Calotte polari: rese più instabili dai cambiamenti climatici ed eventi estremi

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Calotte polari: rese più instabili dai cambiamenti climatici ed eventi estremi

Lo studio internazionale è stato pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth and Environment
Fonte: OGS

Comprendere la variabilità delle calotte polari dell’Antartide e quella Artica, è fondamentale per definire le proiezioni future dell’innalzamento del livello del mare. Un gruppo di ricerca composto da 29 esperti internazionali, a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, ha illustrato lo stato delle conoscenze sulla variabilità delle calotte polari, concludendo che per prevedere l’innalzamento del livello del mare è necessaria una migliore comprensione della sensibilità delle calotte ai cambiamenti climatici passati oltre che futuri.

Lo studio, coordinato dall’Università di Lincoln nel Regno Unito, è stato pubblicato sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment e ha esaminato gli archivi paleoclimatici, le osservazioni attuali e le simulazioni di modelli numerici, definendo le priorità di ricerca per lo studio della variabilità delle calotte glaciali. L’analisi dettagliata della loro variabilità è, infatti, fondamentale per ridurre l’incertezza nelle previsioni sull’innalzamento globale del livello del mare nel passato ed in futuro.

“Spesso si pensa che le calotte glaciali dell’Antartide e della Groenlandia rispondano relativamente lentamente ai cambiamenti climatici” spiega Edward Hanna dell’Università di Lincoln (Regno Unito), coordinatore dello studio, precisando che “Tuttavia, il nuovo studio illustra che parte di queste enormi calotte rispondono molto più rapidamente al riscaldamento del clima, in un modo simile a quello in cui la frequenza e l’intensità degli uragani e delle ondate di caldo cambiano con il clima”.

La perdita di massa delle calotte glaciali non è una semplice risposta uniforme al riscaldamento climatico, ma è punteggiata da brevi eventi estremi (come, per esempio, il crollo della piattaforma di ghiaccio del Conger dell’Antartide nel 2022) che possono durare anche solo alcuni giorni ma possono innescare importanti perdite di massa. Eventi brevi sono a volte associati ad improvvise ondate di caldo e un esempio in tal senso è stato lo scioglimento di interi settori della calotta glaciale della Groenlandia nel luglio 2023.

“Nello studio di Nature Reviews Earth & Environment abbiamo sottolineato proprio la necessità di monitorare sia i cambiamenti a breve che a lungo termine delle calotte glaciali per ridurre l’incertezza nelle future proiezioni dell’innalzamento del livello del mare” spiega Laura De Santis, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS. “Abbiamo osservato come le previsioni sull’innalzamento del livello del mare devono essere perfezionate, per prepararsi meglio agli impatti dei cambiamenti climatici, considerando sia fluttuazioni a breve termine sia in un ampio intervallo di tempi, da giorni a migliaia di anni” precisa De Santis.

“La nuova pubblicazione sottolinea che le fluttuazioni climatiche a breve termine potrebbero avere un effetto di amplificazione, il che significa che le calotte glaciali sono più sensibili ai cambiamenti climatici di quanto si pensasse in precedenza” spiega ancora Florence Colleoni, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS.

“Tuttavia, i modelli, i processi e gli impatti della variabilità della calotta glaciale su diverse scale temporali, da giorni fino a millenni, non sono ben compresi” prosegue Edward Hanna. “Non tenere conto di tale variabilità può portare a proiezioni errate della futura perdita di massa delle calotte glaciali su più secoli. Il momento di agire è adesso e il miglioramento delle proiezioni attraverso sforzi internazionali come questo ci aiuterà a spianare la strada a un futuro più sostenibile” conclude il professore dell’Università di Lincoln.

La ricerca è stata sponsorizzata dal World Climate Research Programme’s Climate and Cryosphere project, dall’International Arctic Science Committee e dallo Scientific Committee on Antarctic Research.

Link allo studio: https://doi.org/10.1038/s43017-023-00509-7

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