Il terremoto della Romagna dell’11 aprile 1688

0

Il terremoto della Romagna dell’11 aprile 1688

cura di Sofia Baranello e Caterina Zei (INGV), con la collaborazione del gruppo di lavoro del CFTILab
INGVTERREMOTI

L’11 aprile 1688, intorno alle ore 12:20 UTC, la Romagna occidentale fu interessata da un terremoto di magnitudo pari a circa 5.8 (stima da dati macrosismici). La scossa, con epicentro localizzato nei pressi di Cotignola (RA) (Figura 1), ebbe una durata percepita dai contemporanei di circa 20 secondi, corrispondenti, nel linguaggio delle fonti coeve, ad un “credo” o ad un “lungo ave maria”, recitati all’epoca in lingua latina.

Figura 1. Area interessata dal terremoto del 11 aprile 1688 (dal CFT5 Med).

La scossa principale fu seguita da molte altre. Secondo quanto riportato dalle fonti le repliche più forti avvennero il 27 e 28 maggio 1688: la sera del 27 maggio nell’arco di una mezz’ora, attorno alle 19:15 UTC, avvenne una serie di 5 forti scosse particolarmente intense a Imola e Faenza, dove causarono ulteriori danni. Il giorno successivo furono segnalate altre due scosse: alle 8:15 UTC circa e  intorno alle 10:15 UTC. Le scosse proseguirono intermittenti fino all’autunno del 1688, con una ripresa nell’anno successivo, il 16 e il 19 marzo 1689.

Questa lunga sequenza si colloca al termine di un periodo caratterizzato da un’elevata sismicità della zona romagnola. Infatti, poco più di 25 anni prima, il 22 marzo 1661 una forte scossa di magnitudo  pari a circa 6.1 (stima da dati macrosismici), valore paragonabile a quello della scossa dell11 aprile 1688, aveva colpito l’Appennino romagnolo. Come è possibile osservare dal confronto dei 2 eventi nella Figura 2, ottenuto grazie al tool online per il confronto tra terremoti disponibile sul portale del CFTI Lab, le zone epicentrali distano fra loro circa 40 km, ma le aree danneggiate risultano parzialmente sovrapposte.

Tra i due eventi, inoltre, avvenne il terremoto che colpì  il Riminese il 14 aprile 1672 con magnitudo 5.6 (stima da dati macrosismici), testimoniando un periodo in cui la Romagna dovette affrontare pesanti emergenze sismiche ravvicinate nel tempo.

Figura 2. Confronto tra l’area interessata dal terremoto del 22 marzo 1661, a sinistra, e quella colpita dalla scossa dell’11 aprile 1688, a destra (da http://storing.ingv.it/cfti/cftilab/cfr/ )

Gli effetti del terremoto

Gli effetti più gravi, stimati del IX grado di intensità della scala MCS (Mercalli-Cancani-Sieberg), furono rilevati a Cotignola (RA), dove i danni furono disastrosi e interessarono gran parte dell’abitato: molte case crollarono totalmente mentre le restanti furono danneggiate gravemente o rese inabitabili. Gravi danni subirono anche gli edifici pubblici ed ecclesiastici del paese; in particolare la chiesa parrocchiale di S. Stefano, di cui crollò il tetto e furono gravemente lesionate le navate e il campanile. Nelle località vicine gli effetti furono quasi altrettanto distruttivi: a Bagnacavallo (RA) quasi tutti gli edifici crollarono totalmente o furono gravemente danneggiati. Una situazione simile, con estesi crolli di abitazioni, si verificò anche a Solarolo (RA), Russi (RA) e Lugo (RA), mentre in numerose altre località, i danni furono inferiori, ma comunque rilevanti (effetti stimati almeno del VII grado MCS): fra queste ci furono i principali centri abitati della zona – Forlì, Imola, Cesena e Ravenna – e le località che appartenevano al territorio del Granducato di Toscana (Terra del Sole, Castrocaro, Monte Poggiolo e Modigliana).  La scossa fu sentita in modo molto forte a Bologna e a Venezia: in entrambe le città causò leggeri danni sporadici, e fu avvertita più leggermente fino a Padova a nord, e Firenze a sud.

