Cambiamento climatico e depositi di idrati di gas naturali: un equilibrio a rischio

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Cambiamento climatico e depositi di idrati di gas naturali: un equilibrio a rischio

Fonte: OGS Pubblicata su Earth Science Reviews una panoramica delle potenziali conseguenze dell’aumento della decomposizione degli idrati in metano. L’Istituto di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS alla guida del working group che ha fatto il punto sulla situazione
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Quali sono le possibili conseguenze della decomposizione di depositi di idrati di gas naturali in seguito al cambiamento climatico? E quali le soluzioni? Ne parla un articolo, recentemente pubblicato su Earth Science Reviews, che presenta una panoramica della situazione degli idrati di gas naturali. Lo studio ha coinvolto l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, l’Istituto Ifremer di Brest, l’Ecole Ponts ParisTech, l’Heriot-Watt University di Edimburgo e altri partner come il Kongsberg Maritime di Amburgo e GeoMarine Ltd in Bulgaria.

Impatto delle attività antropiche e naturali dell’ecosistema marino dovuto alla presenza dei gas idrati nei sedimenti marini
© OGS



Gli idrati di gas naturali costituiscono la più vasta riserva di gas del pianeta: si stima, infatti, che il carbonio organico stoccato negli idrati sia il doppio di quello estraibile da tutte le fonti fossili disponibili. I depositi di idrati di gas naturali sono oggetto di studio da decenni per comprendere il loro ruolo nel ciclo oceanico del metano ma anche il loro potenziale come risorsa energetica. Infatti, la sostituzione del metano con anidride carbonica all’interno del giacimento, consente di ottenere un combustibile neutrale dal punto di vista delle emissioni climalteranti e, pertanto, assimilabile alle fonti di energia rinnovabili. A prescindere dai motivi per i quali vengono studiati gli idrati di gas naturali, comprendere i meccanismi della loro decomposizione, i principali fattori che innescano questo processo, la sua velocità e durata, così come il flusso di metano rilasciato, è estremamente importante. L’articolo è il risultato degli studi del gruppo di lavoro “Environmental challenges” del progetto europeo COST “MIGRATE, Marine gas hydrate – an indigenous resource of natural gas for Europe” e fa il punto sugli impatti ambientali legati alla decomposizione degli idrati, proponendo strategie di monitoraggio per identificare e caratterizzare meglio tali impatti.

“La decomposizione degli idrati può essere relativamente veloce, da pochi mesi/anni a pochi decenni, se è causata volontariamente da attività umane” spiega Umberta Tinivella, ricercatrice dell’OGS e coordinatrice del gruppo di lavoro, precisando che, tuttavia, “il cambiamento climatico potrebbe innescare la decomposizione anche dei gas idrati situati nel permafrost e nei sedimenti marini in acque superficiali dei margini continentali, due ambienti che ospitano gli ecosistemi più vulnerabili sul nostro Pianeta”. La cinetica della dissociazione legata a processi naturali è più lenta, ma interesserà un periodo di tempo più lungo. Esistono, infatti, processi biogeochimici naturali che degradano il metano sia nei sedimenti che nella colonna d’acqua, limitandone l’accumulo nelle masse d’acqua e mitigandone il trasferimento nell’atmosfera. Purtroppo, il clima che cambia potrebbe alterare la dinamica di questi processi. 

È necessario quindi comprendere in che modo l’aumento della temperatura del fondale marino influenzerà le comunità microbiche che effettuano l’ossidazione aerobica e anaerobica del metano e, di conseguenza, come cambierà la quantità di metano che verrà rilasciata dagli idrati. Allo stato delle conoscenze attuali non è chiaro quali saranno i rischi ambientali di tali rilasci nel prossimo futuro sia per quel che riguarda, ad esempio, gli ecosistemi sia per quel che riguarda la stabilità dei fondali marini. Questa revisione ha dimostrato che le osservazioni e le misurazioni sul campo su questo tema sono limitate nello spazio e nel tempo. Osservare le dinamiche dei depositi di gas idrati è, però, fondamentale per ottenere una comprensione approfondita e completa dell’ambiente oggetto di attività antropiche e per sviluppare un adeguato piano di monitoraggio e gestione ambientale. Attualmente, ciò che osserviamo in un dato sito non è rappresentativo per altri siti ed è urgentemente necessaria un’intensificazione delle misurazioni dei parametri chiave, sia spaziali che temporali.

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