Cosa succederebbe se scattasse un’emergenza nei Campi Flegrei?
Le recenti scosse di terremoto hanno riportato alla ribalta la necessità di piani efficaci per gestire eventuali allarmi. Da tempo esiste un piano per il rischio di eruzione, mentre quello per il rischio sismico legato al bradisismo dovrebbe essere pronto a breve. Ma ci sono perplessità su quanto possano funzionare
di Anna Rita Longo
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Le scosse di terremoto nella zona dei Campi Flegrei continuano a destare preoccupazione e in questi giorni l’attenzione è anche rivolta alla procedura per consentire alla popolazione della zona di allontanarsi in modo sicuro nel caso in cui se ne presentasse la necessità.
Il piano per il rischio eruttivo
Innanzitutto è fondamentale ricordare che oggi, per questa zona, è previsto un piano di evacuazione, gestito dal Dipartimento nazionale della protezione civile in coordinamento con il Dipartimento regionale della Campania, che si attiveranno in seguito a una segnalazione di eventuale pericolo sulla base dei dati raccolti dall’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) e della valutazione della Commissione grandi rischi. Il piano non riguarda il fenomeno del bradisismo e le sue eventuali conseguenze, ma il rischio di eruzione vulcanica, che al momento gli esperti dell’INGV non ritengono probabile.
Secondo il piano, viene definita “zona rossa” l’area per la quale, in caso di allarme, l’evacuazione è considerata l’unica misura per salvaguardare la popolazione, esposta al rischio di essere raggiunta da flussi piroclastici, pericolosi per la loro temperatura e velocità. La zona rossa comprende i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida e Quarto, alcune zone dei comuni di Giugliano in Campania e di Marano di Napoli, e alcune municipalità del comune di Napoli, per un totale di circa 500.000 abitanti. Per gli abitanti della cosiddetta “zona gialla” (oltre 800.000 persone), esterna alla zona rossa, potrebbero essere necessarie misure di allontanamento temporaneo perché questa zona è esposta in modo significativo alla caduta di ceneri vulcaniche. La zona gialla comprende i comuni di Villaricca, Calvizzano, Marano di Napoli, Mugnano di Napoli, Melito di Napoli, Casavatore e 24 quartieri del comune di Napoli.
La procedura di emergenza
Con la dichiarazione del preallarme la popolazione può scegliere già di allontanarsi in autonomia, spostandosi in una sistemazione alternativa come una seconda casa, una casa in affitto, oppure presso parenti o amici, con un contributo economico dello Stato. Con la dichiarazione di allarme, la popolazione deve obbligatoriamente abbandonare la zona rossa, e può scegliere di farlo in modo autonomo o assistito. Per la conclusione di quest’operazione si stima un tempo di tre giorni. Per chi sceglie il percorso assistito, è previsto uno schema di gemellaggio che prevede il trasferimento della popolazione dalla zona rossa ad alcune regioni e province autonome italiane. La popolazione si raccoglierà nelle “Aree di attesa”, definite nel piano di protezione civile di ogni comune, e poi si sposterà nelle “Aree di incontro”, fuori dalla zona rossa, con pullman predisposti dalla Regione Campania. Da questi punti poi, con diverse modalità (treni, pullman e navi), la popolazione si sposterà verso i “Punti di prima accoglienza” nelle regioni e province autonome gemellate.
Tutti i dettagli per lo svolgimento delle operazioni sono presenti nell’apposita sezione del sito della Presidenza del Consiglio dei ministri, nella parte dedicata al Dipartimento della protezione civile. Come sottolinea Italo Giulivo, direttore generale della Protezione civile della Regione Campania, questo piano non riguarda comunque la situazione in atto in questi giorni nell’area dei Campi Flegrei: “Il piano di allontanamento è connesso al rischio eruttivo, che non si sta vivendo in questo momento: attualmente la Commissione grandi rischi ha ritenuto di confermare per i Campi Flegrei il livello giallo, ossia la fase di attenzione”. Ma preparsi a gestire un eventuale scenario di emergenza collegato a un’eruzione è comunque estremamente importante in un’area critica come questa, nota fin dall’antichità per l’intensa attività endogena.