Ad aggravare le difficoltà e le condizioni di precarietà delle popolazioni dell’area epicentrale tanto duramente colpite concorsero gli eccezionali fenomeni meteorologici che seguirono il terremoto. Infatti, a causa delle piogge ininterrotte avvenute nelle due settimane successive al terremoto, il 27 aprile 1688 gli argini del fiume Senio cedettero in tre punti, inondando le terre di Cotignola, Bagnacavallo e Lugo.  Come si apprende dalla Lettera del legato di Ferrara cardinale Nicolò Acciaioli al segretario di Stato cardinale Alderano Cybo del 5 maggio,

“già che poco doppo l’infortunio delle Abitazioni sono succedute le rotte de Fiumi con le quali si rovinano hora i Territorij, e si perdono i raccolti, trovandosi allagato tutto quel Paese, mali che vengono giudicati magiori di quelli del terremoto, et hormai le povere Genti non sanno più ove ricovrarsi, restando prive delle case anco nelle campagne per le inondazioni, che parimente hanno cagionata la perdita d’una quantità di Bestiami”“.

Infatti, le popolazioni che dopo il terremoto si erano rifugiate nelle campagne e vi avevano costruito le baracche dovettero nuovamente fuggire restando prive di un riparo, i raccolti furono distrutti e molti animali morirono a causa del freddo, che tornò pungente nell’area. Successivamente, inoltre, un forte vento che durò vari giorni fece crollare alcune delle costruzioni rimaste pericolanti in seguito al terremoto.

La ricostruzione dell’area della bassa Romagna maggiormente colpita dal terremoto, che faceva parte dello Stato Pontificio, incontrò difficoltà e ritardi. Infatti, le iniziative delle autorità centrali, sollecitate dalle suppliche delle comunità colpite o dai rappresentanti governativi locali, non furono immediate, né soddisfecero le aspettative. Tanto che in alcune località della Romagna le riparazioni degli edifici pubblici avvennero a seguito dell’imposizione di collette locali, per le quali il legato di Ferrara chiese al segretario di Stato che fossero sottoposti a tali misure fiscali anche gli ecclesiastici, di norma esenti da tali richieste. Il territorio del Granducato di Toscana, più marginalmente interessato dalla scossa, fu sottoposto alla valutazione dei danni da parte del perito Antonio Ferri, inviato da Cosimo III de’ Medici, che si occupò di annotare non solo lo stato delle fortezze ma anche delle case private. Così fu finanziata anche la ricostruzione privata, recuperando i costi e permettendo ai beneficiari di rateizzare il debito contratto, secondo una consuetudine ormai consolidata in area granducale.

Nonostante la magnitudo e l’elevato grado di intensità della scossa principale, gli effetti sul contesto naturale furono pochi. Uno degli effetti evidenti dalle fonti  fu rilevato a Brisighella (RA), dove un grosso macigno si staccò dal monte sovrastante il paese, causando gravi danni e la morte di 2 persone.

Per conoscere ulteriori dettagli sugli effetti di questo terremoto è possibile consultare la relativa pagina del CFTI5Med: http://storing.ingv.it/cfti/cfti5/quake.php?01103IT. Tale studio è il riferimento dell’attuale versione del Database Macrosismico Italiano (DBMI15): https://emidius.mi.ingv.it/CPTI15-DBMI15/, e quindi del Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI15).

Le fonti storiche

Il terremoto risulta ben documentato nella tradizione sismologica già a partire dai cataloghi di fine Ottocento. Nell’ambito delle ricerche che hanno portato alla compilazione del Catalogo dei Forti Terremoti in Italia (CFTI5Med), oltre alla revisione della bibliografia nota è stata svolta una accurata ricerca bibliografica e archivistica, che ha consentito di integrare le notizie disponibili. A integrare il quadro complessivo degli effetti sono state reperite informazioni in numerose opere di storiografia locale (spesso basate su documentazione non più reperibile), e in memorie locali manoscritte, contemporanee all’evento o di poco posteriori, in due relazioni a stampa e in due corrispondenze pubblicate dalla gazzetta “Bologna”. Al terremoto dell’11 aprile 1688 fa inoltre riferimento il trattato del fisico e naturalista faentino Antonio Melli, redatto nel 1693, in cui sono riportati gli effetti e le cause del terremoto.

Tuttavia, è stata la ricerca archivistica sulla documentazione istituzionale a fornire informazioni inedite e dettagliate sugli effetti di questo terremoto. Poiché l’area colpita apparteneva amministrativamente in misura predominante allo Stato della Chiesa e in misura minore al Granducato di Toscana, è stata condotta una doppia ricerca negli archivi di afferenza territoriale. La documentazione amministrativa relativa allo Stato Pontificio è stata reperita in parte presso l’Archivio Segreto Vaticano, nei fondi della Legazioni di Romagna e di Ferrara, dove sono state rinvenute le relazioni e le perizie inviate dai due legati, rispettivamente i cardinali Domenico Maria Corsi e Nicolò Acciaioli, al segretario di Stato cardinale Cybo; e in parte all’Archivio di Stato di Roma, dove sono conservati due documenti di papa Innocenzo XI datati rispettivamente 18 settembre 1688 e 5 marzo 1689, relativi ai provvedimenti deliberati a favore delle comunità di Cotignola e Bagnacavallo. Per quanto riguarda il Granducato di Toscana, è stata consultata la documentazione conservata all’ l’Archivio di Stato di Firenze, dove è stata reperita la relazione dell’aiuto ingegnere Antonio Ferri sui danni causati dal terremoto alle fortezze di Terra del Sole (Figura 3 e 4), Castrocaro e Monte Poggiolo, accompagnata talvolta da disegni degli edifici.

