Il ghiacciaio della Marmolada tra 15 anni potrebbe scomparire del tutto (VIDEO)
La regina delle Dolomiti nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume
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Il 27 e 28 agosto si è svolta la quarta edizione della campagna glaciologica partecipata sulla Marmolada, un’iniziativa aperta a tutta la popolazione per approfondire la conoscenza del ghiacciaio e promossa dal museo di geografia dell’università di Padova in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, Arpa Veneto e Carovana delle Alpi di Legambiente e i risultati per il ghiacciaio. che è stato teatro della tragedia del 3 luglio in cui hanno perso la vita 11 persone a causa del distacco di un enorme seracco dalla sua parte sommitale, sono molto preoccupanti: «Unariduzione nell’ultimo secolo di più del 70% in superficie e di oltre il 90% in volume che ne determinano una grandezza di circa un decimo rispetto a cento anni fa». Legambiente sottolinea che «Gli effetti della crisi climatica non risparmiano il Ghiacciaio della Marmolada, il più grande delle Dolomiti. Il suo ritiro ha mostrato una progressiva accelerazione, tanto che negli ultimi quarant’anni la sola fronte centrale è arretrata di più di 600 metri provocandone una risalta in quota di circa 250 metri. Un futuro incerto per il gigante bianco che, stando alle previsioni degli esperti, nel giro di meno di 15 anni potrebbe scomparire del tutto».
Arpa Veneto evidenzia che «La campagna 2022, dopo gli eventi del 3 luglio, non ha attraversato il ghiacciaio come negli anni scorsi, ma lo ha osservato dalla catena del Padón, percorrendo il sentiero geologico di Arabba sul versante che si affaccia sulla Marmolada. Una necessità ma anche una scelta per prendere le “distanze” dal ghiacciaio, fare una riflessione sul suo stato di salute e coglierne le relazioni con la presenza umana e il territorio circostante. Durante l’escursione, diversi esperti al rintocco di ogni ora hanno tenuto brevi conferenze, approfondendo vari aspetti geografici – glaciologici, morfologici, economici, storici – della Marmolada
La Carovana delle Alpi è tornata dopo due anni sulla Marmolada, facendo un passo indietro per capire cosa sta accadendo, a due mesi dalla tragedia, di cui gli esperti stanno ancora studiando le cause e ambientalisti e ricercatori dicono che «Tali cause sono da imputare alla forte inclinazione del pendio roccioso e alla progressiva apertura di un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità, alla presenza di discontinuità al fondo e sui lati, all’aumento anomalo delle temperature con conseguente aumento della fusione e incremento della circolazione d’acqua all’interno del ghiaccio».
Arpa Veneto ha partecipato con un rappresentante del Centro valanghe di Arabba che ha illustrato ai partecipanti i primi risultati sull’evoluzione climatica del manto nevoso alpino nel contesto dei ghiacciai e degli sport invernali: « Nel trentennio climatico 1991-2020, sull’arco alpino meridionale è nevicato meno del precedente trentennio 1961-1990 e quindi anche la presenza della neve al suolo, sia come estensione, specie alle basse quote, sia in termini di spessori, è andata riducendosi. Il trentennio 1961-1990, che corrisponde anche all’ultimo impulso positivo dei ghiacciai delle Dolomiti e in generale delle Alpi, è stato caratterizzato da maggiori precipitazioni nevose e da spessori più elevati, specie nei mesi di fine inverno e inizio primavera. E’ anche in questo periodo che si sono sviluppati i comprensori sciistici di bassa quota, oggi ormai non più sostenibili e in gran parte dismessi. Oggi la quota della neve sciabile, definita dagli austriaci come la quota dove per almeno 100 giorni rimane uno spessore di neve naturale di 30 cm al suolo, è collocata oltre i 1750 m di quota, quando nel trentennio precedente è stata più frequentemente inferiore ai 1500 m di quota. Gli spessori di neve al suolo oltre i 1500 m di quota, fra i due periodi, sono diminuiti del 25% nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio e del 35% nel periodo primaverile di marzo e aprile, per dare un esempio di come la situazione sia mutata. Tuttavia, i primi risultati evidenziano negli ultimi 15 anni una estrema variabilità della neve degli inverni, con stagioni molto nevose e da record (esempio 2009, 2014, 2021) alternate ad altre secche e scarse di precipitazioni (2022,2017, 2016). La diminuzione delle precipitazioni nevose, accompagnata da calde temperature estive, è quindi la causa della marcata riduzione dei ghiacciai alpini, specie di quelli Dolomiti più sensibili alle variazioni climatiche».
Per Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, «La Regina della Dolomiti sta perdendo il suo gigante di ghiaccio più in fretta delle altre vette con rotture di equilibri secolari e accelerazioni di fenomeni anche tragici. Ma non devono essere tristi episodi di cronaca a doverci ricordare che siamo in piena emergenza climatica. Occorre più consapevolezza di quel che sta accadendo e soprattutto un nuovo rapporto tra uomo-natura. Basta considerare la montagna come un luna-park e basta infrastrutturazione a tutti i costi, utile invece pensare a questa come uno straordinario spazio di sperimentazione della sostenibilità».
Aldino Bondesan, del Comitato Glaciologico Italiano e dell’università di Padova, ha ricordato che «Il Ghiacciaio della Marmolada è un fondamentale termometro dei cambiamenti climatici per la sua rapida risposta anche alle piccole variazioni di precipitazioni e temperatura. Fenomeni come il distaccamento dello scorso 3 luglio sono frequenti nei ghiacciai e fanno parte della loro normale dinamica. Ciò che desta maggior preoccupazione è la progressiva accelerazione del ritiro glaciale: se saranno confermati gli attuali andamenti anche nei prossimi anni, è molto probabile che il ghiacciaio della Marmolada scompaia prima del 2040».
Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, ha concluso richiamando l’attenzione delle istituzioni sulle origini della crisi climatica e ha chiesto che «La transizione energetica torni al centro del dibattito politico ed in particolare della campagna elettorale. Con l’Osservatorio Città clima di Legambiente abbiamo registrato in Veneto ben 84 eventi estremi negli ultimi 13 anni. Urgente abbandonare le fonti fossili e spingere l’acceleratore per arrivare a emissioni di gas a effetto serra nette pari a zero nel 2040, in coerenza con l’Accordo di Parigi (COP 21). Al contempo occorre dotarsi di un piano di adattamento al clima per tutelare i territori e le comunità».