Risolto il famoso paradosso di Stephen Hawking… con i capelli quantistici dei buchi neri
Uno studio rivoluzionari al quale ha partecipato Roberto Casadio dell’Università di Bologna
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Due nuovi studi, “Quantum hair and black hole information” pubblicato su Physics Letters B da Xavier Calmet del Department of Physics and Astronomy dell’università del Sussex e da Stephen Hsu del Department of Physics and Astronomy della Michigan State University, e “Quantum hair from gravity”, pubblicato su Physical Review Letters dagli stessi Calmet e Hsu e da Roberto Casadio del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e Folkert Kuipers dell’università del Sussex, rivoluzionano la nostra comprensione dei buchi neri e risolvono un problema che ha diviso gli scienziati per quasi mezzo secolo.
Come spiegano all’università di Bologna, i due studi «Dimostrano che i buchi neri sono più complessi di quanto originariamente previsto e hanno un campo gravitazionale che, a livello quantistico, codifica le informazioni su come si sono formati: una scoperta che aiuta a risolvere il paradosso dell’informazione del buco nero formulato da Stephen Hawking».
All’università del Sussex ricordano che «Negli anni ’60, l’eminente fisico John Archibald Wheeler espresse il fatto che i buchi neri sono privi di qualsiasi caratteristica osservabile oltre la loro massa totale, rotazione e carica con la frase “I buchi neri non hanno capelli” (“black holes have no hair”). Nacque così il “teorema no-hair”. Il professor Calmet e i suoi collaboratori hanno definiscono la loro scoperta come i “capelli quantistici derivati dalla gravità” (“quantum hair from gravity”), accennando alla frase di Wheeler».
All’UniBo spiegano che «Utilizzando metodi matematici specifici per eseguire calcoli sulla gravità quantistica, gli scienziati hanno mostrato come la materia che collassa in un buco nero – quando vengono prese in considerazione le correzioni gravitazionali quantistiche – lascia un’impronta nel campo gravitazionale del buco nero stesso. Questa impronta costituisce appunto i “capelli quantistici”.
In particolare, gli scienziati britannici, statunitensi e italiani hanno confrontato i campi gravitazionali di due stelle con uguale massa totale e raggio ma nelle quali la materia è distribuita diversamente al loro interno. All’Ateneo Bolognese spiegano ancora: «A livello della fisica classica, le due stelle hanno lo stesso potenziale gravitazionale, ma a livello quantistico il potenziale dipende dalla loro composizione interna. E quando le stelle collassano nei buchi neri, i loro campi gravitazionali conservano la memoria di come sono fatte internamente. Insomma, dopotutto, i buchi neri hanno in effetti “i capelli”».
Casadio evidenzia che «Un aspetto cruciale da considerare è che i buchi neri si formano dal collasso di oggetti compatti: questo significa, secondo la teoria quantistica, che non c’è nessuna separazione assoluta tra l’interno e l’esterno del buco nero, Nella teoria fisica classica, l’orizzonte degli eventi del buco nero agisce come una perfetta membrana unidirezionale che non lascia uscire nulla; da qui nasce il teorema no-hair: l’esterno di tutti i buchi neri di una data massa è sempre identico. Nella teoria quantistica, però, lo stato della materia che collassa e forma il buco nero continua a influenzare lo stato esterno del buco nero stesso, anche se in modo compatibile con gli attuali limiti sperimentali. Questo è il fenomeno che abbiamo chiamato dei ‘capelli quantistici».
Nello studio pubblicato su Physics Letters B, Calmet e Hsu hanno poi dimostrato che grazie a questi “capelli quantistici” è possibile risolvere proprio il paradosso dell’informazione del buco nero (black hole information paradox), formulato per la prima volta nel 1976 su suggerimento di Stephen Hawking. Gli scienziati ricordano che «Il problema in questo caso nasce dal fatto che nel momento in cui emettono radiazioni termiche, i buchi neri distruggono le informazioni relative a ciò che li ha formati: un fenomeno che violerebbe una legge fondamentale della meccanica quantisticasecondo cui qualsiasi processo in fisica può essere matematicamente invertito».
Questo paradosso – uno dei dilemmi più noti della scienza moderna – può essere però ora risolto: Calmet e Hsu dimostrano che i “capelli quantici” «Forniscono il meccanismo mediante il quale l’informazione viene preservata durante il collasso di un buco nero e come tale risolve uno dei dilemmi più famosi della scienza moderna».
Risultati rivoluzionari che si basano anche sulle precedenti scoperte di Calmet sulla natura dei buchi neri e sulla gravità quantistica, incluso lo studio pubblicato insieme a Kuipers nel 2021 su Physical Review D. che ha dimostrato, per la prima volta, che i buchi neri esercitano una pressione.
Riflettendo sulle implicazioni dei capelli quantici per la fisica, Calmet, ha detto che «I buchi neri sono stati a lungo considerati il laboratorio perfetto per studiare come fondere la teoria della relatività generale di Einstein con la meccanica quantistica. In genere, all’interno della comunità scientifica si presumeva che risolvere questo paradosso avrebbe richiesto un enorme cambio di paradigma nella fisica, costringendo la potenziale riformulazione della meccanica quantistica o della relatività generale. Quello che abbiamo scoperto – e penso sia particolarmente eccitante – è che questo non è necessario. La nostra soluzione non richiede alcuna idea speculativa, invece la nostra ricerca dimostra che le due teorie possono essere utilizzate per fare calcoli coerenti per i buchi neri e spiegare come le informazioni vengono archiviate senza la necessità di una nuova fisica radicale. Si scopre che i buchi neri sono in realtà dei bravi bambini, che si aggrappano alla memoria delle stelle che li hanno generati».
Hsu ha concluso: «Il concetto di orizzonte causale è centrale nella nozione di buco nero. Ciò che è dietro l’orizzonte non può, nella fisica classica, influenzare l’esterno. Abbiamo dimostrato che ci sono intricati intrecci tra lo stato quantistico della materia dietro l’orizzonte (dentro il buco) e lo stato dei gravitoni all’esterno. Questo entanglement rende possibile codificare le informazioni quantistiche sull’interno del buco nero nella radiazione di Hawking che sfugge all’infinito».