Da dove vengono le lune di Marte?

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Da dove vengono le lune di Marte?

I nuovi risultati di un orbiter degli Emirati Arabi Uniti suggeriscono che le lune di Marte potrebbero provenire dal pianeta stesso, anziché essere asteroidi catturati dallo spazio. Una missione giapponese nei prossimi anni ce lo dirà con certezza
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
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Da dove vengono le lune di Marte? È una domanda a cui gli scienziati non sanno ancora rispondere. Sappiamo che la Luna della Terra si è probabilmente formata in seguito a un gigantesco impatto sul nostro pianeta circa 4,5 miliardi di anni fa. Alcune lune del sistema solare, come alcuni satelliti minori di Giove, sembrano essere asteroidi catturati. Non è ancora chiaro quale di queste due vie di formazione valga per le lune di Marte, Phobos e Deimos, ma presto potremmo avere una risposta. Una sonda giapponese, in fase di lancio il prossimo anno, cercherà di riportare dei campioni da Phobos. La missione si baserà sui nuovi risultati ottenuti da un orbiter degli Emirati Arabi Uniti (UAE) su Marte, che suggeriscono un’origine planetaria per le due lune. “C’è spazio per le sorprese, ma credo che lo scopriremo”, afferma Jemma Davidson dell’Arizona State University.

Il 24 aprile l’UAE ha annunciato che il suo orbiter, Hope, ha studiato la più piccola delle due lune di Marte, Deimos. Il veicolo spaziale ha fornito immagini e dati di Deimos fra i migliori, ottenuti da un’altezza di 100 chilometri sopra la superficie della luna. Questi risultati suggeriscono che la composizione di Deimos sia più simile a quella di Marte che a quella di una classe di asteroidi che in precedenza era stata indicata come la probabile materia prima di Deimos e Phobos: gli asteroidi di tipo D della fascia esterna degli asteroidi tra Marte e Giove. “Non crediamo che [Deimos] sia un asteroide”, afferma Hessa Al Matroushi, responsabile scientifica della missione al Mohammed Bin Rashid Space Center di Dubai.

Per scoprirlo con certezza, gli scienziati vogliono riportare sulla Terra alcuni campioni di Phobos. Nel 2012 un tentativo in tal senso da parte della Russia si è concluso con un fallimento, quando la navicella Phobos-Grunt si è schiantata nell’Oceano Pacifico poco dopo il lancio. “Non è mai uscita dall’orbita terrestre”, afferma John Logsdon, storico dello spazio e professore emerito allo Space Policy Institute della George Washington University. La Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA) spera di evitare lo stesso destino con la sua missione Martian Moons eXploration (MMX). Il veicolo spaziale a energia solare, il cui lancio è previsto per settembre 2024, pesa più di tre tonnellate e ha le dimensioni di un SUV. Il suo obiettivo sarà entrare nell’orbita marziana nell’agosto del 2025 prima di avvicinarsi a Phobos nel 2026 per prelevare campioni e riportarli sulla Terra entro il 2029. La missione è “super-complessa” ma dovrebbe essere molto gratificante, afferma Patrick Michel dell’Osservatorio della Costa Azzurra, in Francia, collaboratore europeo di MMX e membro del comitato scientifico della missione.

Il 17 aprile NASA e JAXA hanno annunciato la loro collaborazione per la missione. Nell’ambito della partnership, la NASA ha selezionato dieci scienziati statunitensi per lavorare su MMX e fornirà anche due strumenti per la navicella. “Abbiamo grandi partner alla JAXA, che sta guidando questa ambiziosa missione per riportare i primi campioni della luna marziana Phobos”, ha dichiarato Bill Nelson, amministratore della NASA, in un video messaggio postato su Twitter. “Insieme, approfondiremo la nostra conoscenza del sistema solare.”

Delle due lune di Marte, Phobos è leggermente più grande. Entrambe hanno una forma irregolare, come le patate. Phobos ha un diametro di circa 27 chilometri sul lato più lungo, mentre Deimos ha un diametro di 15 chilometri. Phobos è anche la più vicina a Marte: si trova a soli 6000 chilometri dalla sua superficie e compie un’orbita ogni 7 ore e 39 minuti. Deimos, a oltre 23.000 chilometri di altitudine, impiega poco più di 30 ore per compiere un’orbita. Entrambe le lune sono già state fotografate da diversi veicoli spaziali, in particolare dall’orbiter Viking 2 della NASA nel 1977 e dal Mars Reconnaissance Orbiter negli anni 2000 e anche dal rover Curiosity dalla superficie di Marte nel 2013. Ma nessun veicolo spaziale è mai atterrato su nessuna delle due lune.

Tre diverse vedute della luna marziana Phobos, riprese dall’orbiter Mars Odyssey 2001 della NASA con la sua fotocamera a infrarossi, Thermal Emission Imaging System (THEMIS). Ogni colore rappresenta una diversa gamma di temperature (© NASA/JPL-Caltech/ASU/SSI)

La missione giapponese MMX cercherà di cambiare questa situazione. Si basa sul successo delle missioni di campionamento di asteroidi della nazione, Hayabusa e Hayabusa2, che hanno restituito campioni di asteroidi rispettivamente nel 2010 e nel 2020. Entrambe, tuttavia, hanno trascorso solo pochi secondi sfiorando le superfici dei loro obiettivi. MMX atterrerà su Phobos in due punti e trascorrerà due ore sulla superficie raccogliendo circa dieci grammi di materiale in totale. “È una grande differenza rispetto ad Hayabusa”, afferma Michel. Le operazioni di superficie su Phobos pongono molte sfide perché la luna ha solo un millesimo della gravità terrestre e un campo gravitazionale non uniforme, data la sua forma insolita. MMX raccoglierà campioni sfruttando due metodi: un campionatore a carotaggio su un braccio estensibile per raccogliere campioni da profondità superiori a due centimetri e un campionatore pneumatico per raccogliere materiale dalla superficie.

