Monitorare i forti terremoti con la gravità
di Anna Rita Longo
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I grandi terremoti causano perturbazioni del campo gravitazionale terrestre. Una ricerca propone di adoperarne il segnale come strumento rapido e preciso di allerta precoce, anche per gli tsunami I terremoti, così come gli tsunami che, a determinate condizioni, ne derivano, sono tra gli eventi naturali più spaventosi, per il loro potenziale distruttivo e per il fatto che sembra ancora difficile calcolarne in fretta l’energia, registrarne l’andamento e prevederne le conseguenze. Questo è particolarmente vero proprio per i terremoti più forti, di magnitudo elevata, da cui è possibile attendersi grossi danni a cose e persone.
I sistemi di allerta precoce relativi ai terremoti (indicati dalla sigla EEW, da earthquake early warning) sono tra gli strumenti più importanti oggi a disposizione per monitorare i sismi e contenere i danni, cercando di valutare anche la probabilità che generino onde di tsunami. Questi sistemi si basano su una rete di sensori che rilevano le onde sismiche, i cui dati sono elaborati con modelli matematici, per poi, quando è necessario, diramare l’allerta alle zone interessate.
“Il problema di questi sistemi di allerta – spiega Andrea Licciardi, sismologo al laboratorio Géoazur, in Costa Azzurra – consiste nel fatto che funzionano in modo efficace e rapido quando si tratta di terremoti che non rientrano tra quelli in assoluto più forti, cioè per quelli non superiori a valori di magnitudo compresi tra 7 e 7.5, a causa di un noto fenomeno definito ‘saturazione della magnitudo’. Oltre questo valore la precisione si riduce in modo molto significativo, al punto da rendere, per esempio, indistinguibile un terremoto di magnitudo 7 da uno di magnitudo 9, un evento potenzialmente catastrofico. Questo è stato evidente, per esempio, per il terremoto giapponese di Tōhoku, causa del disastro della centrale nucleare di Fukushima, in cui si è appunto potuto vedere come la magnitudo sia rimasta sottostimata.”
Ma un recentissimo studio, di cui lo stesso Licciardi è primo autore, realizzato attraverso una collaborazione internazionale e pubblicato l’11 maggio 2022 su “Nature”, sembra segnare un importante passo avanti nel superamento di questo problema.
Terremoti e perturbazioni gravitazionali
A fare la differenza è un debole segnale definito “elastogravitazionale”, che è la combinazione di due effetti: la perturbazione del campo gravitazionale e la risposta elastica della Terra. Studi precedenti avevano ottenuto l’importante risultato di osservare come questo segnale potesse essere rilevato in concomitanza con eventi sismici, soprattutto quelli di grande entità. Sottolinea Licciardi: “Il movimento improvviso delle rocce generato da un terremoto causa, infatti, variazioni di densità in grado di generare delle perturbazioni nel campo gravitazionale terrestre, che altri ricercatori prima di noi hanno osservato. Un vantaggio importante del segnale legato a queste perturbazioni è il fatto che viaggi alla velocità della luce, quindi molto più rapidamente delle onde elastiche più veloci, cioè le onde P, che vengono di solito impiegate per i sistemi di allerta precoce”.
In particolar modo, un interessante studio del 2017, condotto da Martin Vallée, dell’Institut de Physique du Globe a Parifi, e colleghi, aveva osservato per la prima volta questo segnale in corrispondenza di un forte sisma come quello giapponese del 2011.
Prendendo le mosse dalla sfida lanciata da questo studio, il gruppo di ricerca di Licciardi ha compiuto un importante passo avanti, mettendo in evidenza come un sistema basato sul segnale elastogravitazionale possa rappresentare un’opportunità da sfruttare nell’allerta precoce. Nella porzione dei sismogrammi relativa alla parte precedente all’arrivo delle onde P, che si riteneva priva di utilità, si nascondeva, quindi un segnale, quello elastogravitazionale, che si rivela ora una risorsa preziosa per consentire di diramare un’allerta.
