Migliaia di altri “cerchi delle fate” privi di spiegazione sono stati trovati in tutto il mondo

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Migliaia di altri “cerchi delle fate” privi di spiegazione sono stati trovati in tutto il mondo

Queste misteriose strutture che per lo più si trovano in terreni aridi affascinano gli scienziati da anni. Ora la loro scoperta in luoghi diversi da quelli finora conosciuti per queste formazioni stanno rinfocolando il dibattito sulla loro origine
di Lori Youmshajekian/Scientific American
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Nelle remote praterie del deserto del Namib, nell’Africa sud-occidentale, e nella regione di Pilbara, in Australia, quasi 10.000 chilometri di distanza, grandi cerchi spogli affollano il paesaggio, come buchi tracciati da un tagliabiscotti in un foglio di pasta. Si pensava che questi particolari segni, chiamati “cerchi delle fate”, esistessero esclusivamente in queste due zone aride. Ma una nuova ricerca pubblicata di recente sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” ha scoperto 263 ulteriori siti in cui potrebbero esistere cerchi delle fate in aree che vanno dal Madagascar all’Asia sud-occidentale.

Per anni i cerchi delle fate – chiamati così per la loro somiglianza con la formazione circolare di funghi nota come “anelli delle fate” – hanno affascinato gli scienziati e le scienziate e suscitato un intenso dibattito sulla loro provenienza. Ancora oggi, non esiste una ragione evidente per spiegare perché queste macchie circolari di terreno esistano in alcuni dei terreni più inospitali e aridi della Terra. Il nuovo studio potrebbe complicare gli sforzi per rispondere a questa domanda.

I ricercatori hanno addestrato un modello di intelligenza artificiale per setacciare più di mezzo milione di immagini satellitari di regioni aride alla ricerca di modelli che imitassero i cerchi delle fate conosciuti. Tra le nuove località con potenziali cerchi delle fate, gli scienziati hanno trovato caratteristiche comuni del suolo e del clima, come la scarsità di azoto e la mancanza di precipitazioni, rispettivamente. Poiché lo studio ha usato un approccio osservazionale, i risultati non possono individuare il meccanismo che sta alla base dei cerchi, afferma l’autore principale Emilio Guirado, esperto in scienze ambientali all’Università di Alicante, in Spagna. Ma i risultati suggeriscono che i modelli simili a cerchi di fata sono più probabili in terreni con un’umidità molto bassa.

Le termiti e i cerchi delle fate

Diverse spiegazioni proposte in passato, come le tossine provenienti dalle foglie delle piante del genere Euphorbia o le emissioni gassose provenienti dal sottosuolo, sono cadute in disuso. Solo due teorie sembrano ancora resistere nel dibattito in corso: la prima, proposta dall’ecologo Norbert Jürgens, sostiene che colonie concorrenti di termiti sotterranee della sabbia abbiano lasciato i timbri circolari. A suo avviso, le termiti ingegnerizzano l’ambiente circostante masticando le radici dell’erba per creare una sorta di serbatoio per immagazzinare l’acqua.

La seconda, sostenuta tra gli altri dall’ecologo Stephan Getzin dell’Università di Gottinga, in Germania, propone che le erbe siano gli ingegneri dell’ecosistema e si auto-organizzino nei modelli circolari. Questa teoria sostiene che l’erba sfrutta lo spazio circolare come risorsa idrica e non sarebbe in grado di sopravvivere nel paesaggio arido senza la formazione geometrica. (Né Jürgens né Getzin sono stati coinvolti nel nuovo lavoro.)

Fiona Walsh, etnoecologa e membro dello staff dell’University of Western Australia, ha studiato il fenomeno in Australia ma non è stata coinvolta nella nuova ricerca. Il suo lavoro incorpora le conoscenze del popolo Martu locale, un gruppo aborigeno che chiama i cerchi linyji. La ricerca di Walsh descrive i cerchi come pavimentazioni di termiti. “Sono i tetti delle città sotterranee delle termiti; è un modo per visualizzarli”, spiega Walsh. “I tetti sono duri come il cemento e hanno cumuli molto bassi o inesistenti.” Ma l’origine del fenomeno rimane poco chiara e le termiti sono un attore di un sistema più ampio.

