Risolto il mistero del Grande Oscuramento di Betelgeuse
Nel 2019, la stella supergigante rossa nella costellazione di Orione ha improvvisamente, e in modo transitorio, dimezzato la sua luminosità. Ora, anche grazie a misure non convenzionali, gli scienziati sono riusciti a trovare una spiegazione del fenomeno
di Allison Gasparini/Scientific American
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Alla fine del 2019, pochi mesi prima che la pandemia di COVID-19 inghiottisse il globo, gran parte del mondo si preoccupava di un punto luminoso rossastro e sbiadito a più di 500 anni luce di distanza da noi. Betelgeuse, la stella supergigante rossa facilmente riconoscibile come “spalla” destra della costellazione di Orione, si era improvvisamente e misteriosamente oscurata, più che dimezzando la sua luminosità. Alcuni astronomi hanno ipotizzato che fosse sul punto di esplodere come supernova, un evento altrimenti previsto entro i prossimi 100.000 anni circa. A inizio febbraio 2020, tuttavia, l’affievolimento della luce si è arrestato e nel giro di poche settimane la stella è tornata alla sua luminosità regolare, lasciando i ricercatori con domande senza risposta su questo bizzarro episodio che hanno battezzato “Grande Oscuramento” (greatdimming).
Le risposte sono emerse gradualmente da una serie di osservatori che hanno concentrato la loro attenzione sulla stella. Inizialmente, un gruppo di ricercatori che aveva utilizzato il telescopio spaziale Hubble per osservare Betelgeuse prima, durante e dopo l’evento ha spiegato che una massiccia espulsione di materiale caldo dalla superficie della stella aveva creato una nube di polvere che aveva portato all’apparente affievolimento. Un altro gruppo di ricercatori, che ha usato i dati dell’Osservatorio di Weihai, in Cina, ha scoperto che la temperatura di Betelgeuse è scesa di almeno 170 kelvin durante il Grande Oscuramento, e i ricercatori hanno attribuito tale calo non a una nube di polvere, ma a una macchia scura, molto grande e relativamente fredda, che, secondo loro, dev’essersi formata per breve tempo sulla superficie della stella. Infine, un altro gruppo ha usato le osservazioni del Very Large Telescope, situato in Cile, per concludere che entrambi gli scenari erano corretti. In questo modello ibrido, l’emergere di una macchia scura nell’emisfero meridionale della stella aveva abbassato le temperature circostanti e causato l’espulsione di una bolla di gas caldo. Da questo materiale fuoriuscito si è poi formata un’enorme nube di polvere in grado di bloccare la luce stellare che, raffreddandosi, ha dato origine al Grande Oscuramento.
Ora un telescopio non convenzionale, una fotocamera montata a bordo di un satellite meteorologico, è entrato in gioco con un’altra serie di osservazioni inedite. Dopo essersi accorti che Betelgeuse appare nel campo visivo di Himawari-8, un satellite giapponese per l’osservazione della Terra, tre studenti laureati all’Università di Tokyo hanno deciso di dare un’occhiata più da vicino alle immagini d’archivio catturate dal satellite durante il Grande Oscuramento. I loro risultati, pubblicati su “Nature Astronomy”, supportano la duplice ipotesi e ipotizzano anche l’eccitante possibilità che i dati di altri satelliti meteorologici possano essere riutilizzati per un’ampia gamma di osservazioni astronomiche. Lo studio delle immagini di Himawari-8 ha persino spinto la National Oceanic and Atmospheric Administration a valutare se uno dei suoi satelliti possa replicare i risultati ottenuti.
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“Quello che hanno fatto è molto intelligente”, afferma Andrea Dupree, astrofisica presso l’Harvard-Smithsonian Institute for Astrophysics, che è esperta in questo ambito. “E naturalmente apprezzo il risultato.” Dupree ha guidato lo studio precedente che utilizzava i dati di Hubble per collegare il Grande Oscuramento all’emissione di una nube di polvere da parte di Betelgeuse – una conclusione che, come lei stessa nota, è stata inizialmente accolta da un grande dibattito.
