Per almeno tre volte nella storia, le eclissi solari hanno trasformato la scienza
L’eclissi totale di Sole che sarà visibile nel Nord America tra qualche giorno è un occasione per ripercorrere la storia delle eclissi passate e di come queste abbiano contribuito ogni volta a innescare l’avanzamento di conoscenze scientifiche come la scoperta di elementi chimici o la verifica di nuove teorie sulla gravità
di Paul M. Sutter/Scientific American
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Le eclissi solari totali, come quella che attraverserà una fascia del Nord America il prossimo aprile, sono tra i fenomeni naturali più sublimi e trascendentali a cui è possibile assistere. Lo spettacolo dell’oscuramento totale – quando la Luna copre completamente il Sole e proietta un’ombra scura sulla Terra sottostante – è quasi irreale, come se il ritmo naturale e l’ordine regolare del cosmo si fossero annullati. Non c’è da stupirsi, quindi, che nel corso della storia questi eventi abbiano suscitato paura, meraviglia e riverenza. Sono stati anche l’occasione perfetta per gli astronomi per testare teorie fisiche avanzate e scoprire nuovi aspetti del mondo naturale. Ecco solo tre delle tante volte in cui un’eclissi solare totale ha trasformato la nostra visione del cielo, della Terra e di tutto il resto.
L’eclissi di Halley
Se non fosse stato per Edmond Halley, forse non avremmo mai avuto la rivoluzionaria teoria della gravità di Isaac Newton. Nel 1684 uno dei contemporanei di Halley, Robert Hooke, sostenne di essere in grado di ricavare le leggi di Keplero sul moto dei pianeti da principi più semplici. Quando gli fu contestata la sua affermazione, però, non riuscì a dimostrarla. Anche Halley aveva accettato di cimentarsi con il problema, ma non era riuscito a risolverlo, così si rivolse al suo vecchio amico Newton. Newton sorprese Hooke dicendo di aver già trovato una soluzione ma di aver “perso” gli appunti. Per soddisfare l’insistente incoraggiamento di Halley, Newton produsse forse la più grande opera di conoscenza fisica mai realizzata, i Principia Mathematica.
Dire che Halley era un grandissimo sostenitore di Newton sarebbe un eufemismo. Halley finanziò personalmente la prima pubblicazione dell’opera di Newton e svolse un ruolo fondamentale nel comunicarne al pubblico l’importanza e il significato. Così facendo, divenne la prima persona nota alla storia a prevedere con precisione un’imminente eclissi di Sole.
Le culture di tutta la storia erano riuscite a fare ipotesi approssimative sulla tempistica delle eclissi. Tuttavia, utilizzando le leggi gravitazionali di Newton nuove di zecca, Halley fu in grado di prevedere con discreta precisione i tempi e il percorso di un’eclissi totale di Sole che passò sopra Londra il 3 maggio 1715. L’orario e il percorso erano imprecisi, rispettivamente, di circa quattro minuti e di 32 chilometri. (È possibile che Halley sia stato sviato non da un difetto delle leggi di Newton, ma da imprecisioni nelle registrazioni del moto della Luna).
Naturalmente l’evento fece notizia, con scienziati e profani di tutto il mondo che riconobbero il genio di Newton. E il modo in cui Halley scelse di mappare il percorso geografico dell’eclissi (con bande scure che indicavano la totalità e la parzialità) era così valido che lo usiamo ancora oggi.
L’eclissi di Janssen
A metà del 1800 chimici, fisici e astronomi erano entusiasti della nuova tecnica della spettroscopia, in cui la suddivisione della luce in uno spettro simile all’arcobaleno nei suoi colori costitutivi poteva rivelare la composizione elementare di una sorgente. (Su quali fossero esattamente questi elementi si poteva ancora discutere, perché non era ancora stata dimostrata l’esistenza degli atomi.)
Utilizzando la spettroscopia, gli astronomi potevano, per la prima volta, scrutare attraverso i loro telescopi e identificare la sostanza di ciò che vedevano con la stessa facilità con cui avrebbero potuto toccare quei pianeti e quelle stelle lontane. Oggi la spettroscopia è il fondamento dell’astronomia moderna. Per ogni affascinante immagine astronomica di un oggetto celeste che si incontra, è probabile che vengano pubblicati una decina di articoli sul suo spettro.
Dato che il Sole è l’oggetto più luminoso del cielo, era un oggetto di studio naturale per la spettroscopia. Con questa tecnica, gli astronomi hanno trovato idrogeno, ferro, ossigeno, carbonio e molto altro nell’atmosfera incandescente del Sole, oltre ad accenni a un elemento che sfuggiva a una facile comprensione. Le prime osservazioni suggerivano che si trattasse di uno strano tipo di ferro, ma nessuna spiegazione corrispondeva pienamente ai dati.
