Il Tevere è sempre più salato vicino alla foce: agricoltura a rischio nel Lazio
A causa della siccità la portata del fiume è più che dimezzata rispetto alla media, favorendo la risalita del cuneo salino. Anbi: «Le conseguenze della crisi climatica sono accentuate da una sregolata pressione antropica sulle risorse idriche»
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A causa della crisi climatica in corso, con la relativa avanzata della siccità al centro sud, la portata del Tevere si aggira attualmente sugli 80 metri cubi al secondo, quando la media del periodo è superiore a mc/s 200.
Un fenomeno che favorisce la risalita del cuneo salino nell’entroterra, come spiega l’associazione nazionale dei Consorzi di bonifica (Anbi) nell’ambito del seminario formativo organizzato dal sindacato Filbi-Uil a Milano Marittima.
«Si sta salinizzando il fiume Tevere con gravi ripercussioni sull’agricoltura di grandi aree vocate a produrre cibo come Maccarese e Ladispoli, ma nessuno ne parla», denuncia Massimo Gargano, dg Anbi.
La crisi inizia fin dalla sorgente del fiume con un flusso praticamente dimezzato già a monte Molino, in Umbria. Analoga condizione si registra per l’Aniene. Non va meglio per i livelli dei laghi dei Colli Romani: quello di Albano è calato di 11 cm nell’ultimo mese, il bacino di Bracciano è sotto 7 centimetri rispetto all’anno scorso e quello di Nemi ha perso addirittura quasi mezzo metro d’acqua in 12 mesi.
«Le conseguenze della crisi climatica – sottolinea Gargano – sono accentuate nel Lazio da una sregolata pressione antropica sulle risorse idriche. Per questo è necessario aumentare le disponibilità d’acqua, efficientando le infrastrutture esistenti e realizzando nuovi bacini di accumulo; il futuro non possono certo essere i dissalatori, i cui costi penalizzerebbero fortemente l’economia agricola e la nostra borsa della spesa».
Al contempo, i dissalatori saranno sempre più essenziali per rispondere alla esigenze idropotabili, come sta accadendo ad esempio in Toscana. Mentre la siccità, localmente, avanza, è sempre più evidente la necessità di molteplici azioni d’intervento tra loro coordinate, che non si possono limitare ai soli invasi.
È dunque necessario agire su più fronti puntando sulle soluzioni basate sulla natura (Nbs), ad esempio rinaturalizzando i fiumi e la rete idrica superficiale, o realizzando “città spugna” e Aree forestali d’infiltrazione per ricaricare le falde.
Per quanto riguarda invece in particolare gli invasi, attualmente nel Lazio ce ne sono 5 invasi con una capacità complessiva di 7.495.000 metri cubi; il Piano invasi (“laghetti”), proposto da Anbi e Coldiretti ma ancora non presentato in dettaglio a livello nazionale, ne prevede almeno altri 18 capaci di aumentare la disponibilità idrica di ulteriori 13.312.500 metri cubi.
Nell’ipotesi del Piano invasi, su tali bacini potranno essere posizionati 23 impianti fotovoltaici galleggianti (produzione: 15,26 milioni di kilowattora all’anno) e 4 centrali idroelettriche (produzione: 301.603 kilowattora all’anno).