Ma quali difficoltà potrà incontrare l’attuazione di questo piano? “Le criticità – continua Italo Giulivo – sono connesse all’evacuazione delle 500.000 persone che abitano nella zona rossa individuata dal piano per il rischio vulcanico. Le infrastrutture viarie esistenti da utilizzare sono state sottoposte a test di sostenibilità e la viabilità è stata oggetto di uno studio da parte dell’ACaMIR, l’Agenzia regionale per la mobilità. Certamente nuove eventuali infrastrutture renderebbero più efficiente il deflusso. La conoscenza di questa mobilità e del piano da parte dei cittadini è fondamentale per prevenire la confusione e consentire un deflusso ordinato. La criticità principale è legata al fatto che non si sa se questo piano debba essere attivato nel lungo o nel breve periodo e per questo motivo lo sottoponiamo a un costante aggiornamento. Il documento è stato infatti aggiornato di recente, nell’aprile scorso, dopo i risultati emersi dall’esercitazione nazionale denominata ‘Exe Campi Flegrei’ che si è svolta nel 2019.”
“Per quanto riguarda il rischio vulcanico – prosegue Giulivo – sono già state effettuate attività di comunicazione sui contenuti del piano attraverso la campagna “Io non rischio”, che ha materiali dedicati proprio a questo tema. Ma è chiaro che la comunicazione andrà avanti proprio per favorire la piena conoscenza da parte dei cittadini oltre che la consapevolezza del rischio.” Come indicano il piano nazionale e anche la relazione riassuntiva redatta dall’agenzia regionale dei trasporti ACaMIR, nei tre giorni previsti per l’evacuazione della zona sono comprese 12 ore per gestire eventuali ritardi che dovessero determinarsi per varie ragioni, come incidenti stradali, indisponibilità al transito di tratti stradali (per esempio in seguito a crolli), mancato rispetto della tempistica e contrattempi di vario genere, interventi coattivi delle forze dell’ordine e così via.
Il nuovo piano per il bradisismo
A questo piano relativo al rischio eruttivo, come previsto dal decreto entrato in vigore il 13 ottobre di quest’anno, dovrebbe presto aggiungersene un altro, relativo al rischio sismico collegato al fenomeno del bradisismo caratteristico dei Campi Flegrei. Accanto ad alcune importanti misure come uno studio di microzonazione sismica, l’analisi della vulnerabilità sismica dell’edilizia privata e pubblica e il programma di monitoraggio delle strutture, si prevedono il potenziamento delle attività di comunicazione e informazione e un piano per gestire eventuali emergenze che, per esempio, rendessero necessario allontanare la popolazione. Sono anche presenti misure urgenti per verificare la funzionalità delle infrastrutture per i trasporti e per potenziare la Protezione civile locale (sia con assunzioni di personale sia con l’acquisizione di materiale e la predisposizione di aree e strutture temporanee per accogliere la popolazione in condizioni di emergenza).
Il nuovo piano, come dichiarato dallo stesso ministro Sebastiano Musumeci al termine della riunione operativa tenuta il 13 ottobre a Pozzuoli, dovrebbe auspicabilmente essere pronto entro 60 giorni (in un primo momento si era parlato di 90 giorni). L’impegno di spesa previsto è di 52,2 milioni di euro, messi a disposizione interamente dallo Stato, che ha sottolineato, attraverso le parole del Ministro per la Protezione civile, l’indisponibilità della Regione Campania a contribuire. A sua volta, la Regione ha ribattuto sottolineando che ritiene del tutto insufficienti le risorse finanziarie messe a disposizione e invitando il governo a tornare sulle proprie decisioni.
Le criticità irrisolte
Nel frattempo, le perplessità di chi conosce bene la situazione della zona continuano a essere numerose. Le ricapitola rapidamente Ettore De Lorenzo, che, in qualità di inviato del TGR-Campania della RAI, segue da più di 20 anni il fenomeno del bradisismo dei Campi Flegrei e le delicate questioni relative alle difficoltà sperimentate nel tempo dalla popolazione locale. “Partendo da uno degli aspetti principali della questione – ricorda De Lorenzo – ovvero la preparazione della popolazione rispetto alla gestione di un’evacuazione, posso dire che non mi sembra che i precedenti si possano definire rassicuranti. La stessa citata esercitazione del 2019, alla quale ero presente e della quale ho dato testimonianza giornalistica, a dispetto delle aspettative e dei comunicati ufficiali, non ha conseguito buoni risultati, perché ha coinvolto pochissime persone e il clima generale era improntato a un certo disinteresse, come esito di un’informazione insufficiente e di una scarsa sensibilizzazione, dovuta al fatto che in quel momento la situazione appariva tranquilla.”
