Gli inquinanti chimici, compresa la plastica, hanno superato i confini planetari

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Gli inquinanti chimici, compresa la plastica, hanno superato i confini planetari

La produzione di prodotti chimici aumentata di 50 volte dal 1950 e triplicherà nuovamente entro il 2050. Eia: «Solo un solido trattato globale per la plastica può affrontare il problema»
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Lo studio “Outside the Safe Operating Space of the Planetary Boundary for Novel Entities”, pubblicato su Environmental Science and Technology da un team internazionale di 14 scienziati, ha valutato per la prima volta l’impatto sulla stabilità del sistema Terra del cocktail di sostanze chimiche sintetiche e di altre “nuove entità” che inondano l’ambiente. concludendo che «L’umanità ha superato il confine planetario relativo agli inquinanti ambientali, compresa la plastica».

Una delle autrici dello studio, Patricia Villarubia-Gómez dello Stockholm Resilience Centre, spiega che «Dal 1950, c’è stato un aumento di 50 volte nella produzione di sostanze chimiche. Si prevede che triplicherà nuovamente entro il 2050. Il ritmo con cui le società stanno producendo e rilasciando nuove sostanze chimiche e altre nuove entità nell’ambiente non è coerente con il rimanere all’interno di uno spazio operativo sicuro per l’umanità».

E lo studio fa notare che «La sola produzione di plastica è aumentata del 79% tra il 2000 e il 2015.

Sul mercato globale ci sono circa 350.000 diversi tipi di prodotti chimici di sintesi che includono plastica, pesticidi, prodotti chimici industriali, prodotti chimici nei prodotti di consumo, antibiotici e altri prodotti farmaceutici.  Allo Stockholm Resilience Centre  ricordano che «Queste sono tutte sostanze completamente nuove, create da attività umane con effetti in gran parte sconosciuti sul sistema Terra. Volumi significativi di queste nuove entità entrano nell’ambiente ogni anno». Un’altra autrice dello studio, Bethanie Carney Almroth dell’università di Göteborg, aggiunge che «Il tasso di comparsa di questi inquinanti nell’ambiente supera di gran lunga la capacità dei governi di valutare i rischi globali e regionali, per non parlare di controllare eventuali problemi potenziali».
Lo studio colma un’importante gap  nell’analisi dei 9 “confini planetari” identificati nel 2009 e che delimitano lo stato straordinariamente stabile in cui la Terra è rimasta per 10.000 anni, dagli albori della civiltà e che includono emissioni di gas serra, strato di ozono, foreste, acqua dolce e a biodiversità. I ricercatori hanno quantificato i confini che influenzano la stabilità della Terra e nel 2015 hanno concluso che 4 confini sono già stati superati. Ma il confine per le sostanze chimiche e la plastica era uno dei due confini rimasti non quantificati.

I ricercatori affermano che «Ci sono molti modi in cui le sostanze chimiche e la plastica hanno effetti negativi sulla salute del pianeta, dall’estrazione, al  fracking e alla trivellazione per l’estrazione di materie prime, alla produzione e alla gestione dei rifiuti». La Carney Almroth ricorda che «Alcuni di questi inquinanti possono essere trovati a livello globale, dall’Artico all’Antartide, e possono essere estremamente persistenti. Abbiamo prove schiaccianti di impatti negativi sui sistemi terrestri, inclusi la biodiversità e i cicli biogeochimici».

Lo studio avverte che «Le materie plastiche contengono oltre 10.000 altre sostanze chimiche, quindi il loro degrado ambientale crea nuove combinazioni di materiali e rischi ambientali senza precedenti. La produzione di plastica è destinata ad aumentare e le previsioni indicano che anche il rilascio di inquinamento da plastica nell’ambiente aumenterà, nonostante gli enormi sforzi in molti Paesi per ridurre i rifiuti. Le attuali tendenze all’aumento della produzione e del rilascio di sostanze chimiche mettono a rischio la salute del sistema Terra» e chiedono «Azioni per ridurre la produzione e il rilascio di inquinanti. Dobbiamo lavorare per implementare un limite fisso alla produzione e al rilascio di sostanze chimiche».

Sarah Cornell, anche lei dello Stockholm Resilience Centre, conclude: «E il passaggio a un’economia circolare è davvero importante. Ciò significa cambiare materiali e prodotti in modo che possano essere riutilizzati senza sprecarli, progettare sostanze chimiche e prodotti per il riciclaggio e uno screening molto migliore delle sostanze chimiche per verificarne la sicurezza e la sostenibilità lungo l’intero percorso di impatto nel sistema Terra».

Lo studio esce praticamente in contemporanea con il nuovo rapporto “Connecting the Dots: Plastic integrity and the planetary emergency”, e presentandolo Tom Gammage, dell’Environmental Investigation Agagency (Eia) Ocean. Ha ricordato che«C’è un ticchettio mortale di un rapido conto alla rovescia. Le sole ìmmissioni di plastica negli oceani dovrebbero triplicare entro il 2040, in linea con la crescente produzione di plastica, e se questa ondata di marea di inquinamento continua incontrollata, i previsti 646 milioni di tonnellate di plastica nei mari entro quella data potrebbero superare il peso collettivo di tutti i pesci nell’oceano».

Secondo il rapporto Eia, che raccoglie dati scientifici recenti sull’ampio impatto della plastica sul clima, sulla biodiversità, sulla salute umana e sull’ambiente, «La dipendenza dell’umanità dalla plastica e l’incapacità di impedire che contamini la rete alimentare minano direttamente la salute umana, guidano la perdita di biodiversità, esacerbano i cambiamenti climatici e rischiano di generare cambiamenti ambientali dannosi su larga scala».

