Oltre metà delle acque italiane è contaminata da glifosato e altri pesticidi: il report shock dell’Ispra
Quanto sono inquinate le acque del nostro Paese? Tanto, troppo. Oltre la metà di quelle superficiali sono contaminate da pesticidi. Tra i più rilevati spiccano gli erbicidi, in particolare il controverso glifosato, come confermato dal nuovo monitoraggio Ispra
di Rosita Cipolla
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Le nostre falde acquifere sono avvelenate da veri e propri cocktail di pesticidi, che rappresentano una minaccia per la nostra salute, oltre che per l’ambiente. E negli ultimi annni, invece di ridurre, i livelli di inquinamento sono cresciuti. A lanciare l’allarme è l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che ha pubblicato di recente il report nazionale relativo alla contaminazione delle acque.
I numeri emersi dal monitoraggio, riferito al biennio 2019-2020, lasciano con l’amaro in bocca: nelle acque superficiali sono stati ritrovate sostanze chimiche addirittura nel 55,1% dei campioni analizzati.
Acque sempre più avvelenate (specialmente al Nord)
Come anticipato, negli ultimi anni i livelli di inquinamento delle falde acquifere è andato ad aumentare. Nel corso del biennio 2019-2020 sono stati analizzati oltre 31mila campioni per andare alla ricerca di 406 sostanze. Le indagini portate avanti hanno riguardato 4.388 punti di campionamento e 13.644 campioni. Per quanto riguarda le acque superficiali sono stati rilevati pesticidi nel 55,1% dei 1.837 punti, mentre in quelle sotterranee nel 23,3% dei 2.551 punti.
Anche in quest’ultimo monitoraggio dell’Ispra è emersa una disomogeneità fra le Regioni del Nord, dove le acque sono risultate maggiormente inquinate, e quelle del Centro-Sud. La presenza di pesticidi, come già ampiamente segnalato negli anni precedenti, è più diffusa nelle aree della pianura padano-veneta, sia per via delle caratteristiche idrologiche del territorio che per l’intenso sfruttamento agricolo nella zona.
Tuttavia, come chiarito nel report, i risultati del biennio 2019-2020 non sono esaustivi, dato che non comprendono quelli della Calabria e quelli relativi alle acque sotterranee della Puglia.
Se è vero che nel Nord del Paese la presenza dei pesticidi risulta più elevata di quella media nazionale, arrivando a interessare il 67% dei punti delle acque superficiali e il 34% delle acque sotterranee, come già segnalato, deve essere tenuto presente che questo dipende anche largamente dal fatto che le indagini sono generalmente più rappresentative. – chiarisce l’ISPRA – Si assiste ad un’ottimizzazione del monitoraggio, che è diventato nel tempo più efficace e si è concentrato in modo particolare nelle aree dove è più probabile la contaminazione.
Le sostanze maggiormente rilevate nelle acque
In totale i fitosanitari trovati nelle falde acquifere sono stati 183: 62 nelle acque superficiali, 102 in quelle sotterranee.
Nelle acque superficiali sono cercate in media 81 sostanze per campione, con un massimo di 238; nelle acque sotterranee sono cercate in media 78 sostanze, con un massimo di 239. – si legge nel report – Nei campioni con residui sono frequenti miscele di sostanze: in media 4,3 con un massimo di 31 nelle acque superficiali; 2,9 in media, con un massimo di 32 sostanze nelle acque sotterranee.
Ma quali sono i pesticidi presenti in maggiori quantità nelle nostre acque? Per quanto concerne quelle superficiali le sostanze più frequentemente riscontrate sono gli erbicidi – in particolare il pericoloso glifosato (l’erbicida più utilizzato in Italia e nel mondo) – e il metabolita AMPA (riscontrati con frequenze complessive rispettivamente del 42% e del 68%).
A destare grande preoccupazione è soprattutto il glifosato, presente nel 72,3% dei 770 punti di campionamento delle acque superficiali,
sopra i limiti ambientali nel 21% dei casi.
L’erbicida metolaclor e il suo metabolita metolaclor-esa hanno invece frequenze del 10 e 46% (il metabolita è cercato solo in 2 regioni); gli erbicidi imazamox e nicosulfuron sono entrambi sostanze candidate alla sostituzione per le proprietà PBT e sono riscontrati con frequenze del 9% e 7%. – spiega l’Ispra – L’insetticida imidacloprid è ritrovato con una frequenza del 6%. I fungicidi più frequenti sono metalaxil, dimetomorf, azossistrobina e boscalid con frequenze dal 5% al 4%.
Lo scenario non è molto diverso per le acque sotterranee: anche in questo caso gli erbicidi sono tra le sostanze più rinvenute. In particolare, i metaboliti triazinici e tra questi l’atrazina desetil-desisopropil è la sostanza più rilevata, con una frequenza del 24%; mentre il metabolita metolaclor-esa è rinvenuto nel 14% dei campioni.
Inoltre dai campionamenti è venuta fuori una rilevante presenza dell’erbicida bentazone al 5%, riscontrato con frequenza minore anche nelle acque superficiali, e di glifosato e AMPA con frequenze del 4%. Infine, anche nelle acque sotterranee si ritrovano le due sostanze candidate alla sostituzione imazamox e nicosulfuron con frequenze del 4% e 1%, e l’insetticida imidacloprid al 2%.
Nelle acque superficiali ben il 30,5% dei campioni presentava concentrazioni di sostanze superiori ai limiti ambientali, mentre in quelle sotterranee la percentuale è decisamente più ridotta, pari al 5,4% del totale.
Il problema della miscela di sostanze fitosanitarie (i cui effetti sulla salute sono ancora poco noti)
Il report dell’Ispra si sofferma su un aspetto che non può essere tralasciato. Nei vari campioni di acqua analizzati sono state rilevate fino a un massimo di 32 sostanze differenti, presenti contemporaneamente.
Nelle acque superficiali abbondano il glifosato e l’AMPA (presenti nel 38,6% e 47,6% dei campioni), seguiti dagli erbicidi metolaclor, terbutilazina e metabolita, mentre nelle acque sotterranee gli erbicidi triazinici e i loro metaboliti sono le sostanze che spesso contaminano le falde in contemporanea.
“Occorre tener conto che, prese singolarmente, queste sostanze rappresentano già un rischio considerevole per l’ambiente acquatico; nel valutare i possibili effetti combinati dell’insieme delle sostanze individuate, per via anche delle incertezze scientifiche ancora largamente presenti, è pertanto opportuno tenere conto anche delle presenze a basse concentrazioni, al di sotto dei singoli limiti normativi” fa notare l’ISPRA.
In più occasioni vi abbiamo parlato del cosiddetto effetto cocktail, le cui conseguenze negative sulla salute (oltre che sugli ecosistemi)e a sono ancora da approfondire.
Fonte: ISPRA