Trovate possibili tracce di acqua sull’esopianeta roccioso GJ 486 b?
Il James Webb Space Telescope ha rilevato un segnale che suggerirebbe la presenza di vapore acqueo su un pianeta distante 26 anni luce. La rilevazione però potrebbe essere dovuta anche a fenomeni sulla sua stella ospite. Se la scoperta fosse confermata da ulteriori osservazioni, sarebbe la prima identificazione di un’atmosfera su un mondo roccioso esterno al sistema solare
di Allison Gasparini/Scientific American
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Osservando un pianeta roccioso a 26 anni luce di distanza, il James Webb Space Telescope (JWST) ha individuato segni di vapore acqueo. Sarebbe la prima volta che gli astronomi riescono a individuare un’atmosfera su un pianeta roccioso al di fuori del sistema solare. Trovare vapore acqueo su un piccolo mondo sarebbe anche un importante passo in avanti nella ricerca di pianeti abitabili oltre la Terra, perché l’acqua è essenziale per la vita come la conosciamo.
Tuttavia, una spiegazione altrettanto probabile per il vapore acqueo lascia nell’ambiguità questo risultato potenzialmente epocale. Le macchie di attività magnetica sulla stella ospite del pianeta potrebbero essere la fonte del vapore acqueo. Per svelare il mistero saranno necessarie ulteriori osservazioni con diversi strumenti.
“Il solo fatto di sapere che l’acqua potrebbe esistere su un pianeta roccioso attorno a un’altra stella sarebbe un’enormità”, afferma Ryan MacDonald, astrofisico dell’Università del Michigan. Allo stesso tempo, dice MacDonald, “nella scienza è bene fare un po’ l’avvocato del diavolo” invece che promettere troppo un risultato che poi si rivela errato. Il 1° maggio è stato pubblicato un preprint che illustra l’analisi del vapore acqueo effettuata da MacDonald e dai suoi colleghi e lo studio è stato accettato per la pubblicazione sulle “Astrophysical Journal Letters”.
Il telescopio Webb rivela la prima chimica attiva su un esopianeta
Inizialmente, il gruppo aveva pianificato di cercare tracce di anidride carbonica nelle atmosfere dei pianeti rocciosi. I ricercatori hanno scelto GJ 486 b, un pianeta roccioso che orbita vicino a una stella nana rossa nella costellazione della Vergine. Grazie allo strumento NIRSpec (Near Infrared Spectrometer) di JWST, hanno osservato come il pianeta attraversasse il disco della sua stella, vista dalla Terra, un fenomeno chiamato transito. Questo ha permesso al gruppo di raccogliere una frazione della luce stellare che ha attraversato l’atmosfera superiore del pianeta, ammesso che ne abbia una. Questa luce è particolarmente preziosa per gli astronomi perché può portare impresse le impronte delle varie molecole presenti nell’aria di un pianeta. Il vapore acqueo, per esempio, assorbe preferenzialmente la luce di determinate lunghezze d’onda, o colori. Utilizzando la luce di due transiti di GJ 486 b per formare uno “spettro” simile a un arcobaleno – una tecnica chiamata spettroscopia a trasmissione – si sono rivelate linee di assorbimento scure che, come un codice a barre, possono essere lette per rilevare la presenza di vapore acqueo.
Con una temperatura superficiale stimata di circa 400 °C, GJ 486 b è paragonabile a Venere e certamente non rientra nella gamma di ciò che sarebbe considerato abitabile o simile alla Terra. Orbita così vicino alla sua stella che l’atmosfera del pianeta potrebbe essere stata facilmente distrutta molto tempo fa da brillamenti stellari e altre esplosioni. Date le condizioni così difficili, l’autrice principale dello studio, Sarah Moran, planetologa all’Università dell’Arizona, afferma di essere rimasta sorpresa nel vedere segnali che indicavano la presenza di un’atmosfera. “Sono rimasta ancora più sorpresa quando ho confrontato il segnale con i miei modelli atmosferici, e corrispondeva così bene all’acqua”, afferma Moran.
Inizialmente i ricercatori hanno pensato che si trattasse di vapore acqueo nell’atmosfera del pianeta: “Ma abbiamo subito fatto un passo indietro e ci siamo chiesti: ‘Quali sono le altre possibili spiegazioni?'”, dice Moran. Uno scenario concorrente tiene conto del fatto che le stelle nane rosse sono molto più piccole, più fioche e più fredde del Sole. Ciò significa che le macchie stellari sulla loro superficie – regioni scure e altamente magnetizzate su tutte le stelle che presentano temperature più basse rispetto all’ambiente circostante – sono particolarmente fredde e possono esserlo abbastanza da sostenere la formazione di vapore acqueo. Nel 2018, anni prima del lancio di JWST, un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Arizona si è reso conto che le macchie stellari delle nane rosse potrebbero essere una fastidiosa fonte di contaminazione che potenzialmente imita i veri segnali atmosferici degli esopianeti che le accompagnano.
