I disastri naturali si verificano solo quando i rischi incontrano la vulnerabilità
Riconoscere le componenti di pericolo e di vulnerabilità create dall’uomo per costruire società più eque e resilienti a lungo termine
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«Pericoli come inondazioni, siccità e ondate di caldo possono essere naturali, ma i disastri sono causati dall’uomo». A sostenerlo nell’articolo “Stop blaming the climate for disasters” pubblicato su Communications Earth & Environment, sono l’esperto di disastri Emmanuel Raju (università di Copenhagen e North-West University del Sudafrica), la ricercatrice sulla sostenibilità Emily Boyd (università di Lund) e la climatologa Friederike Otto (Grantham Institute – Imperial College London), che aggiungono: «I disastri si verificano quando i pericoli incontrano la vulnerabilità, ad esempio quando i gruppi di persone più vulnerabili vengono spinti a vivere in aree pericolose».
Raju, Boyd e Otto precisano: «I rischi naturali come inondazioni, siccità e ondate di caldo diventano disastri a causa della vulnerabilità della società, ovvero la propensione delle persone, delle società e degli ecosistemi a essere danneggiati. Spesso lo status sociale, politico ed economico delle persone determina la natura degli impatti differenziali e sproporzionati. Inoltre, molti rischi naturali non sono solo processi naturali, ma sono stati resi più probabili e più intensi dai cambiamenti climatici causati dall’uomo. Questo è riconosciuto da molto tempo, eppure i disastri continuano ad essere interpretati come un “Atto di Dio” o descritti come “naturali”.
I ricercatori sostengono che una diversa narrativa, nella quale il ruolo dell’attività antropica nei disastri venga chiaramente comunicato, invece di incolpare la natura o il clima, «Sarà più favorevole a un approccio proattivo, equo e in definitiva di successo per ridurre l’impatto dei disastri».
Invece, i riferimenti continuamente fatti da amministratori pubblici, leader politici e media a inondazioni, siccità e ondate di caldo come disastri “climatici” o “naturali” suggeriscono che i disastri sono indipendenti dalla vulnerabilità. «Non lo sono – ricordano i tre scienziati – E la vulnerabilità è stata spesso costruita; esempi includono processi di urbanizzazione non pianificati, ingiustizie sistemiche (come ad alcune persone alle quali viene negato l’accesso alle risorse) ed emarginazione dovuta a religione, casta, classe, etnia, sesso o età. La vulnerabilità è quindi un prodotto di processi sociali e politici che includono elementi di potere e (scarsa) governance Queste disuguaglianze strutturali vengono create in modi spesso deliberati e ancorati nelle strutture sociali e politiche. Ad esempio, nelle aree urbane, i pericoli naturali diventano disastri a causa di processi di pianificazione urbana scadenti che non sono informati sui rischi. I risultati sono infrastrutture inadeguate, mancanza di sistemi di supporto sociale che potrebbero ridurre gli impatti o aiutare con il recupero da disastri passati e processi che spingono i gruppi di persone più vulnerabili a vivere in aree pericolose. Questo provoca impatti sproporzionati (perdite e danni visibili e invisibili), soprattutto laddove esistono più pericoli contemporaneamente».
Sono gli stessui tipi di impatti osservati durante la pandemia di Covid-19 in corso che, in combinazione con altri rischi naturali in molte parti del mondo, potrebbe aver spinto le popolazioni già vulnerabili verso la vulnerabilità aggravata. I ricercatori fanno l’esempio della mancanza di accesso ai sistemi sanitari, unita alla mancanza di altri sistemi di protezione sociale e alle misure e alla governance scadenti di riduzione del rischio di catastrofi che hanno esacerbato l’impatto di questi rischi.
Raju, Boyd e Otto ricordano che «Incolpare la natura o il clima per i disastri distoglie dalla responsabilità. E’ in gran parte l’influenza umana che produce vulnerabilità. Puntare il dito contro le cause naturali crea una narrativa della crisi politicamente conveniente che viene utilizzata per giustificare leggi e politiche reattive ai disastri. Ad esempio, è più facile per le amministrazioni cittadine incolpare la natura invece di affrontare la vulnerabilità sociale e fisica causata dall’uomo. Una deviazione delle responsabilità porta anche alla continuazione di uno status quo iniquo in cui le persone più vulnerabili della società sono più colpite ripetutamente in ogni disastro. Una narrativa che attribuisce i disastri alla natura apre una sottile via di uscita per i responsabili della creazione della vulnerabilità».
Ma anche la narrazione scientifica non è immune da colpe: le valutazioni dei rischi legati al clima troppo spesso si concentrano su indicatori basati su punti, come il giorno più caldo dell’anno per indicare il cambiamento del caldo estremo o gli eventi meteorologicamente più estremi. «Invece – dicono i 3 scienziati – per aiutare a ridurre gli impatti dei disastri, sarebbe più informativo valutare i rischi alle scale temporali e spaziali rilevanti dal punto di vista del rischio e della vulnerabilità, come osservare le ondate di caldo che superano una determinata soglia di temperatura nelle città, su un giorno o pochi giorni, piuttosto che stimare gli estremi di caldo su scala nazionale. Le scale di valutazione spaziali possono fare una grande differenza: si stima che l’ondata di caldo europea del 2018 sia diventata 30 volte più probabile a causa del cambiamento climatico, ma il caldo estremo nei 3 giorni in cui la mortalità era più alta è diventato solo 2-5 volte più probabile nelle singole città europee».
La scienza e la climatologia possono svolgere un ruolo importante,ad esempio, chiarendo dove il cambiamento climatico indotto dall’uomo è un fattore chiave di rischio e Raju, Boyd e Otto.< evidenziano che «Questo è importante: laddove il cambiamento climatico ha esacerbato il rischio, è probabile che il pericolo peggiori nel tempo e le osservazioni passate diventino sempre meno rilevanti. L’attribuzione del cambiamento climatico deve essere utilizzata anche per comunicare quali disastri odierni sono parzialmente o totalmente il risultato del cambiamento climatico indotto dall’uomo».
I ricercatori concludono: «Sulla scia del 6th Assessment Report del Working Group I dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, c’è l’opportunità di riflettere e agire. Gli impatti dei disastri possono essere ridotti drasticamente. Dobbiamo smettere di incolpare la natura o il clima per i disastri e mettere la vulnerabilità e l’equità al centro di leggi e politiche sui disastri proattive e coinvolgenti. Questo riorientamento concettuale di base è un punto di partenza necessario per identificare e sfruttare soluzioni strutturali, sistemiche e abilitanti che trasformino le società in modo che siano più eque e resilienti a lungo termine».