Quanto siamo preparati al rischio medicane

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Quanto siamo preparati al rischio medicane

L’ultimo ciclone extra tropicale che ha colpito Grecia, Bulgaria, Turchia e soprattutto Libia, ha mostrato la potenza distruttiva di eventi meteo estremi alimentati dall’enorme energia in gioco sul Mediterraneo. I modelli predittivi sono migliorati, ma è necessario lavorare sull’educazione del rischio e sulla fragilità dei territori
di Rudi Bressa
www.lescienze.it

In questa estate di record climatici, non sono mancati eventi meteorologici estremi che hanno colpito parte del Mediterraneo centrale e orientale. La tempesta Daniel, sviluppatasi in Grecia, ha rapidamente assunto le caratteristiche di medicane [un ciclone extra tropicale il cui nome deriva dalla contrazione dei termini inglesi Mediterranean e hurricane, NdR]via via che si spostava verso la Libia, provocando le alluvioni che hanno colpito il paese nordafricano e causando i danni che tutti abbiamo sotto gli occhi, lasciando dietro di sé una lunga scia di devastazione anche in Grecia, Turchia e Bulgaria. Il numero di vittime non è ancora precisato – si parla di migliaia di morti e dispersi – e di città come Derna, in Libia, quasi rase al suolo.

Le piogge torrenziali e i forti venti hanno raggiunto il loro picco intorno al 10 settembre, facendo registrare piogge comprese tra 150 e 240 millimetri, la città di Al-Bayda, sempre in Libia, ha registrato addirittura un tasso di pioggia giornaliero di 414,1 millimetri. Come riporta una nota dell’Organizzazione meteorologica mondiale (World Meteorological Organization, WMO), il Centro meteorologico nazionale ha emesso un allarme tempestivo per questo evento meteorologico estremo 72 ore prima che si verificasse, informando tutte le autorità governative e i mezzi di comunicazione, ed esortandole ad adottare misure preventive.

Ma allora cos’è che non ha funzionato? E ciò che è accaduto in questi paesi può essere una fotografia di come si potranno evolvere eventi così estremi nel bacino del Mediterraneo? La risposta è estremamente complessa e va cercata innanzitutto nelle dinamiche atmosferiche che hanno portato alla formazione di un evento meteorologico così intenso. “Il concetto da tenere a mente è che le elevate temperature del mare hanno messo a disposizione una quantità di energia enorme, pertanto il ciclone ha avuto un meccanismo di sviluppo simile a quello di un uragano”, spiega Marcello Miglietta, dirigente di ricerca all’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (ISAC) del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR).

A tal proposito un gruppo di ricerca al quale ha partecipato anche il ricercatore italiano ha da poco pubblicato uno studio in cui sono state analizzate le cause di una tempesta convettiva estremamente anomala e vigorosa occorsa nell’agosto 2022 sul Mar Mediterraneo. Formatosi sulle Isole Baleari è arrivato addirittura in Slovacchia, spazzando parte dell’Europa e causando il decesso di 12 persone e il ferimento di altre 106. “Con quello studio abbiamo dimostrato che se la temperatura del mare non avesse avuto una tale anomalia, l’evento non si sarebbe verificato”, spiega Miglietta. “Questo mostra quanto l’interazione tra l’aria e il mare è fondamentale: più le temperatura del mare è elevata più questi eventi si intensificano.”

Il ruolo delle previsioni
Indubbiamente i fattori in gioco sono stati diversi, come spiega uno studio appena pubblicato dalla World Weather Attribution, e i danni sono stati causati anche dall’elevata vulnerabilità della popolazione di fronte a un evento estremo di tale portata. Nell’area colpita della Grecia centrale, la maggior parte delle città e delle comunità e gran parte delle infrastrutture erano situate in aree a rischio di inondazioni. In Libia, il conflitto armato di lunga durata, l’instabilità politica, potenziali difetti di progettazione e una scarsa manutenzione delle dighe, hanno contribuito al disastro. Concludendo con il fatto che “l’interazione di questi fattori e le piogge molto abbondanti, aggravate dai cambiamenti climatici, hanno causato la distruzione estrema”.

Ma allora come si riduce il rischio? Certamente, e non solo nel mondo della ricerca, si parla molto di early warning system, ovvero delle misure messe in atto proprio per preparare e allertare la popolazione in caso di evento estremo. E le previsioni a medio e breve termine sono una di queste. “Negli ultimi anni le previsioni su fenomeni così estesi sono molto migliorate”, conferma Miglietta. “La previsione delle alluvioni in Italia è migliorata notevolmente negli ultimi dieci anni. Nel caso del ciclone Daniel la presenza di una configurazione stazionaria ha consentito previsioni buone già 72 ore prima.”

Il problema però si pone quando ci si trova di fronte a eventi estremamente localizzati, come accaduto nelle Marche lo scorso maggio: “In questo caso i modelli non sono stati in grado di dare una previsione corretta, perché si tratta di rovesci molto puntuali, con fenomeni molto localizzati”. Secondo Miglietta per migliorare la gestione di questi eventi sarà necessario investire molto di più sul nowcasting, ovvero sulle previsioni a brevissimo termine: “Si tratta purtroppo di previsioni estremamente difficili, perché devono dare una previsione molto dettagliata su un’area estremamente limitata”. Più l’area e la forbice di tempo si riducono, più è difficile essere precisi dunque.

Ma se le previsioni e i modelli sono migliorati nel tempo, la vera sfida rimane quella operativa, ovvero implementare la catena dell’allertamento da parte della Protezione civile, come per esempio avverrà in molte regioni italiane: il test del sistema It-Alert è uno strumento utile in tal senso. Certamente è necessario poi preparare ed educare la popolazione ai sistemi di allerta, un po’ come accade negli Stati Uniti con gli alert impiegati nei casi di tornado.

E soprattutto lavorare sulle fragilità del territorio che, nel contesto italiano, mostra una pericolosità estremamente elevata: secondo la mappa nazionale del rischio idrogeologico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) il 91 per cento dei comuni italiani è a rischio, con più di sei milioni di persone che vivono in zone a pericolosità idraulica media (ovvero alluvionabili per eventi che si verificano in media ogni 100-200 anni). In uno scenario climatico come quello attuale, in cui si registrano eventi più intensi e frequenti, le previsioni, anche dettagliatissime, potrebbero non essere sufficienti a scongiurare il peggio.

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