe – dai rami discendenti della cella di Hadley e di quella di Ferrel (fig. 1).
Guardando solo al nostro emisfero, la prima imposta la tra l’equatore e i 30°N, mentre la seconda da questa latitudine fino ai 60° N. Senza entrare troppo nello specifico e tenendo presente che questi schemi appena descritti sono molto semplificati ma comunque sufficienti per comprendere la dinamica che si verifica, diciamo che l’azione congiunta di questi due rami favoriscono, proprio intorno ai 30° di latitudine nord, dei moti discendenti delle masse d’aria che sono proprio tipici delle aree di alta pressione. A questo punto dobbiamo considerare il tipo di suolo su cui arrivano questi moti, impostati dall’alto verso il basso dalla dinamica atmosferica a grande scala. La fascia anticiclonica che sovrasta la terraferma – cioè l’entroterra nord africano – non ha la forza per raggiungere con i propri moti discendenti gli ultimi strati della troposfera perché questi, d’estate, risentono dell’eccessivo riscaldamento del suolo desertico: l’aria molto calda, se non addirittura rovente con temperature anche superiori ai 30 °C a 1500 metri, si espande ed espandendosi fa diminuire la pressione atmosferica nei bassi strati.
Quello che è noto quindi ai più come «anticiclone nord africano», in estate è una figura barica a due facce: in quota ha la struttura di un anticiclone e al suolo quella di una bassa pressione, detta «termica» perché è una conseguenza dell’eccessivo riscaldamento causato dall’intensa radiazione solare. In inverno, invece, possiamo parlare di «anticiclone nord africano» a tutti gli effetti perché quei moti discendenti riescono ad arrivare fino al suolo che, non riscaldandosi a sufficienza per motivi astronomici, non fornisce all’aria soprastante energia sufficiente per dilatarsi e quindi per formare la bassa pressione termica. Compreso questo concetto, diventa allora semplice intuire perché invece possiamo sempre parlare di «anticiclone delle Azzorre»: questa figura sovrasta la superficie oceanica che si riscalda molto meno rispetto a quella desertica e di conseguenza, in questo caso, i moti discendenti arrivano fino al livello del mare strutturando il campo anticiclonico su tutta la colonna d’aria.
Dalla teoria alla pratica. Vediamo ora la circolazione che si interesserà nel corso di questa settimana che, come abbiamo detto, sarà caratterizzata da un nuovo rinforzo del promontorio nord africano (in quota) verso il bacino del Mediterraneo. Come possiamo osservare (fig. 2, a sinistra), la nostra penisola sarà raggiunta da isoterme che tra giovedì 18 e venerdì 19 avranno a 850 hPa valori per lo più compresi tra 20 e 25 °C: si tratta certamente di una massa d’aria di stampo subtropicale continentale che sarà trasportata verso le nostre latitudini e da qui verso l’Europa orientale da un meccanismo a tre ingranaggi che possiamo individuare osservando l’andamento delle linee di flusso alla stessa quota (fig. 2, a destra): dal momento che queste linee – con le rispettive freccette che indicano la direzione – si attorcigliano in senso orario, vuol dire che a circa 1500 metri saranno presenti tre piccole «ruote anticicloniche» che agganceranno l’aria calda sull’entroterra marocchino e algerino per trasportarla verso nord-est. A 850 hPa saremo quindi in presenza di una circolazione anticiclonica che ritroviamo anche a 500 hPa (fig. 3): osservando infatti l’andamento delle medesime linee a questa quota possiamo notare come il promontorio nord africano sia maggiormente delineato nella sua consueta forma di «cresta dell’onda» con asse inclinato verso nord-est.
Quando parliamo quindi di ondate di calore legate al «promontorio nord africano in quota», parliamo sempre di questo tipo di dinamica atmosferica: ci deve essere «qualcuno» che trasporta l’aria calda subtropicale continentale verso il Mediterraneo e l’Europa per dare forma a queste fasi meteorologiche. Questo «qualcuno» è un promontorio, cioè una struttura anticiclonica che, come detto, è presente alle quote superiori e che si estende a foggia di cupola dall’entroterra nord africano dove, d’estate, al suolo non è presente un’area di alta pressione ma, come spiegato, di bassa pressione termica.
Ricordo a tutti i nostri lettori che, su facebook, potete trovarmi anche alla pagina di Meteorologia Andrea Corigliano a questo link. Grazie e buona lettura!