Una maggiore precisione
Lo studio rientra nell’ambito del ricchissimo filone che applica l’intelligenza artificiale alla ricerca scientifica. “L’analisi e l’elaborazione dei dati – aggiunge il sismologo – è stata, infatti, condotta attraverso algoritmi di apprendimento automatico (in particolare di deep learning), addestrati a usare i dati relativi alle perturbazioni gravitazionali per stimare magnitudo e localizzazione dei terremoti prima di quanto sia possibile fare attraverso la rilevazione delle onde P tradizionalmente adoperata”.
Per il momento il sistema è stato messo a punto e testato sui dati relativi al terremoto di Tōhoku, ma i buoni risultati ottenuti fanno pensare che il metodo possa essere esteso ad altri contesti. “Nel corso delle nostre ricerche, abbiamo potuto verificare come il segnale di allerta generato sembri, in determinate circostanze, più rapido di quello diramato attraverso le onde P. Ma la parte più importante risulta soprattutto la sua maggiore precisione: questo sistema permette, infatti, per i terremoti più forti, di raggiungere rapidamente una stima accurata della magnitudo, perché non è soggetto al fenomeno della saturazione. Entro 40-50 secondi dall’inizio, la magnitudo dei terremoti con valori superiori a 8.3-8.4 viene tracciata con grande precisione.” Naturalmente questo può essere oggi affermato per terremoti che presentino le caratteristiche di quello del Giappone, su cui il sistema è stato addestrato, ma ulteriori ricerche ne testeranno l’applicabilità a contesti diversi.
Ma quali concreti vantaggi potrebbe avere questo aumento in termini di rapidità e precisione? “Pensiamo al fatto – ricorda Licciardi – che i terremoti di una certa entità tendono anche a protrarsi più a lungo nel tempo e avere dati precisi e rapidi sulla magnitudo di un evento può essere molto importante per contenere i danni, per esempio anche relativamente alla capacità del terremoto di generare uno tsunami, aspetto per la valutazione del quale è importantissima una stima precisa della magnitudo, per poter diramare l’allerta in modo veloce e preciso.”
Un utile complemento
Il sistema elaborato in questo studio non è pensato per sostituire quelli attualmente in uso, quanto per integrarli. “Dobbiamo, infatti, considerare – nota Licciardi – che per i terremoti non molto forti il sistema di allerta tradizionale risulta ancora più vantaggioso. Inoltre ci troviamo nella fase di realizzazione di un prototipo, non testato in tempo reale, ma funzionante in base a dati adoperati offline, anche se i test sembrano indicare che il funzionamento sia buono, per lo meno per il territorio giapponese e per la tipologia di sismi oggetto della ricerca.” Ma, addestrando i modelli con altri dati, non dovrebbe essere complicato applicare il sistema ad altri contesti. Per il momento il massimo dell’efficienza è stato registrato per l’allerta tsunami, mentre, per quanto riguarda le onde sismiche che causano scuotimento del suolo, si dovrebbero ridurre i tempi di risposta.
Ma è possibile pensare di applicare questo sistema di allerta anche all’attività sismica nel nostro paese? “Per ora sembra ancora difficile, perché, come si è visto, risulta efficiente per i terremoti più forti, decisamente maggiori dell’attività sismica registrata in Italia”, rimarca l’esperto. “In questo momento – aggiunge – stiamo proprio lavorando per tentare di ridurre il rumore dei dati e applicare il sistema a terremoti relativamente più piccoli, anche se verosimilmente non al di sotto di valori di magnitudo 7.5, comunque superiori a quelli storicamente registrati nel territorio italiano. Nel frattempo, proseguono anche le prove di applicazione ad altri contesti, come la collaborazione con l’Istituto geofisico del Perù, per integrare questa tecnologia nel loro sistema di allerta rapida.”