I buchi neri esplodono? Da 50 anni questo enigma sfida la fisica quantistica

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I buchi neri esplodono? Da 50 anni questo enigma sfida la fisica quantistica

La scoperta paradossale di Stephen Hawking secondo cui i buchi neri non vivono per sempre ha implicazioni profonde e irrisolte per la ricerca di teorie unificanti della realtà
di Davide Castelvecchi/Nature
www.lescienze.it

Col senno di poi, sembra profetico che il titolo di un articolo di “Nature” pubblicato il 1° marzo 1974 si concludesse con un punto interrogativo: “Esplosioni di buchi neri?” La storica idea di Stephen Hawking su quella che oggi è nota come radiazione di Hawking ha appena compiuto cinquant’anni. Più i fisici hanno cercato di testare la sua teoria nel corso dell’ultimo mezzo secolo, più sono stati sollevati interrogativi, con profonde conseguenze sul nostro modo di vedere il funzionamento della realtà.

In sostanza, Hawking, morto esattamente sei anni fa, ha scoperto che i buchi neri non sono veramente neri, perché irradiano costantemente una piccola quantità di calore. Questa conclusione deriva dai principi fondamentali della fisica quantistica, che implicano che anche lo spazio vuoto è un luogo tutt’altro che tranquillo. Al contrario, esso è pieno di campi quantistici in cui coppie di particelle “virtuali” spuntano incessantemente dal nulla e, in condizioni normali, si annichilano quasi istantaneamente.

Tuttavia, all’orizzonte degli eventi, la superficie sferica che definisce il confine di un buco nero, accade qualcosa di diverso. Un orizzonte degli eventi rappresenta un punto di non ritorno gravitazionale che può essere attraversato solo verso l’interno e Hawking ha capito che lì due particelle virtuali possono separarsi. Una di esse cade nel buco nero, mentre l’altra si irradia, portando con sé parte dell’energia. Di conseguenza, il buco nero perde un po’ di massa, si restringe e splende.


Ramificazioni inaspettate
La forza dell’articolo di Hawking del 1974 risiede nel modo in cui combina i principi fondamentali di due pilastri della fisica moderna. Il primo, la teoria generale della relatività di Albert Einstein – in cui si manifestano i buchi neri – collega la gravità alla forma dello spazio e del tempo ed è tipicamente rilevante solo su grandi scale. La seconda, la fisica quantistica, tende a manifestarsi in situazioni microscopiche. Le due teorie sembrano essere matematicamente incompatibili e i fisici hanno a lungo lottato per trovare il modo di conciliarle. Hawking ha dimostrato che l’orizzonte degli eventi di un buco nero è un luogo raro in cui entrambe le teorie devono giocare un ruolo, con conseguenze calcolabili.

E, come è apparso subito evidente, anche profondamente inquietanti. La natura casuale della radiazione di Hawking significa che non trasporta alcuna informazione. Come Hawking si rese presto conto, ciò significa che i buchi neri cancellano lentamente qualsiasi informazione su tutto ciò che vi cade, sia quando il buco nero si forma originariamente che successivamente, via via che cresce, in apparente contraddizione con le leggi della meccanica quantistica, secondo cui l’informazione non può mai essere distrutta. Questo enigma è diventato noto come paradosso dell’informazione del buco nero.

Si è poi scoperto che i buchi neri non sono gli unici a produrre radiazione di Hawking. Qualsiasi osservatore che acceleri nello spazio potrebbe, in linea di principio, captare una radiazione simile dallo spazio vuoto. E altri analoghi della radiazione dei buchi neri abbondano in natura. Per esempio, i fisici hanno dimostrato che in un mezzo in movimento, le onde sonore che cercano di spostarsi a monte sembrano comportarsi proprio come previsto da Hawking. Alcuni ricercatori sperano che questi esperimenti possano fornire indizi su come risolvere il paradosso.

Stephen William Hawking (1942-2018) (© Corbin O’grady Studio/Science Photo Library)

Una scommessa scientifica
Negli anni novanta, il paradosso dell’informazione del buco nero è diventato oggetto di una celebre scommessa. Hawking, insieme a Kip Thorne del California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena, propose che la meccanica quantistica avrebbe dovuto essere modificata per tenere conto della radiazione di Hawking. Un altro fisico teorico del Caltech, John Preskill, sosteneva che l’informazione sarebbe stata in qualche modo preservata e che la meccanica quantistica sarebbe stata salvata.

