Quasi 2,5 mln di persone vivono in aree a rischio elevato di alluvione in Italia
Complessivamente il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media
di Marco Talluri
www.greenreport.it
Ispra ha recentemente presentato l’edizione 2021 del Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia che fornisce il quadro di riferimento sulla pericolosità associata a frane e alluvioni, nonché sull’erosione costiera per l’intero territorio nazionale e presenta gli indicatori di rischio relativi a popolazione, famiglie, edifici, aggregati strutturali, imprese e beni culturali. Al contempo sono stati pubblicati nella piattaforma Idrogeo in formato aperto i dati contenuti nel rapporto e i file relativi alle nuove Mosaicature nazionali di pericolosità.
Un lavoro davvero prezioso svolto ormai da diversi anni da parte dei tecnici di Ispra, anche in collaborazione con le ARPA/APPA, che fornisce un quadro conoscitivo essenziale, dal quale dovrebbero partire – come affermato da numerosi interventi – politiche di tutela del territorio e di risanamento del dissesto idrogeologico, che davvero questi dati mostrano quanto siano indispensabili ed urgenti.
Complessivamente il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media (tempo di ritorno tra 100 e 200 anni). Rispetto all’edizione 2018 del Rapporto, emerge un incremento percentuale del 3,8% della superficie classificata a pericolosità da frana elevata e molto elevata e del 18,9% della superficie a pericolosità idraulica media. L’incremento è legato principalmente a un miglioramento del quadro conoscitivo effettuato dalle Autorità di Bacino Distrettuali con studi di maggior dettaglio e mappatura di nuovi fenomeni franosi o di eventi alluvionali recenti.
Il Rapporto Ispra evidenzia come la Direttiva 2007/60/CE o Direttiva Alluvioni (recepita dal Decreto legislativo 49/2010), indichi che alcune attività antropiche, quali la crescita degli insediamenti umani, l’incremento delle attività economiche, la riduzione della naturale capacità di laminazione del suolo per la progressiva impermeabilizzazione delle superfici e la sottrazione di aree di naturale espansione delle piene, contribuiscano ad aumentare la probabilità di accadimento delle alluvioni e ad aggravarne le conseguenze.
D’altra parte le caratteristiche morfologiche del territorio nazionale, in cui spazi e distanze concessi al reticolo idrografico dai rilievi montuosi e dal mare, sono per lo più assai modesti, lo rendono particolarmente esposto ad eventi alluvionali, innescati spesso da fenomeni meteorologici brevi e intensi. Eventi che, per l’effetto dei cambiamenti climatici in atto diventano sempre più frequenti.
Rispetto agli eventi alluvionali, esiste una sorta di ripetitività nell’accadimento degli eventi stessi, nel senso che medesime porzioni di territorio nel tempo sono state interessate da inondazioni e alcune di esse a causa delle caratteristiche morfologiche e di uso del suolo, si configurano come aree a rischio potenziale significativo di inondazione.
La Direttiva alluvioni richiede (art.6) che siano redatte, mappe di pericolosità che contengono la perimetrazione delle aree che potrebbero essere interessate da alluvioni secondo tre scenari di probabilità (ovvero di pericolosità):
- scarsa probabilità (LPH), di alluvioni o scenari di eventi estremi; tempo di ritorno maggiore di 200 anni;
- media probabilità (MPH), alluvioni poco frequenti: tempo di ritorno fra 100 e 200 anni;
- elevata probabilità (HPH), alluvioni frequenti: tempo di ritorno fra 20 e 50 anni.
D’altra parte il cambiamento climatico fa sì che in realtà il tempo di ritorno di eventi estremi stanno rapidamente cambiando e quindi incidono ed incideranno sempre più sull’estensione delle aree con livelli di pericolosità maggiore.
Secondo il rapporto Ispra, al 2020 In Italia il 5,4% del territorio nazionale ricade in aree a pericolosità/probabilità elevata (HPH) per una superficie potenzialmente allagabile di 16.223,9 km2; tale superficie in caso di scenario di pericolosità/probabilità media (MPH) si estende fino a 30.195,6 km2 ossia il 10,0% del territorio nazionale, per arrivare a 42.375,7 km2 in caso di scenario di pericolosità/probabilità bassa (LPH) con una percentuale di territorio nazionale allagabile pari al 14,0% della superficie totale.
