La “Valle dei Diecimila Fumi” e l’eruzione del vulcano Novarupta in Alaska.
Il 6 giugno 1912 ebbe inizio la più grande eruzione vulcanica del XX secolo e una delle più grandi nella storia, dopo quella del Tambora nel 1815: l’eruzione del vulcano Novarupta, situato in una remota regione del sud-ovest dell’Alaska, negli Stati Uniti
di Lucia Pappalardo
tratto da INGVAMBIENTE
Molti eventi eccezionali, mai osservati prima, sono legati a questa eruzione, i cui imponenti depositi da flusso piroclastico continuano ancora oggi a svelare informazioni preziose sui processi vulcanici e magmatici.
Il Novarupta fa parte dell’Arco Vulcanico delle Aleutine, una catena di vulcani che si estende dal centro-sud dell’Alaska fino all’estremità occidentale delle isole Aleutine (Figura 1). Questa regione è una delle aree vulcaniche più attive al mondo, inclusa nell’Anello di Fuoco che circonda il Pacifico e che segna i confini delle placche litosferiche in movimento.
L’eruzione del 1912 fu preceduta da forti terremoti che furono avvertiti alcuni giorni prima, il 4 e 5 giugno, nei villaggi lungo la costa nello stretto di Shelikof, a pochi chilometri di distanza dalla sommità del vulcano. Questi segnali allertarono le popolazioni che abbandonarono i villaggi limitrofi, riuscendo a mettersi in salvo. Così, nonostante la grande violenza eruttiva, non furono registrate vittime legate direttamente all’eruzione.
La mattina del 6 giugno alcune esplosioni furono udite fino a Seldovia, distante 230 km dal vulcano, mentre, alle 13:00 dello stesso giorno, un’imponente nube eruttiva fu avvistata in direzione del vicino Monte Katmai dagli uomini dell’equipaggio del piroscafo Dora, che si trovava nello stretto di Shelikof. Due ore dopo, la cenere e l’oscurità avvolsero rapidamente la Dora costringendo il capitano McMullen a dare l’ordine di invertire la rotta e di dirigersi verso il vasto Golfo dell’Alaska; nonostante l’ordine di procedere “a tutto vapore in avanti”, la Dora rimase sotto la nube di cenere fino alle prime ore del giorno successivo!
Per 60 ore, una massiccia caduta di cenere e ingenti emissioni di gas sulfurei colpirono i villaggi a sudest del vulcano, fino a centinaia di chilometri di distanza (Figura 2). A causa dell’interruzione delle comunicazioni radio e di una visibilità prossima allo zero, le popolazioni colpite furono praticamente tagliate fuori dal resto del mondo.
Sull’isola di Kodiak, distante circa 160 km dalla bocca eruttiva, l’oscurità fu così totale che una lanterna tenuta ad un braccio di distanza era a malapena visibile. I depositi di cenere vulcanica, spessi fino a 30 cm, fecero crollare i tetti degli edifici, mentre valanghe di fango e cenere provenienti dalle pendici delle colline vicine distrussero diverse strutture. Alcuni edifici presero fuoco a causa dei fulmini che si generarono nella nube eruttiva. L’aria divenne irrespirabile e l’acqua non potabile. Diversi villaggi circostanti subirono la stessa sorte e furono abbandonati per sempre (Figura 3).
L’impatto dell’eruzione si estese anche al resto del pianeta. La nube eruttiva superò i 30 km di altezza e la cenere vulcanica, trasportata dai venti stratosferici, fece il giro del mondo. La vasta quantità di cenere e gas vulcanici immessi nell’atmosfera fu responsabile non soltanto di tramonti straordinariamente intensi e luminosi, ma, schermando i raggi solari, abbassò le temperature medie di circa 1°C nell’emisfero settentrionale per oltre un anno.
La Valle dei Diecimila Fumi.
Sebbene gli effetti delle ceneri prodotte dall’eruzione fossero stati avvertiti in tutto il mondo, la conoscenza precisa di ciò che accadde nelle immediate vicinanze del vulcano rimase a lungo un mistero. Fu solo quattro anni dopo, nel 1916, che un gruppo di esploratori finanziato dalla National Geographic Society e guidato dal botanico Robert F. Griggs si avventurò nella regione devastata dall’eruzione.
Superato il Passo Katmai, Griggs si trovò di fronte a un paesaggio e a uno spettacolo che avrebbero segnato la sua vita per sempre. “La visione che si aprì davanti ai nostri occhi… fu una delle più straordinarie mai contemplata da un occhio mortale. L’intera valle, per quanto l’occhio potesse spaziare, era colma di centinaia, no, migliaia – letteralmente decine di migliaia – di fumi che si sollevavano dal suo pavimento fratturato… Era come se tutte le locomotive a vapore del mondo, riunite insieme, avessero aperto contemporaneamente le loro valvole di sicurezza e stessero rilasciando vapore in eccesso all’unisono. Il nostro sentimento di ammirazione [per la Valle]presto cedette il posto a una sensazione di stupore. Restammo sopraffatti. Per un po’ non riuscivamo né a pensare né ad agire in modo normale”.
Griggs aveva appena scoperto ciò che avrebbe poi lui stesso battezzato come “la Valle dei Diecimila Fumi” (Valley of Ten Thousand Smokes; Figura 4). Un fenomeno mai osservato prima al mondo.
Per la prima volta nella storia una grande eruzione esplosiva aveva depositato i suoi flussi piroclastici sulla terraferma anziché in mare, come era accaduto ad esempio nel celebre caso del vulcano Krakatau nel 1883. In poche ore, i flussi piroclastici avevano invaso la valle Ukak, un tempo ricoperta da arbusti e tundra, depositando spessi strati di cenere e pomice che rimasero caldi per diversi decenni.
I famosi “10.000 fumi” che divennero il simbolo di questa valle unica al mondo avevano origine dalle acque superficiali che, penetrando nei depositi ancora caldi, si riscaldavano e venivano poi espulse sotto forma di vapore (Figura 5). Nel corso degli anni successivi, il team di Griggs, che ritornò nella valle molte volte, effettuò misurazioni delle temperature rilevando valori impressionanti, fino a 600 gradi centigradi!
Nel corso del tempo, i depositi piroclastici si raffreddarono poiché il calore residuo intrappolato al loro interno si dissipò. Ciò che rimane oggi nei depositi consolidati di cenere sono fumarole fossili, riempite da minerali dai colori vivaci che si sono formati lungo le fratture verticali, che rappresentavano i “camini” attraverso cui il vapore si sollevava.
Griggs e il suo team erano giunti tuttavia a una conclusione errata riguardo la natura di questo fenomeno; pensarono infatti che… L’ARTICOLO CONTINUA QUI