I legami tra cambiamenti climatici e le inondazioni nelle Alpi
Nella regione il rischio di inondazioni potrebbe diminuire, ma in alcuni piccoli bacini idrografici montani le inondazioni estreme potrebbero essere più frequenti
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Le inondazioni sono un pericolo naturale sempre presente – con costi elevati sia in termini umani che economici – che il cambiamento climatico potrebbe esacerbare. Una previsione che è preoccupante in aree montuose come le Alpi, particolarmente sensibili ai cambiamenti climatici, come dimostra il loro tasso di riscaldamento più elevato rispetto alla media dell’emisfero settentrionale. Inoltre, nelle Alpi il rischio idrologico è già elevato a causa della densità della popolazione e del verificarsi di piene improvvise favorite dai processi idrometeorologici associati alla topografia accidentata.
Per capire cosa e successo, cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere, lo studio “Impact of warmer climate periods on flood hazard in the European Alps”, pubblicato su Nature Geoscience da un team internazionale di ricercatori guidato da Bruno Wilhelm dell’Institut des géosciences et de l’environnement (IGE) dell’Université Grenoble Alpes (UGA) CNRS/IRD, ha analizzato i sedimenti lacustri e ricostruito le cronache delle inondazioni avvenute durante i periodi freddi e caldi dell’era industriale, nell’ultimo millennio e nell’Olocene. Secondo l’UGA, «Questi risultati gettano nuova luce su come comprendere meglio il fenomeno delle inondazioni estreme nelle Alpi».
Durante un’alluvione, l’aumento della portata provoca una significativa erosione dei materiali che vengono trasportati dal corso d’acqua. Più a valle, i materiali vengono intrappolati nei laghi dove formano dei caratteristici depositi, detti “depositi alluvionali”. Questi depositi sono perfettamente conservati nel corso dei millenni. Per testare l’impatto ancora incerto che un periodo climatico più caldo potrebbe avere sulla frequenza e l’entità delle inondazioni nelle Alpi, il team di scienziati francesi, svizzeri, tedeschi e italiani ha studiato i sedimenti lacustri e ricostruito le cronache delle inondazioni che si sono verificate durante varie condizioni climatiche del passato in 33 diversi siti nelle Alpi europee, identificando e datando i depositi delle inondazioni per ricostruire i cambiamenti nella frequenza e nell’intensità delle inondazioni nel tempo.
Sono state così prodotte ben 30 “cronache” risalenti fino a 10.000 anni fa, i cui dati sono serviti per analizzare le variazioni di frequenza delle grandi piene (tempo di ritorno ≥ 10 anni) e i risultati dimostrano che «Un riscaldamento di +0,5 -1,2°C, sia di origine naturale che antropica, ha portato a una diminuzione del 25 – 50% della frequenza delle grandi inondazioni. Questa tendenza al ribasso non è concludente neile registrazioni che coprono meno di 200 anni, ma appare persistente in quelle che vanno da 200 a 9.000 anni».
La stessa analisi è stata condotta sulle piene estreme (tempo di ritorno ≥ 100 anni) e i ricercatori fanno notare che «Contrariamente alla diminuzione generale delle grandi inondazioni durante i periodi caldi, l’evoluzione delle inondazioni estreme rivela tendenze diverse a seconda dei bacini idrografici. In particolare, sembra che durante i periodi caldi le piene estreme siano più frequenti in alcuni piccoli bacini idrografici di montagna».
Lo studio conclude: «I risultati ottenuti mostrano quindi che, con il cambiamento climatico, a livello regionale, il rischio di inondazioni potrebbe diminuire globalmente, ad eccezione di alcuni piccoli bacini idrografici montani dove le inondazioni estreme potrebbero essere più frequenti. Sarà quindi necessario approfondire l’evoluzione del rischio in questi piccoli bacini idrografici, finora poco considerati. Più in generale, questo lavoro mostra come le ricostruzioni paleo-idrologiche consentano di districare le complesse relazioni tra clima e inondazioni e di migliorare la valutazione e la gestione del rischio a scala locale e regionale».