Un passo avanti decisivo fu compiuto il 18 agosto 1868, quando gruppi internazionali di astronomi osservarono un’eclissi solare totale nell’India meridionale e nel Sudest asiatico. Tra loro c’erano Norman Lockyer e Jules Janssen, che insieme studiarono gli spettri delle prominenze solari che erano improvvisamente visibili intorno alla sagoma occultante della Luna. Questi spettri permisero di dissipare il velo di oscurità, rivelando chiaramente la presenza di un nuovo elemento sul Sole, precedentemente sconosciuto sulla Terra.
Ci sarebbero voluti decenni affinché i chimici terrestri riuscissero a isolare l’elemento, che chiamarono elio, dal termine greco helios, che significa “Sole”. L’elio è stato il primo – e finora unico – elemento scoperto in cielo prima che sulla Terra.
L’eclissi di Eddington
Per quanto bella e accurata, la teoria di Newton sulla gravità era incompleta e non riusciva a spiegare adeguatamente alcuni fenomeni, come la precessione dell’orbita di Mercurio intorno al Sole. Questa incompletezza è stata una motivazione fondamentale per gli sforzi di Albert Einstein nel forgiare un nuovo concetto di gravità tutto suo: la sua teoria generale della relatività, che tratta la gravità come la curvatura dello spazio-tempo indotta da oggetti massicci. Con la relatività generale, Einstein riuscì a spiegare i misteri dell’orbita di Mercurio. Tuttavia, si trattava tecnicamente dell’elaborazione di una teoria per spiegare risultati già noti. Aveva bisogno di una previsione, qualcosa di nuovo per dimostrare quanto fosse potente la sua teoria.
Einstein ebbe subito l’idea di usare la relatività generale per prevedere il grado di curvatura della luce a causa del campo gravitazionale, cioè della curvatura dello spazio-tempo, intorno a un oggetto massiccio come il Sole. La gravità del Sole dovrebbe deviare leggermente i raggi luminosi che passano nelle sue vicinanze. Normalmente non riusciamo a vedere questo effetto, perché è incredibilmente piccolo e la maggior parte dei raggi luminosi provenienti da stelle lontane non passa sufficientemente vicino al Sole. Ma durante un’eclissi solare totale, qualcuno potrebbe misurare la posizione precisa di una stella proprio sul bordo apparente del Sole e poi confrontare la sua posizione in qualsiasi altro momento per discernere questa deviazione.
Anche la teoria di Newton prevedeva questo tipo di deflessione e le prime incursioni di Einstein, derivate dalla relatività, hanno trovato risultati identici. In un articolo del 1911 Einstein esortò gli astronomi a cercare questo effetto. Sebbene abbiano tentato in occasione di diverse eclissi successive, i loro tentativi sono stati resi vani dal maltempo.
Questo si rivelò un bene per Einstein: una volta approfondita la sua teoria, si rese conto che i suoi calcoli davano una deflessione più forte di quella prevista dalla gravità newtoniana. Dopo che Einstein ebbe nuovamente chiesto l’aiuto dei suoi colleghi astronomi, Frank Watson Dyson e Arthur Eddington raccolsero la sua sfida. Alla guida di due spedizioni, una sull’isola di Principe [a largo della costa occidentale dell’Africa, NdT]e l’altra in Brasile, questi astronomi misurarono le posizioni apparenti delle stelle vicino al Sole durante l’eclissi totale del 29 maggio 1919 e le trovarono disallineate, esattamente come previsto da Einstein.
L’anno successivo, durante una cena alla Royal Astronomical Society, Eddington recitò la seguente poesia, che aveva scritto come parodia della Rubáiyát di Omar Khayyám.
Oh, lasciate che il Saggio raccolga le nostre misure/
Una cosa almeno è certa: la luce ha un peso/
Una cosa è certa e il resto si discute/
I raggi luminosi, quando si avvicinano al Sole, non vanno dritti.
Al giorno d’oggi gli astronomi terrestri non hanno bisogno di aspettare il prossimo fatidico allineamento della Luna per studiare il Sole, perché possono creare la propria “eclissi” su richiesta con uno strumento intelligente chiamato coronografo. Questi dispositivi possono essere semplici come un disco applicato a un telescopio che blocca con precisione la radiazione solare. Gli astronomi usano spesso i coronografi per studiare l’atmosfera esterna del Sole, dove ci sono molti misteri ancora da scoprire: nessuno sa ancora esattamente perché questa regione sia così calda, rispetto alla superficie del Sole, perché abbia campi magnetici così forti e intricati o perché sia in grado di lanciare l’infinito flusso di particelle cariche noto come vento solare.
Le eclissi naturali del passato ci hanno aiutato a rivoluzionare le nostre prospettive sull’universo e quelle attuali, create dall’uomo, ci proietteranno sicuramente nel futuro dell’astronomia. Chissà quali nuovi segreti ci rivelerà il Sole?
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L’autore
Paul M. Sutter è visiting professor di fisica e astronomia al Barnard College della Columbia University, oltre che autore, consulente della NASA, conduttore televisivo e ambasciatore culturale degli Stati Uniti.