Il 64% d’Europa è in stato di allerta o allarme a causa della siccità
«Stress senza precedenti sui livelli idrici, i cambiamenti climatici sono indubbiamente più significativi ogni anno»
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È necessario attendere la fine della stagione estiva per sapere se – come sembra – la siccità in corso in Europa è «la peggiore degli ultimi 500 anni», ma le evidenze finora accumulate parlano chiaro.
Il nuovo rapporto Drought in Europe – august 2022, elaborato dal Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione europea, mostra che il 47% dell’Unione è ancora in condizioni di allerta – vale a dire che le precipitazioni sono state meno del solito e l’umidità del suolo è insufficiente – e il 17% dell’Ue è in stato di allarme, il che significa che anche la vegetazione e le colture risentono della siccità.
Complessivamente, il 64% dell’Europa è in stato di allerta o allarme, il che implica anche un’estensione delle aree a rischio d’incendio; e se nelle ultime settimane le piogge hanno attenuato le condizioni di siccità in alcune aree, in molti casi – come nel centronord italiano – le precipitazioni sono arrivate sotto forma di nubifragi, lasciandosi alle spalle feriti, morti e ingenti danni economici.
«Una grave siccità in combinazione con ondate di calore ha provocato uno stress senza precedenti sui livelli idrici in tutta l’Ue – conferma Mariya Gabriel, commissaria per l’Innovazione – Osserviamo una stagione degli incendi boschivi sensibilmente più intensa della media ed effetti marcati sulla produzione vegetale. I cambiamenti climatici sono indubbiamente più significativi ogni anno». Con conseguenze negative che ormai si moltiplicano rapidamente.
Gli stress termici stanno ad esempio abbattendo le rese agricole europee, minando la produzione di cibo, con gli scienziati del Jrc che stimano previsioni di resa per il mais, la soia e il girasole ben al di sotto della media su 5 anni (rispettivamente del -16%, -15% e -12%).
La grave carenza di piogge ha inoltre colpito quasi tutti i fiumi d’Europa, con effetti sia sul settore energetico in relazione alla produzione di energia idroelettrica e al raffreddamento di altre centrali elettriche – come quelle alimentate da energia nucleare –, sia sul trasporto fluviale.
Che fare? Di fronte ad una situazione tanto complessa, non esistono risposte semplici. Ma occorre lavorare almeno su due fronti.
Il primo, quello della mitigazione, impone di lottare contro la crisi climatica riducendo le emissioni di gas serra: possiamo farlo agendo su risparmio ed efficienza energetica, installando al contempo i necessari impianti per catturare le energie rinnovabili gratuitamente disponibili in tutta Europa (Italia compresa, naturalmente).
Il secondo agisce invece sull’adattamento a quella quota parte di cambiamenti climatici che ormai abbiamo innescato, e che non tornerà indietro. Un fronte sul quale l’Italia è particolarmente indietro: il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è fermo in bozza dal 2017, con la conseguenza che il nostro Paese è l’unico tra i grandi in Europa a non essersi ancora dotato di questo strumento. E intanto gli eventi estremi che si abbattono sul territorio nazionale aumentano: da inizio anno a fine luglio ne sono stati censiti già 132.