Prima di raccogliere i campioni, tuttavia, MMX cercherà di garantire un altro, più “piccolo” atterraggio. Nel 2026 o 2027 il veicolo spaziale dispiegherà sulla superficie un piccolo rover, sviluppato da scienziati francesi e tedeschi. Il rover, delle dimensioni di un microonde, verrà fatto cadere da un’altezza di 45 metri quando la sonda effettuerà un tentativo di atterraggio di prova. Dopo essere ruzzolato sulla superficie, il rover verrà raddrizzato dalle sue quattro ruote estensibili per iniziare una missione di 100 giorni. La debole e irregolare attrazione gravitazionale della luna fa sì che il rover, pur pesando solo 25 chilogrammi, non sia in grado di viaggiare più velocemente di una lumaca, perché altrimenti rischierebbe di lanciarsi nello spazio.

“Se andassimo più veloci di 80 millimetri al secondo, potremmo capovolgere il rover o addirittura uscire dal sistema Phobos”, afferma Markus Grebenstein del German Aerospace Center, responsabile del progetto del rover. Tenendo conto della durata limitata del rover, questo limite di velocità “limita sostanzialmente la nostra portata a circa 100 metri”. Nonostante ciò, il rover dovrebbe rivelarsi prezioso. Studierà la superficie di Phobos e fornirà alla navicella principale MMX informazioni vitali sulle proprietà della superficie lunare che saranno incorporate nei due tentativi di atterraggio. Il rover testerà anche le operazioni robotiche su un corpo piccolo come Phobos. Alla fine della missione, un obiettivo ambizioso potrebbe essere quello di spingere il rover ai suoi limiti facendo girare le ruote posteriori nel tentativo di farlo ribaltare. “Il rover sarebbe facilmente in grado di fare un salto mortale all’indietro”, dice Grebenstein. “Potremmo essere autorizzati a fare esperimenti del genere alla fine della sua vita.”

L’obiettivo di MMX sarà  campionare “il materiale più incontaminato su Phobos”, dice Michel, che potrebbe contenere indizi sulla sua origine. I campioni potrebbero avere anche un bonus nascosto. Si pensa che la superficie di Phobos sia ricoperta da materiale espulso da Marte tramite impatti e poi depositatosi sulla luna. Pertanto, quando il Giappone porterà i suoi campioni sulla Terra nel 2029, potrebbero contenere i primi campioni incontaminati raccolti dal pianeta stesso, battendo di gran lunga l’impegno multimiliardario della NASA per il ritorno dei campioni da Marte, che si prevede arriveranno non prima del 2033. È improbabile che i campioni di MMX contengano prove di vita passata o di abitabilità su Marte, ma potrebbero fornire informazioni utili sulla sua geologia passata. “Speriamo di poterli catturare nel meccanismo di campionamento”, dice Michel. “Con questa missione potremmo avere i primi campioni recuperati da Marte.”

Dopo i due atterraggi, MMX lascerà la superficie e invierà i campioni raccolti sulla Terra in una capsula. Mentre la navicella principale rimarrà nell’orbita di Marte, effettuando successivamente dei sorvoli di Deimos per studiare quella luna da lontano, la capsula di campioni atterrerà in un deserto australiano nel luglio 2029. Davidson è uno degli scienziati selezionati dalla NASA che analizzerà i campioni sulla Terra. “Osservando i minerali, saremo in grado di dire se si tratta di un minerale proveniente da Marte o di un asteroide catturato”, spiega Davidson.

Se i campioni si riveleranno asteroidi catturati, questa scoperta avrà implicazioni interessanti sulla comprensione del modo in cui sono migrati dalla fascia esterna degli asteroidi a Marte. Ma se si tratta di pezzi di Marte, formatisi in seguito a un impatto all’inizio della sua storia, questo pone i suoi problemi, non da ultimo sollevando la questione di come oggetti più piccoli come questi si siano formati intorno a un pianeta, rispetto alle dimensioni della nostra Luna intorno alla Terra, che è insondabilmente più grande, con circa 3500 chilometri di diametro. “Non corrisponde ai modelli che abbiamo sull’aspetto del materiale proveniente da un impatto gigante”, dice Davidson. “Qualunque cosa scopriremo, dovremo ripensare ciò che abbiamo supposto di sapere su questi processi.”

MMX e Hope rappresentano un rinnovato interesse per le lune di Marte, che nel 2015 sono state suggerite dalla Planetary Society come luoghi primari per iniziare l’esplorazione umana del Pianeta Rosso. “Se non potessimo mandare gli esseri umani sulla superficie di Marte, forse potremmo mandarli a fare il rendez-vous con Phobos e Deimos”, dice Logsdon, coautore del rapporto della Planetary Society. Ora siamo più vicini che mai a capire da dove provengono, il che potrebbe aiutarci a capire meglio come si è formato il nostro sistema solare e la sua miriade di pianeti, lune e asteroidi. “Capire come si sono formate le lune è davvero fondamentale per comprendere la dinamica del nostro sistema solare”, afferma Davidson.

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