Capire perché si formino i cerchi delle fate, o FC, è solo un pezzo del puzzle. Gli scienziati non hanno ancora concordato una definizione precisa. “Non esiste una definizione universalmente condivisa di cosa sia un cerchio delle fate”, afferma Fernando Maestre, ecologo all’Università di Alicante e coautore del nuovo lavoro. Lui e i suoi colleghi hanno usato il termine “FC-like” per i modelli identificati nella loro ricerca, che condividono le stesse caratteristiche principali dei cerchi delle fate segnalati in Namibia e Australia.

Una di queste caratteristiche è un modello spazialmente periodico: la tendenza dei cerchi delle fate a esistere in una formazione a griglia con una variazione minima delle distanze tra di loro, sottolinea Getzin. La sua ricerca precedente aveva ipotizzato che i cerchi delle fate fossero disposti in una formazione esagonale in cui un cerchio è un punto focale, posizionato al centro di altri sei e alla stessa distanza da ciascuno di essi.

Secondo Getzin, nessuno degli schemi della nuova ricerca corrisponde esattamente a questa descrizione (anche se ritiene che gli autori abbiano fatto un “ottimo lavoro” nell’identificare i fattori ambientali che determinano le lacune della vegetazione nelle zone aride). Lo studio annacqua il termine “cerchi delle fate” e ignora la sua definizione, afferma. Getzin aggiunge che i risultati confermano che i veri “cerchi delle fate” esistono solo nel deserto del Namib e in Australia occidentale. Anche con la ricerca sistematica globale del nuovo studio, dice, “gli autori non sono riusciti a trovare lacune di vegetazione spazialmente periodiche e fortemente ordinate come i veri cerchi delle fate”.

Walter Tschinkel, biologo della Florida State University, che ha già studiato i cerchi delle fate e non è stato coinvolto nel nuovo studio, concorda. “Dovreste convincermi che si tratta di cerchi delle fate; non sono abbastanza regolari”, afferma. “Sono solo vuoti nella vegetazione”, una descrizione ampia di una varietà di schemi distinti e auto-organizzati in natura che di solito si formano per trasportare l’acqua in paesaggi aridi. “Nelle zone aride, la vegetazione raramente è un tappeto uniforme, ma è sempre distribuita in modo irregolare”, spiega Tschinkel.

Michael Cramer, ecologo all’Università di Città del Capo, in Sudafrica, che si occupa di modelli spaziali negli ecosistemi e che non è stato coinvolto nella nuova ricerca, afferma che l’applicazione della tecnologia di intelligenza artificiale a questo campo è un importante passo avanti. Tuttavia, mette in dubbio alcuni risultati. In particolare, sostiene che alcuni modelli sono troppo piccoli, appena un metro e 80 centimetri di diametro, rispetto ai cerchi delle fate conosciuti, che tendono ad avere un’ampiezza compresa tra i due e 12 metri circa. Alcuni siti meritano una visita per confermare l’esistenza dei cerchi, osserva Cramer.

L’autore principale Guirado afferma che le critiche “non sono fondate e non minano in alcun modo i nostri risultati”, in parte perché non esiste una definizione precisa del fenomeno.

Secondo Walsh, la nuova ricerca “dimostra chiaramente che questo modello è diffuso in Australia” e che le formazioni di cerchi non esistono in modo isolato: somigliano ad altri modelli trovati in tutto il mondo.

Gli autori dello studio non si lasciano scoraggiare dalle reazioni contrastanti al loro lavoro. “Come ci si aspetta da un argomento così discusso come quello dei cerchi delle fate, alcuni ricercatori hanno criticato il nostro lavoro, mentre altri lo hanno sostenuto”, conclude Maestre. Egli spera che i risultati aprano la strada a nuove ricerche sui modelli di queste nuove località.

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