Il particolare caso del meteorite che potrebbe essere nato dalla Terra
Alcuni indizi suggeriscono che un meteorite scoperto nel Sahara potrebbe essere originario del nostro pianeta, da cui sarebbe stato proiettato nello spazio in seguito a qualche cataclisma e su cui alla fine è poi ricaduto dopo decine o forse centinaia di migliaia di anni
di Massimo Sandal
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Dopo un lungo viaggio nello spazio, più lungo di qualsiasi missione spaziale, una parte del nostro pianeta potrebbe essere tornata a casa. Secondo risultati preliminari, presentati a Lione dal geofisico Jerome Gattacceca l’11 luglio 2023 al congresso internazionale Goldschmidt di geochimica, un meteorite di nome NWA 13188 sarebbe un figliol prodigo: una roccia espulsa dalla Terra nello spazio migliaia di anni fa, e ricaduta nel deserto del Sahara, in Marocco. Benché la notizia stia facendo il giro del mondo, non c’è ancora una pubblicazione ufficiale né risultati completi: quindi è bene prendere la cosa con molto beneficio d’inventario. Ma val la pena discuterne la possibilità.
Un meteorite troppo familiare
“La roccia sembra proprio un meteorite”, ha confermato a “Le Scienze” Sara Russell, ricercatrice sui meteoriti del Natural History Museum di Londra, non coinvolta nell’analisi del meteorite. Come quasi tutti i meteoriti, infatti – prosegue Russell – NWA 13188 mostra una crosta di fusione sulla superficie, spia inconfondibile del suo passaggio ad altissima temperatura attraverso l’atmosfera.
Chimicamente, però, NWA 13188 somiglia a una banale roccia vulcanica terrestre. “Molte meteoriti, come quelle di origine lunare, sono di origine vulcanica, ma questa aveva una grana diversa da ogni altra”, ha detto Gattacceca a “Le Scienze”. In particolare, a giudicare dai dati presentati a Lione, ricorda in tutto e per tutto una roccia di un arco vulcanico continentale. “Si parla di questo meteorite, nella comunità scientifica, dal 2018 o 2019. Ha una composizione chimica unica, con caratteristiche del tutto simili alle rocce terrestri”, afferma Luigi Folco, ricercatore in scienze planetarie all’Università di Pisa e collaboratore di Gattacceca, ma non coinvolto nell’analisi del meteorite.
“In particolare – aggiunge Gattacceca – c’è un’anomalia negli elementi in tracce, come il niobio, esclusiva di rocce che provengono dalle zone di subduzione [dove la crosta oceanica scivola sotto la crosta continentale, NdA], dovuta alla presenza dell’acqua. Non esiste alcun corpo celeste in cui questo accada, a parte la Terra.”
Un falso, allora? NWA 13188 mostra però tracce di isotopi leggeri che si formano solo per l’esposizione ai raggi cosmici. Una firma inconfondibile della permanenza nello spazio, sia pure per un periodo astronomicamente breve, che Gattacceca in una e-mail a “Le Scienze” stima intorno ai 50-150.000 anni (un dato diverso da quello presentato alla conferenza di Lione, che era intorno ai 10.000 anni). Su questo, però, si attendono conferme: “Non sono state ancora pubblicate le misurazioni esatte di questi isotopi”, avverte Folco.
Briciole di pianeti
Ammesso e non concesso che sia davvero accaduto, come avrebbe fatto una roccia terrestre a trovarsi a spasso nello spazio? La stragrande maggioranza dei meteoriti sono relitti della formazione del nostro sistema solare, formatisi 4,54 miliardi di anni fa. Una piccola minoranza, meno di una su dieci, nasce invece quando un asteroide si schianta contro un altro corpo planetario. Se l’impatto è abbastanza violento, può proiettare frammenti di roccia nello spazio a grande velocità, di cui alcuni sfuggono all’influenza gravitazionale del loro mondo di origine. È così che sulla Terra abbiamo trovato rari e preziosi frammenti della Luna, di Marte o di grandi asteroidi come Vesta, gli unici campioni di altri mondi su cui oggi possiamo mettere le mani, a parte le rocce lunari riportate dalle missioni spaziali.
Lo stesso vale per il nostro pianeta. Per esempio l’impatto di Chicxulub, che 66 milioni di anni fa condannò all’estinzione, tra gli altri, i dinosauri, scavò un cratere di 100 chilometri di diametro, eiettando una quantità enorme di detriti rocciosi. Di questi, si stima qualcosa come 1000-3000 miliardi di tonnellate di roccia – l’equivalente di una decina di Everest – possa essere finito nello spazio. A destare perplessità è l’assenza di crateri da impatto, sulla Terra, dell’età e caratteristiche giuste per aver lanciato NWA 13188 nello spazio. Secondo Gattacceca, però, questa non è una difficoltà insormontabile: “L’età del cratere deve precedere la durata della permanenza della roccia nello spazio, più quella che ha passato nel Sahara dopo la caduta; anche un milione di anni, per una roccia terrestre che non si erode velocemente come un normale meteorite. E i crateri da impatto, anche grandi, sulla Terra possono scomparire rapidamente.”
Un frammento del passato remoto?
Ritrovare un meteorite di tipo terrestre non sarebbe solo una curiosità: potrebbe essere l’unico modo di avere un frammento intatto della Terra primigenia, non alterato dall’azione dei fattori geologici e fisici. “Mi domando se la Luna non sia un archivio naturale di antiche rocce terrestri, sotto forma di meteoriti sulla superficie lunare, conservati meglio che sulla Terra, geologicamente attiva”, afferma Sara Russell. Forse ne abbiamo già uno: un piccolo frammento di roccia di possibile origine terrestre era stato ritrovato nel 2019, incastonato in una roccia lunare riportata dalla missione Apollo 14. Per quanto riguarda NWA 13188, le analisi per conoscerne l’età sono ancora in corso:”Posso anticipare che la sua età sarà molto, molto più recente”, ha dichiarato però Gattacceca a “Le Scienze”.
Al momento possiamo quindi solo aspettare. Luigi Folco conclude: “Le informazioni sono ambigue al momento. Recentemente sono state ritrovate numerose meteoriti con caratteristiche, fino a dieci anni fa, del tutto inedite dal punto di vista geologico. Quindi bisogna restare aperti a ogni possibilità: dall’origine terrestre, al falso, a qualcos’altro che non conosciamo. Potremo dire qualcosa solo quando tutti i dati saranno pubblicati ufficialmente.”