Pensare a iniziative di formazione e sensibilizzazione efficaci e capillari è senz’altro molto importante. Continua De Lorenzo: “In quell’occasione l’informazione era stata realizzata attraverso l’invio di opuscoli alla popolazione della zona. Nel tempo sono state organizzate diverse iniziative dedicate all’informazione dei cittadini, per esempio nell’ambito del progetto ‘Io non rischio’ coordinato dalla Protezione civile, ma mancano ancora azioni permanenti e strutturali che, partendo dalle scuole, facciano prendere consapevolezza delle caratteristiche peculiari del territorio e delle sue vicende storiche collegate ai fenomeni endogeni che da sempre lo caratterizzano. Con il tempo e la progressiva scomparsa delle generazioni che sono state testimoni delle maggiori crisi legate al bradisismo, la memoria storica, sebbene coltivata da alcune lodevoli iniziative di associazioni culturali, tende a venire meno e con questa la consapevolezza dell’importanza di prepararsi adeguatamente a fronteggiare le possibili emergenze. A questo va aggiunta l’ulteriore difficoltà rappresentata dal fatto che il personale assunto presso la sede di zona della Protezione civile è decisamente sottodimensionato per il fabbisogno di un’area critica come questa, soprattutto per la gestione di eventuali emergenze.”
Nel tempo, inoltre, sono emerse criticità notevoli legate all’enorme espansione urbana della zona. “Dal confronto con le foto e i filmati storici che mostrano la situazione della zona dei Campi Flegrei e delle aree limitrofe agli inizi del Novecento, è evidente la crescita dei centri urbani, che non è scorretto definire incontrollata. Le simulazioni di un eventuale scenario di eruzione, come quelle fatte dai ricercatori, in un contesto oggi così densamente popolato e con insediamenti fittissimi, mostrano chiaramente quanto devastanti sarebbero i danni. Ma tutti i tentativi passati di spostare gli insediamenti urbani in altre zone si sono dimostrati fallimentari, perché la popolazione tende a ritornare, dopo qualche tempo, nella propria sede originaria. Per esempio, in seguito al bradisismo del 1983-1984, una parte della popolazione di Pozzuoli era stata spostata in una frazione di nuova costruzione, chiamata Monterusciello. In seguito, però, molti tra questi cittadini sono ritornati a Pozzuoli, che ha continuato ad aumentare la propria popolazione, mentre il nuovo centro urbano ha continuato in parallelo la propria espansione. In generale, al momento non si sono mai verificati tentativi di ripensare l’assetto urbano che siano andati a buon fine”.
Un ulteriore problema è dato dalla viabilità: “Se da un lato c’è una buona notizia relativamente a Pozzuoli – sottolinea De Lorenzo – perché a fine ottobre dovrebbe essere aperto il nuovo tunnel che collega l’area del porto con la tangenziale, permettendo di decongestionare il traffico (si tratta di un’opera che avrebbe dovuto essere pronta già sei anni fa), altre aree come Bacoli e Monte di Procida risultano molto problematiche per via delle strade strette e l’alta probabilità che si creino ingorghi, soprattutto in contesti di emergenza in cui spesso il panico rende tutto più difficile”. D’altra parte, anche l’apertura di ulteriori vie di fuga si scontra con notevoli problemi logistici: “Oltre alla difficoltà di trovare la sede per eventuali nuove strade, bisogna tenere presente che la zona dei Campi Flegrei è ricchissima di testimonianze archeologiche, per esempio dell’epoca romana, e molti interventi ipotizzati potrebbero essere rapidamente interrotti per esigenze legate alla tutela dei beni culturali e archeologici”, conclude De Lorenzo.