INGV: 12 ANNI DAL TERREMOTO IN EMILIA
Il Database delle sorgenti sismogenetiche DISS proponeva per l’area, già prima del 2012, strutture in grado di generare terremoti fino a magnitudo 6.2.
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Per questa occasione abbiamo pensato di proporre 10 domande ai ricercatori dell’INGV che stanno studiando questo terremoto e cercare quindi di fare il punto su quanto è stato compreso finora.
1) Dal punto di vista geologico, i terremoti del 20 e 29 maggio 2012 sono stati una sorpresa?
No, perché i terremoti del maggio 2012 sono accaduti in un’area geologicamente attiva, ben conosciuta e descritta in tutti i modelli geologici e sismologici. Il settore esterno dell’Appennino settentrionale (cioè tutta la porzione a Nord e a Est dello spartiacque in direzione dell’Adriatico, compreso il margine sepolto sotto i depositi della Pianura Padana) è caratterizzato da una tettonica compressiva. Le strutture, conosciute anche nel loro andamento in sottosuolo grazie all’esplorazione per la ricerca di idrocarburi, mostrano evidenze di deformazione in atto le cui caratteristiche sono confermate dai dati delle reti sismiche, dai meccanismi focali dei terremoti recenti, delle reti di stazioni GPS, dai dati del campo di stress. Il Database delle sorgenti sismogenetiche DISS proponeva per l’area, già prima del 2012, strutture in grado di generare terremoti fino a magnitudo 6.2.
2) E dal punto di vista storico?
Anche dal punto di vista storico, l’area era conosciuta come sede di terremoti forti, come nel caso dell’evento sismico del 17 novembre 1570 che ha colpito fortemente la città di Ferrara e zone circostanti, con scosse che si sono susseguite per molti mesi (Figura 1). Studi recenti hanno consentito di individuare informazioni su terremoti abbastanza forti del XVII e XVIII secolo, fra il Modenese e il Ferrarese e non noti alle compilazioni sismologiche, che saranno inseriti nella nuova versione del catalogo dei terremoti.
3) Potrebbero avvenire terremoti più grandi in futuro? Il terremoto del 2012 è stato l’evento massimo atteso per l’area?
Molti sistemi di faglia in Italia sono segmentati in porzioni di poche decine di chilometri (tipicamente tra 10 e 30 km) che ne limitano la magnitudo massima. Sono molti i casi di sequenze sismiche complesse che hanno visto l’attivazione di due o più segmenti di faglia a distanza di ore, giorni o mesi. È accaduto per il terremoto del 1976 in Friuli (maggio e settembre), per quello della Val Comino nel 1984 (7 e 11 maggio), quello di Colfiorito (26 settembre 1997 alle 00:33 e 09:40), in Molise nel 2002 (31 ottobre e 1 novembre), e in qualche misura anche dopo il terremoto dell’Aquila nel 2009. La segmentazione è una caratteristica di tutte le faglie, anche delle più grandi e note, come la faglia di San Andreas in California, la faglia Wasatch nello Utah, la faglia nord-anatolica in Turchia, ecc. Tuttavia, non si può escludere che un terremoto possa avvenire attivando contemporaneamente più di un segmento della stessa faglia o di faglie vicine. In questo caso potrebbero avvenire terremoti anche più forti di quanto aspettato e di quanto noto dai dati storici e paleosismologici. Una situazione del genere si è verificata nel terremoto dell’Irpinia del 1980, quando si attivarono almeno tre segmenti nel giro di meno di un minuto.
Capire perché in alcuni casi si hanno terremoti su un solo segmento mentre in altri ci sono queste attivazioni successive e con tempi di ritardo molto variabili è uno degli obiettivi della ricerca sismologica da molti anni, con studi sul terreno, modelli matematici di propagazione dello stress e dei fluidi, ecc.
4) Cosa significa che la pericolosità della regione padana è “moderata”? La mappa MPS04 ha sottostimato i valori osservati?
Il modello di pericolosità sismica per l’Italia (MPS04) propone i valori di accelerazione di picco attesi su suolo roccioso, con una probabilità che vengano superati del 10% in 50 anni.
