Non solo comete, la nube di Oort potrebbe ospitare diversi pianeti

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Non solo comete, la nube di Oort potrebbe ospitare diversi pianeti

Considerata finora solo una riserva di potenziali comete di lungo periodo, questa vastissima regione del sistema solare esterno potrebbe in realtà ospitare una popolazione relativamente grande di pianeti che si muovono su orbite molto ampie ed eccentriche
di Emiliano Ricci
www.lescienze.it

La nube di Oort è una vasta regione sferica del sistema solare esterno, ipotizzata dall’astronomo olandese Jan Oort nel 1950, sulla scia di un’idea espressa nel 1932 dall’astronomo estone Ernst Öpik, che per primo formulò una teoria sull’origine delle comete nel sistema solare: egli riteneva che avessero origine in una nube che orbitava ben oltre l’orbita di Plutone (per questo motivo, la regione è talvolta chiamata nube di Öpik-Oort, in suo onore). Si ritiene che la nube di Oort sia costituita da un gran numero di oggetti celesti ghiacciati, principalmente comete, che orbitano intorno al Sole a distanze estremamente grandi, fino a diverse migliaia di volte la distanza tra la Terra e il Sole.

In particolare, è considerata una delle possibili origini delle comete a lungo periodo, quelle che impiegano da migliaia a milioni di anni per completare un’orbita intorno al Sole. Quando le interazioni gravitazionali con altre stelle o con oggetti del sistema solare spingono una cometa da questa remota regione verso il Sole, la sua orbita può portarla a passare vicino alla Terra, rendendola così visibile come una “cometa di lungo periodo”. Tuttavia, poiché la nube di Oort è situata a così grande distanza e ha una densità estremamente bassa, non è ancora stata osservata direttamente (e difficilmente lo sarà anche in futuro). Le informazioni che abbiamo sulla sua esistenza e sulla sua composizione derivano principalmente da modelli teorici e da osservazioni di comete che si pensa provengano da quella regione.

In sostanza, fino a oggi, la nube di Oort è stata considerata una vasta riserva di comete potenziali che circondano il nostro sistema solare, una sorta di serbatoio cosmico di oggetti ghiacciati che possono occasionalmente avvicinarsi ai pianeti interni, incluso il nostro. Ma ora, un recente studio ipotizza che questa regione – che si estende fino a più di 100.000 unità astronomiche (UA), ovvero oltre 1,5 anni luce, dal Sole (l’unità astronomica è la distanza media Terra-Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri), con il bordo interno a circa 10.000 UA dal Sole, quindi ben oltre l’orbita di Nettuno, che ha un raggio di “appena” 30 UA – sia popolata anche da altri oggetti: pianeti, in particolare, probabilmente rocciosi, di dimensioni simili alla Terra, ma forse anche di taglia maggiore, come quella di Nettuno. Non solo: queste considerazioni possono essere estese a centinaia di milioni di stelle nella nostra galassia, anch’esse con nubi di Oort eventualmente popolate da pianeti.

“L’idea di fondo è che, in base a come pensiamo che si evolvano i sistemi di pianeti giganti, una conseguenza naturale dovrebbe essere proprio l’esistenza di una popolazione relativamente vasta di pianeti su orbite molto ampie, simili a quelle delle comete della nube di Oort”, spiega a “Le Scienze” Sean Raymond, del Laboratoire d’Astrophysique de Bordeaux del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) e della Université de Bordeaux, in Francia, primo autore dell’articolo pubblicato sulle “Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: Letters” (MNRAS) in cui è illustrato lo studio.

La prova principale, secondo gli autori, viene dalle forme non circolari delle orbite misurate degli esopianeti giganti, che tendono ad avere orbite allungate ed eccentriche (ellittiche). Il modo più semplice che conosciamo per spiegare questo fenomeno è che i pianeti giganti si formino in sistemi con altri pianeti giganti e subiscano instabilità dinamiche, in cui i pianeti vanno incontro a una serie di incontri gravitazionali ravvicinati che portano all’espulsione di uno o più pianeti nello spazio interstellare. I pianeti sopravvissuti tendono ad avere orbite eccentriche, che sono essenzialmente cicatrici delle loro violente instabilità.

“Ho eseguito alcune serie di simulazioni numeriche a N-corpi per catturare gli esiti delle instabilità dinamiche e dell’espulsione dei pianeti”, prosegue Raymond. “Una simile ‘espulsione’ avviene nella realtà quando un pianeta è così lontano dalla sua stella che la gravità di fondo delle altre stelle – e della galassia stessa – fa sì che il pianeta non sia più legato alla sua stella. In pratica, le forze di marea galattiche hanno un ruolo fondamentale nel perturbare le orbite dei pianeti con orbita molto ampia, poco prima della loro espulsione. Le perturbazioni galattiche possono cambiare la forma dell’orbita di un pianeta con un’orbita molto ellittica, in modo tale che il pianeta non incroci più le orbite di altri pianeti (che sono la forza trainante dell’espulsione) e si incastri su un’orbita ampia e stabile”.

