La finestra temporale per fermare i cambiamenti climatici si sta chiudendo
di Rudi Bressa
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La nuova pubblicazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change parla chiaro. Il cambiamento climatico sta già colpendo la società e i sistemi naturali e agricoli, e il Mediterraneo è tra le aree più esposte. Una drastica riduzione delle emissioni e piani corali di adattamento possono ancora ridurre il rischio, ma c’è sempre meno tempo “Ho visto molti rapporti, ma niente come il nuovo rapporto sul clima dell’Intergovernmental panel on climate change(IPCC), un atlante della sofferenza umana e un atto d’accusa schiacciante contro il fallimento delle politiche climatiche.” È così che il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guteress, ha aperto la conferenza stampa di presentazione del secondo volume del Sesto rapporto di valutazione dell’IPCC, redatto dal Working group II (WGII) e reso pubblico lo scorso 28 febbraio. Si tratta della più aggiornata e completa valutazione degli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi e sulla biodiversità, considerando le loro vulnerabilità e la loro capacità di adattarsi ai cambiamenti futuri.
Il Working group II esce dopo la pubblicazione del primo volume lo scorso settembre ed evidenzia i rischi che il continuo aumento delle emissioni rappresenta per gli esseri umani e l’ambiente, analizzandone le vulnerabilità in diverse regioni e sistemi naturali. Si tratta di un lavoro di valutazione su oltre 34.000 articoli scientifici, che ha visto oltre 40.000 commenti di revisione e la distribuzione finale da parte della Sintesi per i responsabili politici che ha ricevuto quasi 6000 commenti. La più ampia letteratura sul tema mai avuta a disposizione.
La finestra per agire si sta chiudendo
I risultati principali del rapporto mostrano come sia oramai inequivocabile che “i cambiamenti climatici sono una minaccia al benessere delle persone e alla salute del pianeta”, ha detto Hans-Otto Pörtner copresidente del WGII dell’IPCC. “Ogni ulteriore ritardo nell’azione concertata a livello globale farà perdere quella breve finestra temporale – che si sta rapidamente chiudendo – per garantire un futuro vivibile.” Già, perché se la temperatura media globale nel 2021 è già aumentata di 1,21 °C, al di sopra della temperatura media dal 1850 al 1900, ora sappiamo che la speranza di contenere il riscaldamento globale a 1,5°C diventa sempre più flebile. E questo anche se nel rapporto si sottolinea come “le azioni a breve termine che limitino il riscaldamento globale vicino a 1,5 °C ridurrebbero sostanzialmente le perdite e i danni previsti legati ai cambiamenti climatici nei sistemi umani e negli ecosistemi, rispetto a livelli di riscaldamento più elevati”, anche se queste “non possono eliminarli tutti”.
A oggi però le politiche climatiche e gli impegni sulle emissioni hanno messo il mondo sulla strada per un riscaldamento di circa 2,3-2,7 °C, e questo significherebbe rendere impossibile realizzare ogni azione di adattamento, specialmente in alcune regioni del pianeta.
Ciò che distingue sostanzialmente questo rapporto dal precedente (pubblicato nel 2014) è che, mentre il primo era cauto sulla misura in cui il cambiamento climatico stava influenzando le società umane, quest’ultimo afferma che il riscaldamento causato dall’uomo ha già danneggiato le società umane per decenni. Ne sono esempi gli ultimi record registrati lo scorso anno: i record di temperatura di 49,6 °C nella British Columbia lo scorso giugno, o il record per l’Europa, registrato a Siracusa la scorsa estate (48,8 °C). Estremi così elevati stanno già causando morti premature in tutto il mondo, mentre non fanno che aumentare le probabilità di innesco di incendi sempre più diffusi, il cui fumo provoca problemi cardiaci e respiratori.
Le evidenze scientifiche mostrano sempre più come il limite di 1,5 °C sia considerato fondamentale per l’equilibrio di interi sistemi produttivi. Superato questo limite aumenterà il rischio di perdite simultanee dei raccolti di mais in diverse grandi regioni produttrici di cibo, minacciando le catene di approvvigionamento globale, mentre con un riscaldamento oltre i 2 °C non sarà più possibile coltivare colture di base in molte aree, in particolare ai tropici. Questo porterà a un maggiore rischio di malnutrizione nell’Africa subsahariana, nell’Asia meridionale, nell’America centrale e meridionale e nelle piccole isole.
