La scia stellare di un gigantesco buco nero in fuga
Un buco nero supermassiccio con una massa fino a 20 milioni di volte quella del Sole è stato espulso dalla sua galassia, trascinando con sé una scia di stelle lunga 200.000 anni luce
di Kenna Hughes-Castleberry/Scientific American
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Indovinello: che cosa è invisibile, pesa 20 milioni di Soli e sfreccia nello spazio a più di 1500 chilometri al secondo, lasciando una lunga scia stellare? Se avete risposto “un buco nero supermassiccio che è sfuggito alla galassia che lo ospita”, probabilmente avete ragione. Almeno questa è la conclusione di un gruppo internazionale di ricercatori che ha trovato e studiato il candidato alla fuga grazie ad alcuni dei telescopi più potenti del mondo. La scoperta è descritta in dettaglio in un articolo pubblicato su “Astrophysical Journal Letters”.
Per ragioni ancora poco conosciute, i buchi neri supermassicci si nascondono al centro della maggior parte delle grandi galassie, come la nostra Via Lattea. Nonostante le loro dimensioni terrificanti, questi misteriosi giganti sono di solito piuttosto inerti ed è facile ignorarli. Spesso tradiscono la loro presenza solo con i fuochi d’artificio celesti che creano inghiottendo immensi volumi di gas e polvere dalla galassia che li ospita.
Tutto ciò rende i buchi neri supermassicci – che in un certo senso sono “diventati ribelli” – una razza strana e sfuggente. Come fanno a sfuggire al loro ospite galattico e come possono essere visti se non emettono alcuna luce? Nell’ultimo decennio, gli astronomi sono riusciti a identificare solo un piccolo numero di altri candidati nomadi che si muovono oscuramente nelle profondità intergalattiche, ma nessuno di questi, secondo gli autori dello studio, è convincente come il nuovo fuggitivo.
Il buco nero è stato scoperto per caso quando è apparso per la prima volta come una debole striscia lineare nel corso dell’osservazione di ammassi globulari da parte del telescopio spaziale Hubble. Queste strisce sono di solito artefatti dovuti ai raggi cosmici che colpiscono i rilevatori di Hubble, spiega l’autore principale dello studio Pieter van Dokkum, astronomo alla Yale University. Ulteriori osservazioni con l’Osservatorio W. M. Keck di Mauna Kea, nelle Hawaii, hanno invece rivelato che la striscia era un flusso di giovani stelle blu che si estendeva per ben 200.000 anni luce.
Questo flusso stellare è la prova decisiva, dice van Dokkum. Si tratta presumibilmente di una sorta di scia cosmica che si è originata da una riserva di gas che il buco nero in movimento ha sconvolto e compresso in stelle. Il flusso risale come una freccia fino a quella che è la probabile galassia di origine, a circa 7,5 miliardi di anni luce dalla Terra, che non mostra segni di ospitare un gigantesco buco nero nel suo nucleo. “Da tempo si ipotizza che ogni galassia sia incorporata in un vasto serbatoio di idrogeno gassoso”, afferma van Dokkum. “Quello che riteniamo di stare osservando è il buco nero che illumina quel gas mentre si allontana, offrendoci una rara visione di questo materiale sfuggente”.
“Dall’età di queste stelle – aggiunge – deduciamo che il buco nero è fuggito circa 40 milioni di anni fa e sta attraversando lo spazio alla velocità elevatissima di circa 1600 chilometri al secondo.”
Questa velocità è ciò che entusiasma molti esperti. “Se si tratta di un buco nero in fuga…, viaggia molto velocemente”, afferma Christopher Reynolds, docente di astronomia all’Università di Cambridge, che non ha partecipato allo studio. È così veloce, infatti, che sembra improbabile qualsiasi spiegazione che non implichi un buco nero gigantesco che corre a perdifiato tra le galassie.
Tuttavia, gli astronomi sperano che ulteriori osservazioni con il telescopio spaziale James Webb e l’osservatorio a raggi X Chandra della NASA possano eliminare ogni dubbio. “Sono necessari molti più dati per stabilire questa ipotesi”, afferma la coautrice dello studio Maria Luísa Buzzo, dottoranda alla Swinburne University of Technology, in Australia. “Abbiamo bisogno di ulteriori dati per confermare questo scenario e per diminuire le incertezze sulla natura della caratteristica [del flusso stellare]”, afferma l’autrice. Erin Bonning, astronoma alla Emory University, che non ha partecipato al lavoro, è d’accordo. “Vorremmo vedere gli effetti gravitazionali diretti di un oggetto compatto e massiccio”, afferma.
Questi effetti sono cruciali per spiegare in che modo qualcosa che pesa milioni o miliardi di Soli possa essere cacciato da una galassia. Gli astronomi sanno da tempo che le grandi galassie possono nascere da collisioni e fusioni di galassie più piccole. Anche le galassie giganti possono fondersi l’una con l’altra, costringendo i buchi neri dei rispettivi centri ad avvicinarsi. “Non sappiamo bene che cosa succede dopo”, dice van Dokkum. “Più di cinquant’anni fa è stato proposto che a volte questi buchi neri potessero essere spostati dal centro delle galassie in seguito alla fusione e persino espulsi. Questa osservazione sembra confermare quell’ipotesi, dandoci un’idea di ciò che accade quando gli oggetti probabilmente più impressionanti dell’universo si fondono.”
Se due buchi neri si bloccano in una danza gravitazionale e poi ne arriva un terzo, l’instabilità che ne deriva può scagliare uno dei tre a una velocità sufficiente per uscire completamente dalla galassia ospite. Oltre a quella di tre buchi neri che si sparpagliano come palle da biliardo, un’altra possibilità è che due di essi si uniscano per formare un’unica cosa. “Il secondo scenario prevede che due buchi neri si fondano ed emettano onde gravitazionali”, spiega Avi Loeb, astrofisico alla Harvard University, che non ha partecipato al lavoro. “Quando si immergono l’uno verso l’altro, le [onde gravitazionali]avranno una direzione preferita nel caso, comune, in cui i due buchi neri non abbiano masse identiche. Di conseguenza, il residuo della fusione si ritrarrà nella direzione opposta per conservare la quantità di moto.”
Il modo in cui i buchi neri supermassicci riescono a raggiungere lo spazio intergalattico può avere importanti implicazioni per le galassie ospiti che si lasciano alle spalle. Per esempio, i buchi neri potrebbero sopprimere o promuovere ulteriori episodi di formazione stellare. Trovarne altri che sfrecciano nel cosmo potrebbe quindi fornire ai ricercatori un nuovo potente strumento per capire meglio come nascono, crescono e infine muoiono le galassie. Le curiose caratteristiche di questo candidato, individuato per caso come un “graffio” stellare in un’immagine di Hubble, inducono Bonning e altri esperti a sospettare che possano già esserci prove di altre fughe simili, non ancora notate e in attesa di essere scoperte in altre serie di dati.
“Se questo è effettivamente ciò che sta accadendo, e se è abbastanza comune, si può andare a cercare sistematicamente questo tipo di cose”, dice Bonning. Con l’ausilio dell’apprendimento automatico per individuare le striature rivelatrici, le future indagini (survey) panoramiche effettuate da strutture di prossima realizzazione come il Nancy Grace Roman Space Telescope della NASA e l’osservatorio terrestre Vera C. Rubin potrebbero forse rivelare un tesoro di questi oggetti, ognuno dei quali, secondo le parole di Bonning, “è un ago in un pagliaio che non si vede”.