Guardando la mappa di pericolosità sismica italiana è evidente quali siano le aree più pericolose e quali meno pericolose. Si tratta però di una valutazione relativa (l’Emilia è meno pericolosa della Calabria, ma è più pericolosa del Salento; la Calabria è tra le aree a più alta pericolosità sismica in Italia, ma è meno pericolosa di alcune aree della Grecia o della Turchia). In generale la mappa non esclude che eventi forti o molto forti possano avvenire anche in Pianura Padana (Figura 2), ma dice che in quest’area la probabilità di accadimento (o, in altri termini, la frequenza) è minore rispetto ad altre aree italiane.
La curva di pericolosità per la città di Mirandola (Figura 3) mostra i valori di scuotimento in funzione della frequenza annuale di superamento (AFOE), ovvero l’inverso del periodo di ritorno; si vede che i valori registrati in occasione delle scosse del 20 e del 29 maggio in quel sito rientrano tra i valori previsti dal modello di pericolosità sismica per un suolo di classe C (*), tipo di suolo tipico della Pianura Padana.
(*) I suoli di tipo C sono definiti dalla normativa come “Depositi di terreni a grana grossa mediamente addensati o terreni a grana fina mediamente consistenti”, vale a dire con caratteristiche che amplificano la risposta sismica rispetto a terreni rocciosi.
5) E’ vero che la mappa del 2004 sottostima la pericolosità sismica rispetto a quella, più recente, ottenuta dal progetto europeo SHARE?
All’inizio del 2013 il progetto europeo “SHARE” (Seismic Hazard Harmonization in Europe) ha rilasciato un modello di pericolosità sismica per l’intera area europea. E’ stato recentemente pubblicato un articolo che mostra un confronto tra i risultati del modello europeo e la mappa di riferimento nazionale del 2004 (Meletti et al., 2014).
Dal confronto emerge che mentre i valori della accelerazione di picco (PGA) proposti da SHARE sono sempre più alti di quelli proposti da MPS04, le accelerazioni per periodi spettrali maggiori di 0.2 secondi hanno un andamento inverso, soprattutto nelle aree a maggiore pericolosità sismica. La Figura 4 mostra il confronto tra gli spettri a pericolosità uniforme per il sito di Mirandola. I grafici proposti dai due modelli con le relative incertezze sono di fatto molto simili tranne la porzione per i periodi spettrali più brevi e quindi le due stime di pericolosità sismica non sono in contraddizione tra loro.
6) La sequenza è ancora da considerare attiva o possiamo ritenerla conclusa?
La sequenza ha avuto diverse fasi di attività. Se proviamo a definirne l’andamento nel tempo con un grafico in cui riportiamo il numero di terremoti di magnitudo superiore o uguale a 2 (asse verticale) nel tempo (asse orizzontale), possiamo distinguere una prima fase con un elevato numero di terremoti per giorno (superiore a 10, con i picchi principali di oltre 300 al giorno il 20 e 29 maggio) che si è conclusa già alla fine di giugno 2012. Dopo è seguita una seconda fase con un’attività ridotta da luglio a ottobre 2012, e poi una terza fase di attività via via minore con pochi eventi al mese, che si può considerare tuttora in atto. La Figura 5 mostra l’andamento nel tempo (maggio 2012-maggio 2014) del numero di terremoti di magnitudo >=2 nell’area della sequenza emiliana. Sono riportati sia il numero giornaliero (barre verticali colorate, scala sull’asse verticale sinistro) che il totale cumulato (linea nera, scala sull’asse verticale destro). E’ evidente l’appiattimento progressivo della linea cumulata, ma va comunque notato che il livello attuale della sismicità (2017), sebbene molto basso, è ancora superiore a quello di prima della sequenza. E’ inoltre importante notare che questo andamento, ben descritto dalla Legge di Omori si riferisce esclusivamente agli aftershock dei terremoti principali del 2012 e non esclude la possibilità che venga attivato un eventuale altro segmento di faglia.
