Un viaggio nel tempo nel ghiacciaio più a sud d’Europa
Prelevata una carota di ghiaccio dal corpo glaciale più meridionale d’Europa, il Ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso. Le informazioni raccolte serviranno a ricostruire la storia climatica di quest’ultimo e della Conca del Gran Sasso. Informazioni purtroppo destinate a scomparire del tutto a causa del riscaldamento globale.
di Stefano Urbini
INGVAMBIENTE
Quando il rumore della sonda cambia improvvisamente a causa del forte stridore che i denti della testa di perforazione producono sulla roccia del fondo del ghiacciaio, un numero nutrito di persone, con le esperienze più diverse e con professionalità nel proprio campo di altissimo livello, esplodono in urlo di felicità liberatorio.
E’ stato difficile anche questa volta, forse anche di più di altre volte.
È terminata la campagna di perforazione del ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso (42°28.28’N, 13°34.04’E), ultimo esempio del glacialismo della catena appenninica. Per la prima volta gli scienziati hanno a disposizione un campione di ghiaccio profondo del ghiacciaio “più a sud d’Europa” che purtroppo, a causa dei cambiamenti climatici in atto, sta scomparendo, assottigliandosi alla velocità di circa 1 m all’anno.
Le analisi chimiche sui campioni prelevati permetteranno di viaggiare indietro nel tempo “per una volta ancora” e ricostruire il passato climatico e ambientale del massiccio e delle regioni circostanti.
Questa missione, programmata nell’ambito del progetto internazionale Ice Memory (capeggiata dall’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha coinvolto esperti ricercatori di diversi enti di ricerca e università come il CNR, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), l’Università Ca’ Foscari Venezia e l’Università degli Studi di Padova.
Le operazioni di perforazione sono durate 12 giorni, ma il lavoro e l’impegno che si nascondono dietro questo successo sono stati molto più grandi, come grandi sono state le difficoltà affrontate dal gruppo di lavoro.
La campagna
La campagna ha avuto inizio a settembre 2021 con una perlustrazione del ghiacciaio a fine estate, per verificare possibili difficoltà a cui si sarebbe andati incontro. Le prime osservazioni avevano già “avvisato” gli scienziati: non ci sarebbero stati grandi margini per le incertezze e probabilmente sarebbe stato a disposizione un solo “colpo”, un’unica perforazione per campionare il ghiacciaio.
Dove sferrare il “colpo” quindi non poteva essere una scelta casuale. Nei giorni 11-13 Marzo 2022 una piccola task force di geofisici è salita sul ghiacciaio con i loro strumenti, un radar per l’esplorazione del terreno (Ground Penetrating Radar, GPR) e uno strumento elettromagnetico per la determinazione delle variazioni di conducibilità del sottosuolo, per cercare di scoprire dove si nascondesse il ghiaccio “migliore” per il campionamento.
La ricerca del sito di perforazione
Il lavoro di ispezione del ghiacciaio è stato molto faticoso. I profili GPR eseguiti dall’INGV hanno coperto un’area di circa 1.3 ettari, e realizzati trascinando la strumentazione sulla superficie del ghiacciaio per un totale di circa 1 km di salite e discese impervie e faticose (vedi foto). Alla fine un profilo in particolare ha messo in evidenza un sito ideale dove lo spessore massimo di ghiaccio stimato è risultato essere pari a circa 26 metri.
Il problema successivo da affrontare è stato che il punto di perforazione si trovava lungo il pendio del ghiacciaio. Sistemare una macchina da sondaggio del peso di 4.500 kg su un piano inclinato coperto da ghiaccio e neve non è una cosa logisticamente facile da pensare e soprattutto da realizzare.
I primi fatidici giorni dei 12 complessivi dell’operazione di perforazione sono infatti serviti alla realizzazione, senza alcun ausilio meccanico, di una piazzola che fosse in grado di resistere alle sollecitazioni delle operazioni.
La perforazione
Il trasporto di tutti i materiali necessari nella conca del ghiacciaio, ai piedi del Corno Grande, a 2.673 metri di quota, è stato possibile grazie al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco (VVF), che ha messo a disposizione mezzi e personale dei reparti Volo di Pescara e Roma Ciampino. In particolare l’Erickson Air Crane S-64, soprannominato ‘la gru volante’, in grado di sostenere carichi pesanti fino a 9.000 kg, ha trasportato qui la macchina sondatrice, del peso di ben 4.500 kg.
Alla fine dei 12 giorni, il carotiere ha toccato la roccia basale del glacio-nevato del Calderone: 27.2 metri di profondità, confermando la stima di 26 metri prevista dalle indagini geofisiche condotte dagli esperti INGV.
Le operazioni di perforazione sono state piuttosto difficoltose perché il ghiaccio è risultato essere plastico, ossia estremamente caldo e intriso d’acqua. La testa del carotiere tendeva a impastarsi, non riuscendo ad inciderne la superficie. Il personale che gestiva la macchina da sondaggio ha introdotto alcune modifiche della testa di perforazione. Questo ha permesso di conseguire il successo finale dell’operazione.
Appena al di sotto della sottile coltre di detriti, il ghiaccio si è presentato sempre più ‘pulito’ scendendo in profondità, ma con caratteristiche diverse da quelle dei ghiacciai alpini a causa delle particolari condizioni termiche del sito.
La carota estratta sembra avere tutte le carte in regola per poter ricavare importanti informazioni sulla storia climatica e ambientale dell’Italia centrale nonché dell’intero bacino del Mediterraneo. L’archivio ambientale, davvero unico, fornito dalla carota già a un primo sguardo, presenta caratteristiche glaciologiche molto interessanti.
Il viaggio indietro nel tempo è appena cominciato.
Le attività sul Calderone sono parte di una serie di spedizioni per lo studio e la conservazione dei ghiacciai italiani . Sono finanziate dal Ministero dell’Università e della Ricerca (con il Fondo Integrativo speciale per la Ricerca, Fisr) e con il supporto di AKU e KARPOS. Le attività si svolgono nell’ambito del progetto internazionale IceMemory, coordinato in Italia dall’Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle ricerche. Il progetto ha lo scopo di prelevare carote di ghiaccio da ghiacciai che, ha causa del cambiamento climatico, stanno scomparendo. Verranno raccolti in un archivio dei ghiacci, in Antartide, per metterlo a disposizione degli studiosi del futuro.
FOTO di Riccardo Selvatico per Cnr-Isp e Università Ca’ Foscari Venezia