Nel 1997, però, il fisico teorico Juan Maldacena, che attualmente lavora all’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jersey, ha proposto un’idea che indicava che Hawking e Thorne potevano sbagliarsi. Il suo articolo ha ora più di 24.000 citazioni, persino più delle circa 7000 volte in cui è stato citato l’articolo di Hawking. Maldacena ha suggerito che l’universo – compresi i buchi neri che contiene – è una sorta di ologramma, una proiezione a dimensioni superiori di eventi che si verificano su una superficie piana. Tutto ciò che accade sul mondo piatto può essere descritto dalla meccanica quantistica pura e quindi conserva l’informazione.


A prima vista, la teoria di Maldacena non si applica completamente al tipo di universo in cui viviamo. Inoltre, non spiega come l’informazione possa sfuggire alla distruzione in un buco nero, ma solo che dovrebbe farlo, in qualche modo.

“Non abbiamo una comprensione concreta del meccanismo”, spiega Preskill. I fisici, compreso Hawking, hanno proposto innumerevoli meccanismi di fuga, nessuno dei quali è stato completamente convincente, secondo Preskill. “Eccoci qui, 50 anni dopo quel grande articolo, e siamo ancora perplessi”, dice. (Le idee di Maldacena sono state sufficienti a far cambiare idea a Hawking, che nel 2004 ha accettato la scommessa.)

Un enigma quantistico
I tentativi di risolvere il paradosso dell’informazione sono diventati un’industria fiorente. Una delle idee che ha preso piede è che ogni particella che cade in un buco nero è collegata a quella che ne rimane fuori attraverso l’entanglement quantistico, ovvero la capacità degli oggetti di condividere un singolo stato quantistico anche quando sono molto distanti. Questa connessione potrebbe manifestarsi nella geometria dello spazio-tempo come un wormhole che unisce l’interno dell’orizzonte degli eventi con l’esterno.


L’entanglement è anche una delle caratteristiche cruciali che rendono i computer quantistici potenzialmente più potenti di quelli classici. Inoltre, nell’ultimo decennio, il legame tra i buchi neri e la teoria dell’informazione si è rafforzato, poiché Preskill e altri hanno studiato le analogie tra ciò che accade nelle proiezioni olografiche e i tipi di algoritmi di correzione degli errori sviluppati per i computer quantistici. La correzione degli errori è un modo di memorizzare informazioni ridondanti che consente a un computer – classico o quantistico – di ripristinare i bit di informazione danneggiati. Alcuni ricercatori vedono nella teoria della computazione quantistica la chiave per risolvere il paradosso di Hawking. Quando si crea un buco nero, l’universo potrebbe immagazzinare diverse versioni delle sue informazioni – alcune all’interno dell’orizzonte degli eventi, altre all’esterno – in modo che la distruzione del buco nero non cancelli alcuna storia.

Tuttavia, altri ricercatori ritengono che la piena risoluzione del paradosso dell’informazione potrebbe dover attendere la soluzione di un altro grande problema: quello di conciliare la gravità con la fisica quantistica. Hawking ha continuato a lavorare sul problema quasi fino alla sua morte, ma senza risultati chiari.


Per quanto riguarda il titolo dell’articolo di Hawking, vedere vere e proprie esplosioni di buchi neri è una possibilità che gli astronomi prendono sul serio. I buchi neri di grandi dimensioni si comportano come corpi molto freddi, ma quelli più piccoli sono più caldi, il che li fa rimpicciolire più velocemente; e le particelle che rilasciano dovrebbero diventare sempre più energetiche, fino a raggiungere il culmine quando il buco nero scompare. Hawking ha dimostrato che i buchi neri di massa stellare “ordinaria”, che si formano quando le stelle massicce collassano su se stesse alla fine della loro vita, impiegano molte volte più tempo dell’età dell’universo per arrivare a questo punto. Eppure, in linea di principio, buchi neri con masse più piccole potrebbero essersi formati grazie a fluttuazioni casuali nella densità della materia durante i primi istanti dopo il big bang. Se un buco nero primordiale della giusta massa dovesse svanire da qualche parte vicino al sistema solare, potrebbe essere rilevato dagli osservatori di neutrini e raggi gamma.

Finora gli astronomi non hanno visto esplodere alcun buco nero, ma sono ancora in attesa. Un’osservazione di questo tipo sarebbe certamente valsa a Hawking il premio Nobel che gli è sfuggito per tutta la vita. Invece, le domande portate dal titolo del suo semplice e curioso articolo sembrano destinate ad alimentare l’intersezione tra cosmologia e fisica per un bel po’ di anni ancora.

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