Per l’Eia, solo un solido trattato globale sulla plastica può affrontare il problema. L’Onu ha recentemente identificato tre minacce ambientali esistenziali: cambiamento climatico, perdita di biodiversità e inquinamento e ha evidenziato che  devono essere affrontate insieme. Ma l’Eia fa notare che «Sebbene accordi multilaterali dedicati per affrontare la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico siano in vigore da quasi 30 anni, attualmente non esiste uno strumento del genere per affrontare l’inquinamento da plastica, nonostante sia uno degli inquinanti più diffusi e distruttivi esistenti».

Connecting the Dots è stato pubblicato prima dell’importante meeting dell’United Nations Environment Assembly che si terrà a Nairobi a febbraio e che dovrebbe definire quale sia la responsabilità di ogni singolo Paese nell’inquinamento e nella produzione di plastiche. Un centinauio di Paesi sarebbe favorevole a un trattato globale sulla plastica, mentre  l’opposizione si sta indebolendo, anche se c’è discussione su quanto dovrebbe essere rigoroso il trattato e se dovrebbe essere legalmente vincolante o volontario. A pesare è stato il cambiamento di opinione degli Usa: Il presidente Joe Biden ha annunciato che gli Stati Uniti ora supportano un accordo globale, mentre l’amministrazione di Donald Trump capeggiava il fronte dei Paesi contrari. Però non è chiaro se Biden su questo ce la farà a strappare il voto positivo del Congresso, Non è chiaro, tuttavia, perché la lobby petrolifere a e delle materie plastiche sta facendo grosse pressioni sui parlamentari statunitensi.

A lavorare alacremente contro un trattato obbligatorio è soprattutto il Giappone, mentre le monarchie assolute petrolifere del Golfo e la Cina stanno a guardare in silenzio. La Cina produce la maggior parte della “plastica vergine” ma accusa gli Usa di essere i maggiori produttori di rifiuti pro capite.

L’Eia è tra le organizzazioni internazionali da sempre in prima linea nel chiedere un trattato globale sulla plastica e Connecting the Dots fornisce raccomandazioni su come garantire una politica multidimensionale, a lungo termine e collaborativa che consideri l’inquinamento da plastica una minaccia al superamento dei confini planetari e che tenga conto dei suoi impatti a catena su altre crisi ambientali. Gammage ha sottolineato che «La natura visibile dell’inquinamento da plastica ha generato un’enorme preoccupazione pubblica, ma la stragrande maggioranza degli impatti dell’inquinamento da plastica è invisibile. Il danno causato dalla dilagante sovrapproduzione di plastica vergine e dal suo ciclo di vita è irreversibile: questa è una minaccia per la civiltà umana e per la capacità di base del pianeta di mantenere un ambiente abitabile».

Richard Thompson della Plymouth University, uno dei massimi esperti globali di plastica, è d’accordo e ha detto a BBC News: «Un trattato delle Nazioni Unite dovrebbe concentrarsi sull’analisi dell’intero ciclo di vita della plastica. La causa alla base del problema è radicata nei livelli insostenibili di produzione e consumo. Sostenere politiche che promuovano semplicemente l’uso di materie plastiche “riciclabili” non sarà efficace a meno che non ci sia un’infrastruttura locale per raccogliere, separare e riciclare in modo fattibile quella plastica. Le politiche per promuovere l’uso della plastica “compostabile” saranno efficaci solo se ci sono infrastrutture locali appropriate per gestire quel flusso di rifiuti».

La ricercatrice neozelandese Trisia Farrelly, della Massey University, evidenzia che «Le aziende petrolifere e del gas, che producono la materia prima per la maggior parte della plastica, si stanno sforzando di concentrare l’attenzione sui rifiuti di plastica, piuttosto che sulla produzione di plastica. La domanda ora è: come sarà quel trattato? Ci sarà una forma debole che si concentra sui rifiuti marini e sulla gestione dei rifiuti? O ci sarà una risoluzione che includa l’intero ciclo di vita della plastica, compresa l’estrazione e la produzione, fino alla bonifica dell’inquinamento dell’ambiente? E’ necessaria più ricerca scientifica per determinare la tossicità della plastica, ma ogni ritardo è pericoloso. La scienza è relativamente nuova su una serie di impatti dell’inquinamento da plastica e parte della scienza è complessa. Ma ci sono prove più che sufficienti per sapere che dobbiamo agire con urgenza per prevenire ulteriori danni irredimibili causati dall’inquinamento da plastica».

Il chimico Hans Peter Arp, della Norges teknisk-naturvitenskapelige universitet, concorda sul fatto che ci sono molte incognite, ma fa notare che «L’inquinamento da plastica stava già violando quello che è noto come confine planetario, una soglia che non dovrebbe essere superata a causa del rischio per l’umanità. Io e i miei colleghi abbiamo detto che l’inquinamento da plastica soddisfa i tre criteri di una minaccia per un confine planetario: 1) aumento dell’esposizione, 2) presenza irreversibile nell’ecosistema globale, 3) evidenza che sta causando danni ecologici e che questo danno aumenterà con le emissioni di plastica. La risposta razionale alla minaccia globale rappresentata dall’inquinamento da plastica accumulato e scarsamente reversibile è ridurre rapidamente il consumo di materie plastiche vergini, insieme a strategie coordinate a livello internazionale per la gestione dei rifiuti».

Anche se grandi imprese stanno organizzando la resistenza contro regole globali, altre le sostengono e plasticpollutiontreaty.org invita le imprese a sottoscrivere standard rigorosi per garantire condizioni di parità per il business della plastica.

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