7) Confrontando la deformazione rilasciata con la sequenza del 2012 con quella tettonica presumibilmente accumulata nei secoli precedenti, possiamo fare qualche considerazione su cosa aspettarci? È possibile definire se le aree adiacenti alla struttura attivata siano ancora “cariche” o se si siano addirittura “caricate” a seguito dei terremoti del 2012?
I dati GPS mostrano che l’area interessata dalla sequenza sismica del 2012 in Emilia è caratterizzata da un tasso di raccorciamento in direzione SW-NE (quindi circa perpendicolare allo strike delle faglie attivate durante la sequenza) inferiore a 1 mm/anno (es., Bennett et al., 2012). Il basso tasso di deformazione rende però difficile distinguere il segnale tettonico inter-sismico (che intercorre tra due terremoti) delle diverse sorgenti sismogenetiche in Pianura Padana.
I tassi di scorrimento (slip-rate) inter-sismici calcolati nell’area interessata dalla sequenza dall’inversione delle velocità GPS con un modello cinematico, nell’ambito del progetto DPC-S1 2012-2013, indicano valori inferiori a 1 mm/anno, che devono considerarsi come un valore medio che può essere ripartito su più strutture attive, sub-parallele, con slip-rate quindi inferiori. Inoltre, parte della deformazione accumulata può essere rilasciata in maniera asismica. Queste indicazioni, seppur ancora approssimative, sono coerenti con le informazioni geologiche fornite dal Database delle sorgenti sismogenetiche (DISS) che indica per le due faglie interessate dalla sequenza valori di slip-rate a lungo termine tra 0.1 mm/anno e i 0.5 mm/anno.
Gli spostamenti co-sismici sui piani di faglia per i due eventi principali della sequenza, ottenuti dall’inversione dei dati GPS (Serpelloni et al., 2012; Figura 6), sono di ~99 cm per la faglia responsabile del mainshock del 20 Maggio e di ~36 cm per la faglia responsabile del mainshock del 29 maggio, in accordo anche con l’inversione di dati InSAR (es., Bignami et al. 2012; Pezzo et al., 2013; Figura 7).
Assumendo quindi che i valori di slip-rate a lungo termine per le due faglie siano dell’ordine di 0.5 mm/anno, possiamo ipotizzare che i due eventi più forti della sequenza abbiano rilasciato la maggior parte della deformazione accumulata negli ultimi ~700-2000 anni.
Le analisi sulla variazione dello sforzo di Coulomb (es., Ganas et al., 2012; Pezzo et al., 2013) sembrano suggerire che l’evento del 20 maggio ha causato un aumento di sforzo sia sulla faglia attivata il 29 maggio sia su faglie poste a ovest e a est dell’area epicentrale (Figura 8). Uno studio della deformazione post-sismica necessita dell’analisi integrata dei dati GPS e dei dati InSAR, ed è in corso di svolgimento. Questa analisi potrà fornire indicazioni sia riguardo alle modalità con cui è stata rilasciata la deformazione durante la fase post-sismica (i dati GPS indicano uno spostamento cumulato nei primi 7-8 mesi dopo l’inizio della sequenza inferiore a 1 cm nella componente nord, Figura 9) sia su eventuali variazioni del campo di deformazione a est e ovest della zona epicentrale.
8) Cosa si intende con “terzo segmento” a proposito delle sequenza dell’Emilia?
La Commissione Grandi Rischi nella riunione del 5 giugno 2012 ha fornito le seguenti interpretazioni sugli elementi principali della possibile evoluzione dei fenomeni sismici in corso in Emilia:
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“nei segmenti centrale e occidentale della struttura che hanno già registrato gli eventi di maggiori dimensioni – tra Finale Emilia e Mirandola – le scosse di assestamento stanno decrescendo in numero e dimensione;
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nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata dalla sequenza in corso, è significativa la probabilità che si attivi il segmento compreso tra Finale Emilia e Ferrara con eventi paragonabili ai maggiori eventi registrati nella sequenza; (n.d.r. il cosiddetto terzo segmento)
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non si può altresì escludere l’eventualità che, pur con minore probabilità, l’attività sismica si estenda in aree limitrofe a quella già attivata sino ad ora.”