È in questo scenario che soluzioni come l’adattamento e la riduzione delle emissioni sono essenziali, complementari e non alternative. Ma la maggior parte delle azioni di adattamento finora sono state frammentate, su piccola scala e sotto-finanziate, in particolare per i paesi più vulnerabili. E il divario non fa che crescere.
Il focus su Europa e Mediterraneo
Secondo il Focal point per l’Italia, coordinato dal Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), il Mediterraneo è una regione che si è riscaldata e continuerà a riscaldarsi maggiormente della media globale, particolarmente in estate. La regione diventerà più arida per effetto combinato della diminuzione della precipitazioni e dell’aumento dell’evapo-traspirazione, mentre allo stesso tempo in alcune aree le precipitazioni estreme aumenteranno.
“Quello che emerge da questo rapporto è l’importanza delle politiche di adattamento”, ha detto Antonio Navarra presidente del CMCC durante la presentazione del rapporto. “Proprio nel momento in cui cresce l’urgenza e la valutazione che l’implementazione di queste politiche non sta andando velocemente”, ci si rende conto come “negli anni prossimi sarà molto difficile fare delle pianificazioni di qualunque tipo senza tenere conto delle questioni di adattamento ai cambiamenti climatici che ne sorgono”.
Il rapporto identifica quattro categorie di rischio per l’Europa, che variano al variare degli scenari emissivi e di conseguenza del livello di aumento delle temperature medie. Si va dai rischi collegati alle ondate di calore sulla popolazione e sugli ecosistemi, a quelli per la produzione agricola. Ai rischi legati alla scarsità di risorse idriche – già elevata nel bacino del Mediterraneo con un riscaldamento di 1,5 °C – a quelli prodotti da una maggiore frequenza e intensità delle inondazioni. “Se ci focalizziamo per esempio sulla carenza idrica per l’Europa meridionale, vediamo come il rischio aumenti anche in presenza di livelli di riscaldamento globale moderato”, spiega Piero Lionello, coautore del rapporto. “Un altro punto molto importante sono i rischi culturali e quelli legati alle infrastrutture collocate in prossimità del livello del mare: in questo caso i cosiddetti rischi ritardati sono molto elevati, dato che il livello continuerà ad aumentare per inerzia nei prossimi secoli, anche nel caso di un taglio drastico delle emissioni”.
Nel corso del XX secolo il livello del mare nel Mediterraneo è infatti già aumentato di 1,4 millimetri l’anno. Incremento che è ha subito un’accelerazione alla fine del secolo e che si attende possa raggiungere, in uno scenario ad alte emissioni, valori prossimi al metro nel 2100. Questo innalzamento sta già registrando un impatto sulle coste del Mediterraneo e in futuro aumenterà i rischi di inondazioni costiere, erosione e salinizzazione, mentre si rischia la scomparsa delle coste sabbiose. “Mentre l’innalzamento avrà poco significato nello scenario emissivo per metà secolo, sarà invece molto importante per fine secolo, dato che non sarà eliminato del tutto ma continuerà per centinaia di anni”, sottolinea Lionello.
Guardando i grafici e le mappe contenute nel rapporto è piuttosto evidente quanto il limite del “grado e mezzo” sia rilevante: all’interno di quell’intervallo di aumento di temperatura, legato al drastico taglio delle emissioni, le probabilità per il bacino del Mediterraneo e per l’Italia di subire effetti sia per quanto riguarda le precipitazioni intense, che per le ondate di calore, si riducono enormemente, oltre a mantenere condizioni climatiche ideali per la maggior parte delle specie vegetali ed animali. Cioè se si sta sotto il grado e mezzo, i rischi legati a effetti estremi, riduzione habitat, perdita biodiversità si riducono enormemente, anche se non si azzerano del tutto.
“Questo rapporto riconosce l’interdipendenza tra clima, biodiversità e persone e integra le scienze naturali, sociali ed economiche in modo più forte rispetto alle precedenti valutazioni dell’IPCC”, ha detto Hoesung Lee. “Il rapporto sottolinea l’urgenza di un’azione immediata e più ambiziosa per affrontare i rischi climatici. Le mezze misure non sono più una possibilità.” Motivo in più per dare un impulso accelerato al taglio delle emissioni e tentare in tutti i modi di mantenere vivo l’obiettivo di Parigi, nonostante le speranze si stiano affievolendo giorno dopo giorno.