Dupree non è nuova all’uso di metodi non convenzionali per condurre osservazioni difficili. Da aprile ad agosto, l’orbita della Terra intorno al Sole porta Betelgeuse così vicino alla nostra stella che il bagliore che ne deriva ostacola le osservazioni della maggior parte dei telescopi a terra o in orbita terrestre bassa. Un telescopio posizionato in un’altra parte del sistema solare o in alcune speciali orbite alte intorno alla Terra potrebbe comunque avere una visione senza ostacoli. Spinta dal Grande Oscuramento, a inizio 2020 Dupree ha contattato i funzionari del Goddard Space Flight Center della NASA per chiedere di usare la navicella STEREO-A dell’agenzia, che orbita intorno al Sole anziché intorno alla Terra, per dare un’altra occhiata a Betelgeuse durante i mesi estivi. Nonostante la sua creatività, Dupree afferma che non avrebbe mai pensato di usare un satellite meteorologico.
L’idea di usare i dati di Himawari-8 è nata da un tweet. Mentre navigava su Twitter, l’autore principale Daisuke Taniguchi ha notato un post in cui si parlava della Luna che aveva fatto capolino in alcune immagini di Himawari-8. Si è quindi chiesto se il satellite meteorologico potesse essere utilizzato anche per osservare Betelgeuse. L’idea sembrava intrigante sotto diversi aspetti. “I telescopi terrestri risentono inevitabilmente dell’atmosfera terrestre e non possono osservare molte parti delle lunghezze d’onda dell’infrarosso”, spiega Taniguchi. I telescopi spaziali, invece, non soffrono di questa limitazione, ma la competizione per avere a disposizione tempo di osservazione su di essi è “molto serrata”.
Taniguchi si è quindi messo in contatto con il collega laureato e coautore dello studio Kazuya Yamazaki per capire come aggirare la concorrenza e condurre le loro osservazioni. All’inizio, ricorda Yamazaki, “non ero del tutto fiducioso perché nelle immagini di Himawari-8 le stelle sono molto scure, rispetto alla Luna”. Ma insieme a Taniguchi e a un terzo studente laureato, il co-autore dello studio Shinsuke Uno, Yamazaki ha deciso di provare.
Quando entra nel campo visivo di Himawari-8, Betelgeuse non è poi così difficile da osservare: appare come un puntino appena oltre il bordo del disco terrestre. Inoltre, la sua luminosità alle lunghezze d’onda ottiche e infrarosse aumenta le possibilità di essere catturata dai rivelatori dei satelliti meteorologici, che non sono progettati per applicazioni astronomiche. Ma una cosa è trovare la stella nelle immagini satellitari, un’altra è utilizzare i dati per eseguire misurazioni stellari di alta precisione. La gestione dei dati, spiega Yamazaki, è stata la parte più ardua e lunga dello studio.
Ispirata dal risultato di Himawari-8, Dupree ha chiesto l’aiuto di Jon Fulbright, esperto di calibrazione presso il gruppo che si occupa di qualità del prodotto per la serie di satelliti di monitoraggio meteorologico Geostationary Operational Environmental Satellite-R (GOES-R) della NASA e della NOAA, per vedere se questi veicoli spaziali potessero contribuire a replicarlo. Mentre scriviamo, Fulbright sta ancora cercando di estrarre informazioni su Betelgeuse dai dati di GOES-R ed è alle prese con le onerose conversioni delle unità di misura e il ridimensionamento dei pixel necessari per questo compito. Secondo Fulbright, i vantaggi dell’utilizzo di una fonte di dati così poco convenzionale potrebbero non essere sempre superiori agli svantaggi.
“Mi sto domandando se si tratti di un caso isolato”, spiega Fulbright. Proprio come il gruppo giapponese, lui e i suoi colleghi sospettano che, per far sì che questo nuovo approccio raggiunga il suo pieno potenziale, sia necessario sviluppare metodi migliori per colmare il divario tra le serie di dati meteorologici e astronomici. Ma queste possibili sinergie con l’astronomia potrebbero emergere solo se le nuove generazioni di satelliti per l’osservazione della Terra saranno progettate tenendo conto di questi aspetti. “Forse”, dice, “qualcosa di simile farà nascere le idee”.