Figura 3 e 4. Terra del Sole: la chiesa di S.Barbara (a sinistra) e il Palazzo del Provveditore (a destra) disegnati nella perizia di Antonio Ferri, aiuto del provveditore generale delle fortezze del Granducato di Toscana, Ferdinando della Rena. Ferri ebbe l’incarico di controllare lo stato di conservazione delle fortificazioni dopo il terremoto e decidere gli interventi di ripristino. La perizia, datata 30 aprile, appena venti giorni dopo il terremoto, è molto dettagliata e descrive lo stato di conservazione degli edifici, l’entità dei danni e un preventivo di spesa per le riparazioni (Archivio di Stato di Firenze, Fabbriche granducali, filza 1928, n.65).

In particolare, la Rocca di Castrocaro (Figura 5) a seguito di questo terremoto subì altri effetti sismici. Infatti già la scossa del 2 marzo 1661 l’aveva danneggiata come è possibile constatare dai disegni allegati alle perizie per le ricostruzioni dell’ingegnere Ridolfo Giamberti.

Figura 5. Rocca di Castrocaro: nella perizia di Antonio Ferri sono disegnate due stanze da demolire perché molto danneggiate a causa del franamento del terreno sottostante (Archivio di Stato di Firenze, Fabbriche granducali, filza 1928, n.65).

Infine, è stata reperita ulteriore documentazione presso gli Archivi di Stato di Ferrara e di Forlì, dove sono conservate rispettivamente le suppliche e i memoriali indirizzati dalle comunità di Cotignola e Bagnacavallo al papa Innocenzo XI, e due delibere del Consiglio comunale riguardanti riti religiosi pubblici indetti in occasione del terremoto.

Curiosità

La rocca-fortezza di Castrocaro, situata nel cuore della Romagna forlivese al di sopra di uno sperone roccioso calcareo detto localmente sasso spugnone, domina da oltre un millennio la valle del Montone. Grazie alla sua posizione strategica, proprio al confine con lo Stato della Chiesa, nel XV secolo Castrocaro acquistò velocemente grande importanza fino a diventare il principale centro urbano dell’entroterra romagnolo, oltre che capoluogo della Romagna Toscana. È in questo periodo che la rocca è notevolmente rinforzata e vengono costruiti importanti edifici civili, fra cui il palazzo dei Capitani, sede del governo politico nella regione.

L’introduzione delle armi da fuoco e le mutate condizioni politiche, con la conseguente necessità di rafforzare le frontiere, indussero nel 1564 Cosimo I de’ Medici, primo Granduca di Toscana (1519-1574), a finanziare la costruzione della vicina città-fortezza di Terra del Sole. A riguardo va ricordato che queste terre, oltre a rappresentare una cerniera strategica tra il Granducato e lo stato Pontificio, erano motivo di interesse commerciale. Infatti, le acque minerali di Castrocaro Terme, oggi importanti stazioni termali, erano note già da lungo tempo, come attesta l’antico nome latino della località Salsubium, menzionato anche dall’umanista Flavio Biondo; tale nome potrebbe derivare proprio dalla combinazione degli aggettivi uber (ricco, abbondante) e salsus (salato). In un primo momento tali risorse furono utilizzate per ottenerne sale da cucina, che successivamente divenne oggetto di contrabbando tra i due stati, in epoche in cui questa sostanza era molto preziosa perché consentiva la conservazione dei cibi. Le motivazioni logistiche, abbinate a quelle economiche, fecero sì che in situazioni di difficoltà causate dal terremoto, il Granduca si occupasse in modo attento e celere del ripristino delle fortezze e dei borghi. Le ricostruzioni post-sisma seguivano uno schema ormai consolidato, continuando così a garantire il potere e il controllo dell’area da parte di Firenze.

Per conoscere tutti gli studi e i cataloghi che trattano il terremoto descritto si rimanda all’Archivio Storico Macrosismico Italiano: https://emidius.mi.ingv.it/ASMI/event/16880411_1220_000

A cura di Sofia Baranello e Caterina Zei (INGV), con la collaborazione del gruppo di lavoro del CFTILab

Share.

Leave A Reply