Per marea galattica si intende la forza di marea che agisce sui corpi soggetti al campo gravitazionale di una galassia, come la Via Lattea. La forza di marea, che è la differenza di forza gravitazionale tra due punti di un corpo, può causare la deformazione e la trazione degli oggetti e può persino strapparli. Proprio queste forze di marea, quindi, sono responsabili della formazione della nube di Oort, ma possono anche influenzare le orbite delle stelle, talvolta portandole in collisione con altre stelle. La marea galattica è pertanto una forza che modella la struttura delle galassie e le orbite degli oggetti al loro interno.

Nella ricerca, gli autori hanno scoperto che una parte dei pianeti espulsi è intrappolata su orbite ampie simili a quelle delle comete della nube di Oort. “Il fattore chiave è semplicemente il tempo che un pianeta trascorre su un’orbita molto ampia, ma non del tutto espulsa”, aggiunge Raymond. “Nello specifico, abbiamo scoperto che i pianeti di massa inferiore (come Saturno e Nettuno) sono più spesso intrappolati nella nube di Oort, soprattutto quando vengono dispersi verso l’esterno da pianeti più massicci come i Giove. In base alle nostre simulazioni, i tempi di sopravvivenza stimati per la maggior parte dei pianeti della nube di Oort arrivano a miliardi di anni. Di solito durano a lungo.”

In effetti, dalle simulazioni numeriche risulta che la popolazione dei pianeti nella nube di Oort è abbastanza stabile, con perdite che si attestano sul dieci per cento circa entro i primi 500 milioni di anni. Dopo 600 milioni di anni le maree galattiche che hanno ridotto l’eccentricità dell’orbita, favorendo la permanenza nella nube di Oort, iniziano di nuovo a farsi sentire e tornare ad aumentarla fino a far perdere definitivamente il pianeta nello spazio. “Questa evoluzione orbitale successiva – spiega a “Le Scienze” Albino Carbognani, astronomo dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) – Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio di Bologna – dipende dal semiasse maggiore e dall’inclinazione dell’orbita, quindi può richiedere anche tempi più lunghi, fino a diversi miliardi di anni. I pianeti nella nube di Oort possono essere definitivamente “strappati” dal loro sistema planetario anche per effetto del passaggio ravvicinato di altre stelle. In entrambi i casi il pianeta diventa un cosiddetto free-floating exoplanet (FFE; pianeta libero di fluttuare nello spazio interstellare), come le diverse decine di giganti gassosi trovati recentemente.”

I ricercatori stimano che una stella su 3000 (ma stime ottimistiche danno anche una stella su 200) potrebbe ospitare un pianeta della nube di Oort, considerando che circa l’uno-dieci per cento delle stelle hanno dei giganti gassosi nei loro sistemi planetari, che il 75-90 per cento dei sistemi di pianeti giganti abbia subito un’instabilità dinamica, e che, in base alle simulazioni, circa il cinque per cento dei sistemi instabili porti ad avere un pianeta nella nube di Oort. “L’intervallo è abbastanza ampio – prosegue Carbognani – perché è molto incerta la frequenza dei giganti gassosi attorno alle stelle di qualsiasi tipo spettrale. In realtà nell’articolo sono considerati solo giganti gassosi, ma il numero di stelle che hanno un pianeta nella nube di Oort può aumentare se si considerano pianeti più piccoli con masse paragonabili a quelle della Terra o di Marte. Anche questa tipologia di pianeti può avere orbite instabili a causa delle perturbazioni gravitazionali esercitate dai giganti gassosi del sistema: anch’essi possono essere mandati verso la nube di Oort, così come accade normalmente per asteroidi e comete.”

Ora, dai modelli del nostro sistema planetario, sappiamo che il sistema solare ha avuto un’evoluzione dinamica più tranquilla rispetto a certi sistemi extra-solari, e in effetti nessuno dei giganti gassosi noti si trova su un’orbita eccentrica. Tuttavia, sempre in base alle simulazioni, la probabilità che un gigante ghiacciato extra di massa paragonabile a Urano o Nettuno possa essere stato spedito nella nostra nube di Oort è di circa il sette per cento, se l’instabilità gravitazionale si è verificata abbastanza tardi da far sì che il Sole non si trovasse più nel suo ammasso di nascita.

In ogni caso, è sbagliato pensare che questi pianeti della nube di Oort possano svolgere il ruolo del fantomatico “Pianeta X” (o “Pianeta Nove”, dopo il declassamento di Plutone a pianeta nano). Come spiega ancora Carbognani, infatti, “eventuali pianeti nella nube di Oort sarebbero troppo lontani per far sentire i propri effetti gravitazionali sugli asteroidi delle fasce più interne, come la fascia di Kuiper. Però potrebbero perturbare le orbite delle comete che popolano la nube e innescare delle “cascate” di comete verso la stella del sistema planetario. Le simulazioni relative al sistema solare dicono anche che è possibile avere dei giganti ghiacciati fra 100 e 1000 UA su orbite molto ellittiche. Anche se è improbabile che accada realmente, questi sarebbero davvero dei candidati a essere il Pianeta X”. Così, oltre alla ricerca di questo misterioso pianeta, adesso gli astronomi hanno da affrontare lo studio di una nuova classe di oggetti: i pianeti della nube di Oort. Lo zoo del sistema solare è sempre più vario.

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