La lunga marcia della siccità in Italia, spiegata dall’Ispra

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La lunga marcia della siccità in Italia, spiegata dall’Ispra

Abbiamo già perso il 19% dell’acqua disponibile rispetto al trentennio 1921-1950. Se non fermiamo la crisi climatica rischiamo un altro -40%, con punte di -90% al sud
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Quali sono le tendenze e gli impatti a breve, medio e lungo termine dei cambiamenti climatici sul ciclo idrologico e, in particolare, sulla disponibilità d’acqua? Per rispondere, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), ha messo in fila i dati disponibili delineando una situazione «decisamente poco rassicurante».

La siccità che il Paese sta sperimentando negli ultimi mesi, soprattutto al nord, è tutt’altro che un fenomeno passeggero. Alla scala europea, è stato osservato a partire dal 1980 un aumento degli eventi di siccità nel continente, diventati sempre più gravi e con un impatto economico stimato in 100 miliardi di euro tra il 1976 e il 2006; inoltre, studi europei sul periodo 1951–2015 hanno evidenziato un aumento della frequenza e della severità degli eventi di siccità per il sud dell’Europa, specie nei mesi estivi e nell’area mediterranea. Nel merito, l’analisi condotta da Ispra per l’Italia mostra su scala annuale un aumento, statisticamente significativo, delle aree colpite da siccità estrema.

Di fatto, il calcolo della disponibilità di risorsa idrica effettuato su trentenni climatologici successivi mostra che l’acqua disponibile nell’ultimo trentennio 1991-2020 è già ridotto del 19% rispetto a quello relativo al trentennio 1921-1950 (circa 134,5 mld mc di acqua contro 166 mld mc), che rappresenta il valore di riferimento storico.

Già oggi, la domanda di acqua in Italia si aggira sui 37,7 mld mc, confrontata con la risorsa media annua disponibile, mostra «una condizione media nazionale di stress idrico». Ma il peggio potrebbe ancora venire, con l’avanzare della crisi climatica.

Basandosi sui dati disponibili, Ispra prevede a livello nazionale un’ulteriore riduzione della disponibilità di risorsa idrica «che va dal 10% nella proiezione a breve termine, nel caso di un approccio di mitigazione aggressivo nella riduzione delle emissioni di gas serra (coerentemente con lo scenario Ipcc Rcp2.6, che permetterebbe il rispetto dell’Accordo di Parigi sul clima, ndr) al 40% (con punte del 90% per il sud Italia) nella proiezione a lungo termine, ipotizzando che la crescita delle emissioni di gas serra mantenga i ritmi attuali(scenario Ipcc Rcp8.5, con emissioni “business as usual”, ndr)».

Lo scenario peggiore non è però scritto nella pietra, siamo ancora in tempo per evitarlo. Come? Innanzitutto contribuendo alla riduzione delle emissioni climalteranti, che nel mentre però sono tornate a crescere. È indispensabile poi ricalibrare i consumi d’acqua: come spiega l’Ispra, in ambito europeo questi potrebbero «aumentare del 16% entro il 2030 in uno scenario “business as usual”, mentre l’utilizzo di tecnologie di risparmio idrico in ambito industriale e una migliore gestione dell’irrigazione in ambito agricolo potrebbero ridurre gli sprechi fino a oltre il 43%».

Infine, è indispensabile ridurre drasticamente l’affronto degli acquedotti colabrodo che disperdono l’acqua potabile ancora prima che arrivi al rubinetto di casa.

«Le statistiche dell’Istat sull’acqua per gli anni 2019-2021 rivelano che nel 2020 – riporta l’Ispra – nei 109 Comuni capoluogo di provincia/città metropolitana, il servizio di distribuzione dell’acqua potabile è stato caratterizzato da perdite in rete dell’ordine del 36%, il che si traduce nel fatto che a fronte di un prelievo di 370 litri per abitante al giorno, quelli effettivamente utilizzati sono 236. Le analisi dell’Istat evidenziano che le perdite totali di rete si riducono di circa un punto percentuale (rispetto al 2018), proseguendo la tendenza iniziata nel 2018, quando a seguito della siccità del 2017 venne avviata una serie di interventi. Per migliorare la gestione della risorsa in un’ottica di adattamento e sostenibilità, specialmente in occasione di eventi di siccità e/o di scarsità idrica, sarebbe necessario disporre di un monitoraggio sistematico e omogeneo delle portate, dei prelievi e delle restituzioni, a copertura nazionale. Ciò consentirebbe agli enti coinvolti a vario titolo nella valutazione e gestione della risorsa idrica, tra cui l’Ispra, di poter costruire con maggior dettaglio il quadro conoscitivo e i possibili effetti di differenti scenari di utilizzo della risorsa stessa».

Conunicato dell’Ispra, clicca qui di seguito

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