Il caldo non è uguale per tutti
Le ondate di calore, come quelle che di recente hanno attraversato il nostro paese e non solo, hanno purtroppo un costo in termini di aumento della mortalità. Ma diversi studi nel mondo dimostrano che non tutte le fasce della popolazione ne risentono in ugual misura. Un’analisi particolarmente accurata che ha preso in esame la città di Torino ha ora messo in evidenza i fattori di rischio più rilevanti in base a caratteristiche demografiche, sociali ed economiche
di Marco Boscolo
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Anche l’estate del 2022 sarà ricordata per una serie di ondate di calore, con temperature massime ben sopra la media del periodo. Commentando le temperature attorno ai 40 °C registrate a Londra, il segretario generale della World Meteorological Organization Petteri Taalas ha sottolineato come “in futuro questo tipo di ondate di calore saranno la normalità. Vedremo estremi più forti. Abbiamo rilasciato così tanta anidride carbonica nell’atmosfera che questo trend negativo continuerà per decenni”. Non tutte le fasce di popolazione, però, subiscono le conseguenze di questa situazione allo stesso modo.
Per esempio, un recente studio pubblicato sulla rivista “Earth’s Future” da un gruppo di ricercatori guidati da Mohammad Reza Alizadeh dell’Università di Montreal, in Canada, mostra come siano le persone con un reddito più basso a essere più esposte alle ondate di calore per periodi di tempo più lunghi rispetto a chi ha un reddito più alto.
Oggi, le popolazioni a reddito più basso hanno un’esposizione alle ondate di calore superiore del 40 per cento rispetto alle persone a reddito più elevato. Secondo le previsioni effettuate dal gruppo di ricerca, entro la fine del secolo, il 25 per cento più povero della popolazione mondiale sarà esposto a ondate di calore a un tasso equivalente a tutto il resto della popolazione considerata complessivamente. In altre parole, le ondate di calore colpiscono e colpiranno sempre di più soprattutto le fasce più fragili.
I fattori della disuguaglianza
C’è sicuramente un fattore economico, sottolineano i ricercatori, dovuto per esempio alla possibilità di dotare le proprie abitazioni di un impianto di aria condizionata, ma c’è anche dell’altro. Molta popolazione a basso reddito vive vicino ai tropici, in regioni che già presentano temperature più alte. Proprio queste aree sono però anche quelle in cui ci si aspetta una maggiore crescita della popolazione, contribuendo ad aumentare il divario tra chi è più esposto e chi è meno esposto alle conseguenze delle ondate di calore. Negli stessi paesi, oltre a una disponibilità economica che permetta di accedere all’aria condizionata, spesso non esistono regolamentazioni che tutelino per esempio il lavoro all’aria aperta e non tutti i governi hanno messo in campo campagne di sensibilizzazione e informazione sull’argomento.
Una ricerca guidata da Enrica De Cian dell’Università di Ca’ Foscari di Venezia e pubblicata lo scorso anno su “Nature Communication” dimostrava come entro 20 anni tra 64 e 100 milioni di famiglie in India, Brasile, Messico e Indonesia non saranno in grado di raffrescare gli ambienti in cui vivono.
Oltre al reddito, lo studio ha individuato altri fattori in grado di influenzare l’acquisto di un condizionatore: le condizioni abitative, il livello di istruzione, l’occupazione, il genere, l’età del capofamiglia e il fatto di vivere o meno in aree urbane. De Cian e colleghi concludono che l’impiego di apparati elettrici come misura di contrasto del calore eccessivo non è la soluzione migliore, perché dipende dalla capacità di spesa ed è legata, come dimostra anche la recente crisi dell’energia, a fattori geopolitici indipendenti dalle scelte delle famiglie.
Uno studio pluridecennale sulla città di Torino
Dal 1971 a oggi, per il capoluogo piemontese esiste un database epidemiologico che registra i dati riguardanti la mortalità e la morbilità in congiunzione con le caratteristiche demografiche, sociali ed economiche su base individuale. Si tratta di un unicum a livello nazionale strutturato dall’attuale direttore della SCaDU Servizio sovrazonale di epidemiologia Giuseppe Costa. Si tratta inoltre di una delle più lunghe serie di questo tipo che esistano a livello europeo.
Proprio su questi dati, incrociati con i dati ad alta risoluzione sulle temperature fornite dalla Divisione Regional Models and geo-Hydrological Impacts (REMHI) della Fondazione Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), ha lavorato Marta Ellena, ricercatrice in forza alla divisione. In uno studio pubblicato nel 2020 sulla rivista “Environmental Health”, Ellena e colleghi hanno analizzato le differenze dovute alle disuguaglianze sociali nell’associazione tra temperature estreme e mortalità su base giornaliera a Torino, per il periodo compreso tra il 1982 e il 2018.