Nel rapporto si chiarisce che la notevole estensione delle aree allagabili a partire dallo scenario medio per la Regione Emilia-Romagna è legata alla presenza di una complessa ed estesa rete di collettori di bonifica e corsi d’acqua minori che si sviluppano su ampie aree morfologicamente depresse, di tratti arginati spesso lungo alvei stretti e pensili, di regimazioni e rettifiche in specie nei tratti di pianura. Per tempi di ritorno superiori a quelli previsti per lo scenario di pericolosità elevata, infatti, il reticolo di bonifica per lo più insufficiente in modo generalizzato, provoca allagamenti diffusi su porzioni molto ampie del territorio.
La parimenti notevole estensione delle aree allagabili a partire dallo scenario di pericolosità elevata per la Regione Calabria discende invece dalle modalità con cui è stato trattato l’intero reticolo idrografico per il quale, ad eccezione dei tratti in cui sono disponibili gli esiti di studi avanzati, è stata definita una sorta di “fascia di rispetto per pericolo di inondazione”.
In termini di popolazione, ci sono quasi due milioni e mezzo di persone che vivono in aree a rischio alluvione elevato, di queste circa 950mila si trovano in Emilia-Romagna e Veneto, ma sono anche molti coloro che sono in tale situazione in Toscana (oltre 270mila), che si colloca sul gradino più basso di questo poco ambito podio. Oltre 600mila gli edifici a rischio elevato, oltre 325mila le imprese e oltre 16mila i beni culturali.
Dati che indicano con chiarezza una situazione di fragilità del nostro territorio, che ogni volta che piove più a lungo ed in modo più intenso ci fa preoccupare sempre di più.
Nell’articolo pubblicato nel mio blog Ambientenonsolo, sono disponibili le tabelle interattive con il dettaglio dei dati per tutte le regioni riguardo le situazioni a rischio: superfici territorio, popolazione, edifici, imprese e beni culturali.
A livello provinciale Cosenza, Ferrara, Reggio Calabria, Venezia e Bologna sono le realtà che hanno una maggiore superficie del proprio territorio a rischio elevato di alluvioni.
Nell’articolo pubblicato nel mio blog Ambientenonsolo, le tabelle interattive con i dati relativi a tutte le province e città metropolitane italiane.
In termini di popolazione che vive in aree a rischio elevato di alluvione, svetta Venezia, seguita da Padova, Bologna, Ferrara e Genova. In ciascuna delle due province venete sono rispettivamente più di 150mila e quasi 130mila le persone che vivono in aree a rischio elevato alluvioni, mentre nelle due province emiliano romagnole e in quella ligure si parla di circa, più o meno, 90mila persone.
Nell’articolo su Ambientenonsolo sono anche disponibili i dati relativi ai quasi 8mila comuni italiani, dove è possibile vedere tutti in dettaglio: superficie aree, popolazione, imprese, beni culturali in valore assoluto e % per ciascuna classe di pericolosità.
In 6300 comuni l’estensione delle aree a pericolosità elevata di alluvione è minore del 10% del territorio comunale, ma in quasi 400 comuni questa è maggiore del 25% ed addirittura in 88 comuni interessa più di metà del territorio.
Sono invece 46 i comuni nei quali più della metà della popolazione vive in zone a rischio elevato di alluvione e 190 dove questa percentuale è superiore al 25%. Analoga la situazione per quanto riguarda la percentuale di imprese in aree a rischio elevato (più del 50% in 45 comuni e più del 25% in 231 comuni). Per quanto riguarda i beni culturali, la situazione sembra anche più delicata, se i comuni dove più della metà dei beni culturali si trova in tali aree a rischio elevato sono ben 206 e 592 dove questa percentuale è superiore al 25%.
di Marco Talluri, https://ambientenonsolo.com