Trovato in UHZ1 il buco nero supermassiccio più antico

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Trovato in UHZ1 il buco nero supermassiccio più antico

La scoperta, resa possibile grazie alle osservazioni combinate dei telescopi spaziali della NASA James Webb e Chandra X-Ray Observatory, potrebbe aiutare a spiegare come si sono formati alcuni buchi neri supermassicci già poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang
di Matteo Serra
www.lescienze.it

Combinando le osservazioni dei telescopi spaziali della NASA James Webb Space Telescope (JWST) e Chandra X-Ray Observatory, due gruppi internazionali di astronomi sono riusciti a individuare il buco nero supermassiccio più antico e distante mai osservato, che si sarebbe formato “appena” 470 milioni di anni dopo il big bang e dista circa 13,2 miliardi di anni luce da noi.

La scoperta è stata presentata in due studi separati, pubblicati sulle riviste “The Astrophysical Journal Letters” e “Nature Astronomy”, guidati rispettivamente da Andy Goulding della Princeton University e Ákos Bogdán dello Harvard–Smithsonian Center for Astrophysics di Cambridge, in Massachusetts: nel primo sono descritte le caratteristiche della galassia ospitante, chiamata UHZ1 e individuata nella luce infrarossa grazie a JWST, mentre il secondo è focalizzato sulla descrizione del buco nero, la cui scoperta è stata resa possibile soprattutto grazie all’osservatorio Chandra, specializzato nella rilevazione di radiazione X.

La galassia UHZ1 si trova nella direzione di osservazione dell’ammasso di galassie Abell 2744. Quest’ultimo è molto più vicino alla Terra (circa 3,5 miliardi di anni luce) rispetto a UHZ1, ma il suo ruolo è stato decisivo nell’osservazione del buco nero supermassiccio, grazie al fenomeno di “lente gravitazionale”: si tratta di un effetto previsto dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein, secondo cui la luce proveniente da una fonte luminosa molto distante (come una galassia) può subire una deflessione per effetto della curvatura dello spazio-tempo indotta da un oggetto massiccio, producendo così un’immagine deformata o moltiplicata agli occhi di un osservatore. In questo caso, la luce proveniente dalla galassia UHZ1 è stata ingrandita di circa un fattore quattro dalla materia presente in Abell 2744, permettendo così al telescopio JWST di rilevarne l’esistenza e a Chandra di misurare una debole sorgente di raggi X, che è considerata una “pistola fumante” dell’esistenza di un buco nero supermassiccio in crescita.

La scoperta può gettare luce su un problema da tempo aperto nell’ambito degli studi sull’universo primordiale: non sono ancora ben chiari i meccanismi che hanno permesso ad alcuni buchi neri supermassicci di raggiungere masse enormi già poco dopo il big bang. Un elemento dirimente è la massa dei buchi neri: se questa è particolarmente elevata (superiore alle 10.000 masse solari) significa che l’origine dei buchi neri è legata al collasso di enormi nubi di gas, mentre per masse più piccole (tra le 10 e le 100 masse solari) la loro nascita può derivare dal collasso delle prime stelle formatesi nell’universo.

Sulla base della luminosità e dell’energia dei raggi X misurati, i ricercatori hanno stimato che la massa del buco nero appena scoperto dovrebbe essere compresa tra i 10 e i 100 milioni di masse solari: una stima che non lascia troppi dubbi sull’origine del buco nero, da ricercare nel collasso di una nube di gas molto massiccia. Tuttavia, si tratta di una massa davvero elevata e sorprendente, pari addirittura a quella dell’intera galassia ospitante (per avere un metro di paragone, basti pensare che il buco nero supermassiccio al centro della nostra Via Lattea contiene circa lo 0,1 per cento della massa galattica totale); ciò colloca questo oggetto tra i cosiddetti buchi neri outsize, una classe di buchi neri molto pesanti ipotizzata per la prima volta nel 2017 da Priyamvada Natarajan, dell’Università di Yale, tra i coautori del nuovo articolo pubblicato su “Nature Astronomy”.

“Crediamo che si tratti della prima rivelazione di un buco nero di questo tipo, ma l’osservazione rappresenta anche la migliore prova ottenuta finora che alcuni buchi neri possono formarsi a partire da nubi di gas massicce”, ha sottolineato Natarjan.

L’osservazione di questo antichissimo buco nero rappresenta un nuovo successo per il telescopio spaziale JWST, che dal suo lancio (avvenuto alla fine del 2021) fino a oggi ha già prodotto numerosi risultati scientificamente rilevanti, oltre a raccogliere immagini di oggetti cosmici a un livello di dettaglio senza precedenti.

“È da 20 anni che attendevamo JWST e la possibilità di osservare buchi neri nell’universo giovane: finalmente quel momento è arrivato”, ricorda Marta Volonteri, astrofisica all’Institut d’Astrophysique di Parigi e coautrice dello studio su “Nature Astronomy”. “Tuttavia, il buco nero di UHZ1 è più massivo di quanto pensassimo: per saperne di più sulla popolazione tipica dei buchi neri a quell’epoca, probabilmente dovremo scavare più in profondità nei dati.”

A tal proposito, questo risultato ha messo in luce come la possibilità di abbinare le grandi potenzialità di JWST a quella di altri telescopi specializzati rappresenti un approccio molto promettente per indagare l’universo primordiale, che sarà replicato anche in futuro.

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