Tenendo presente questo aspetto, Moran e i suoi colleghi hanno calcolato statisticamente quanto bene l’origine atmosferica spiegasse, o “fosse in accordo”, con il segnale del vapore acqueo rispetto a un modello stellare che presuppone la presenza di macchie stellari. Il risultato è stato un accordo quasi assoluto per ciascuno scenario. Statisticamente parlando, se si vuole essere sicuri come gli esperti che questo particolare pianeta contenga vapore acqueo, si può semplicemente lanciare una moneta.
TOI-1452 b, il primo esopianeta acquatico
Una parte dell’ambiguità è dovuta alle notevoli proprietà fisiche dell’acqua. Se lo strumento di JWST avesse rilevato una chiara firma di molecole di anidride carbonica, secondo MacDonald, sarebbe attribuibile esclusivamente al pianeta. “L’acqua risulta essere una molecola sfortunata che è molto stabile in una gamma di temperature molto ampia”, spiega. Mentre il NIRSpec sarebbe stato sufficiente per rilevare l’anidride carbonica, la rilevazione del vapore acqueo si colloca al limite delle capacità di questo strumento. Se non si conducono osservazioni con un assortimento di strumenti che coprano una gamma di lunghezze d’onda più ampia, Moran afferma che le conclusioni rimarranno probabilmente ambigue. “Questo è il primo anno di osservazioni”, aggiunge MacDonald. “Stiamo cercando di capire come modellizzare i pianeti, come modellizzare le stelle e come effettuare le osservazioni.”
Tuttavia, MacDonald è ottimista sul fatto che il gruppo stia imparando a capire quali siano le strategie osservative ottimali per usare JWST in modo da comprendere meglio le atmosfere dei piccoli pianeti. Se dovesse risultare corretto che il vapore acqueo proviene dal pianeta e non dalla stella, ciò significherebbe che GJ 486 b ha un’atmosfera. E se un pianeta con una temperatura superficiale così elevata e un’orbita pericolosamente vicina alla sua stella ospite può avere un’atmosfera, allora presumibilmente mondi più freddi e con orbite più clementi dovrebbero offrire maggiori possibilità di abitabilità. Anche se si dovesse scoprire che le macchie stellari sono la fonte del segnale, dice Moran, questo darà ai ricercatori l’opportunità di imparare di più sui campi magnetici e su altre stranezze dell’astrofisica stellare che permettono la formazione di vapore acqueo sulle nane rosse stesse.
“Non mi sorprende che questo risultato sia ambiguo”, afferma Jacob Bean, astrofisico dell’Università di Chicago, che non ha fatto parte del gruppo di ricerca. La spettroscopia a trasmissione, spiega, è messa a dura prova da atmosfere sottili, come quella che potenzialmente circonda GJ 486 b. Invece, secondo Bean, una tecnica chiamata emissione termica potrebbe fornire un risultato meno ambiguo. Con questo approccio, gli astronomi misurano direttamente il bagliore nell’infrarosso di un pianeta, di solito osservando il passaggio e l’eclissi del pianeta dietro la stella, il che permette di distinguere la firma termica del pianeta da quella della stella. Un’emissione termica sparsa sia sul lato giorno illuminato che sul lato notte oscuro di un pianeta suggerirebbe la presenza di un mezzo per trasportare il calore dalla luce stellare che filtra, ossia un’atmosfera. Nei prossimi mesi, un gruppo guidato dall’astronoma Megan Mansfield dell’Università dell’Arizona effettuerà osservazioni di emissioni termiche di GJ 486 b utilizzando JWST, portando, dice Bean, “molta chiarezza alla situazione”. Ma mentre l’emissione termica potrebbe essere in grado di mostrare con maggiore certezza se c’è un’atmosfera che circonda il pianeta, non sarà in grado di rivelare molto sulla sua eventuale composizione chimica. “Siamo ancora al limite di ciò che possiamo capire”, dice Mansfield. “Ritengo che sia bene fare tutti questi diversi tipi di misurazioni”.
La chiave di volta è condurre osservazioni su un intervallo di lunghezze d’onda molto più ampio, concorda Kevin Stevenson, astronomo alla Johns Hopkins University. Per ottenere i dati migliori su esopianeti piccoli e rocciosi non basterà un solo tipo di osservazione: “Credo che la combinazione di transiti ed eclissi fornirà il massimo delle informazioni”, afferma Stevenson.
Secondo le previsioni di Stevenson, entro il prossimo anno gli astronomi dovrebbero raccogliere dati sufficienti per stabilire definitivamente se GJ 486 b abbia un’atmosfera. “Poi, naturalmente, potremo seguire altri pianeti e avere un’idea più precisa della popolazione nel suo complesso”, conclude. “Questo è solo l’inizio.”