“Avere a disposizione una serie di dati così lunga e granulare – racconta Ellena – ci ha permesso di indagare approfonditamente il rischio dovuto all’esposizione al caldo per le diverse categorie di popolazione prese in considerazione.” L’obiettivo era individuare le tendenze di rischio relativo al calore, sulla base del gruppo demografico, sociale ed economico preso in analisi.
“È attualmente in sviluppo una ricerca che prende in considerazione gli otto distretti e i 23 quartieri di Torino, al fine di comprendere con maggiore dettaglio come il rischio relativo e la mortalità attribuibile agli eventi estremi di temperatura (caldo e freddo) si diversifichi all’interno della città. Sono state prese in analisi queste unità sebbene i quartieri non abbiano più una valenza amministrativa a oggi. Nonostante questo, sono state prese in analisi in quanto, come suggerito da Giuseppe Costa, i quartieri rappresentano ancora oggi unità più omogenee sul piano delle disuguaglianze sociali.”
Chi è esposto a un maggior rischio
I dati a disposizione di Ellena e dei colleghi hanno permesso di considerare la variazione del rischio fra i diversi sottogruppi di popolazione, suddivisi per sesso, età, livello di istruzione, stato civile e numero di membri coabitanti nella stessa abitazione. In generale, emerge chiaramente come un fattore determinante sia l’isolamento delle persone: più sono sole, con un minor numero di familiari e amici attorno o rimasti soli per la vedovanza, più il rischio all’esposizione al calore estremo risulta alto. “Si tratta di un risultato – spiega Ellena – che è in linea con altri studi simili effettuati in altri paesi, come per esempio in Francia.” In più, c’è una consolidata conoscenza del fatto che mediamente le donne, per fattori biologici e fisiologici, sono più suscettibili allo stress da calore. Ecco i fattori di rischio analizzati:
– Età
In tutte le fasce d’età, il gruppo di ricerca ha individuato una forte correlazione tra alte temperature estive e mortalità: le ondate di calore hanno un ruolo nella mortalità, a prescindere dall’età. Come ci si poteva attendere, il rischio di mortalità aumenta al crescere dell’età, quando lo stress da calore si somma ad altre fragilità preesistenti nei soggetti.
In questa categoria, lo studio ha osservato un maggiore rischio sia per gli uomini caratterizzati dal più alto livello di istruzione (scuola secondaria o superiore), sia per quelli con il livello più basso (non oltre l’istruzione primaria). Per le donne, invece, il rischio è maggiore solo per il gruppo con il livello di istruzione più basso. “È nota in letteratura la relazione tra il livello di istruzione e una maggior cura della propria salute”, spiega Ellena. Infatti l’istruzione è considerata come indicatore direttamente ricollegabile al reddito. Ma, in questo caso, ciò che ha stupito i ricercatori ha riguardato l’alto tasso di rischio degli uomini con un alto livello di educazione (come però riscontrato in altri studi del ramo, come per Barcellona). “Qui entra in gioco la specifica demografia della città di Torino – racconta Ellena – dove si sono registrate diverse ondate migratorie, soprattutto dal sud del paese, nel corso degli anni.”
– Stato matrimoniale e numero di membri all’interno della stessa struttura abitativa
Le due variabili, necessariamente interconnesse tra di loro, hanno permesso di prendere in considerazione le relazioni sociali come fattore. In generale, Ellena e colleghi hanno usato queste due variabili come indicatori utili a comprendere l’integrazione sociale (così come l’isolamento) dei soggetti. I risultati mostrano un maggior rischio relativo per gli uomini soli, mentre per le donne l’essere sole o meno non ha dato differenze significative.
Sarebbe stato anche interessante poter effettuare analisi in base allo stato occupazionale dei soggetti, “ma la base di dati non ce lo ha permesso – spiega Ellena – perché avevamo a disposizione il dato sul lavoro solamente dal 2011: troppo poco per il modello epidemiologico adottato”. In generale, però, lo studio è uno dei pochi in Europa che permette di valutare con una così grande accuratezza come i diversi fattori a livello individuale agiscano sul rischio di mortalità da temperature estreme: altri studi simili esistono, per esempio per l’intera Spagna, dove il dato è a livello di comune. “Studi come quello su Torino – conclude Ellena – possono servire da base di valutazione per permettere a chi amministra le città di avere a disposizione mappature più raffinate così da adottare misure di adattamento al cambiamento climatico più mirate e quindi efficaci.”