Dagli echi dei buchi neri arriva una possibile conferma della radiazione di Hawking

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Dagli echi dei buchi neri arriva una possibile conferma della radiazione di Hawking

Deboli segnali generati da fusioni di buchi neri potrebbero fornire la prova dell’ipotesi formulata dal celebre fisico britannico secondo cui questi oggetti emetterebbero flebili radiazioni anziché assorbire tutto entro il loro orizzonte degli eventi
di Anil Ananthaswamy/Scientific American
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Nel 1974 Stephen Hawking teorizzò che i buchi neri non fossero neri ma emettessero lentamente radiazioni termiche. La previsione di Hawking ha scosso profondamente la fisica perché implicava che i buchi neri non durassero per sempre e che invece, nel corso degli eoni, evaporassero nel nulla; c’era, tuttavia, un piccolo problema: semplicemente non c’è modo di vedere una radiazione così debole. Ma secondo alcuni astrofisici, se questa “radiazione di Hawking” potesse in qualche modo essere stimolata e amplificata, potrebbe essere rilevabile. E ora sostengono di averne visto i segni all’indomani della più massiccia collisione di buchi neri mai osservata.

Due buchi neri massicci mentre spiraleggiano uno verso l’altro un attimo prima di fondersi emettendo una copiosa quantità di onde gravitazionali. Immagine tratta da una simulazione numerica della fusione conosciuta come GW190521 (© N. Fischer, H. Pfeiffer, A. Buonanno/Max Planck Institute for Gravitational Physics; Simulating eXtreme Spacetimes (SXS) Collaboration) 


L’affermazione, tuttavia, è estremamente controversa, perché altre ricerche di tali echi di onde gravitazionali sono rimaste a mani vuote.

Nel maggio 2019 il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO), negli Stati Uniti, e Virgo, in Italia, hanno rilevato onde gravitazionali – increspature nel tessuto dello spazio-tempo – generate dalla fusione di due buchi neri che avevano una massa totale di 151 Soli. Dalla fusione è risultato un buco nero di 142 masse solari. La differenza di nove masse solari è stata irradiata, quasi tutta sotto forma di onde gravitazionali. “Questo è l’evento più massiccio finora osservato”, dice Jahed Abedi dell’Università di Stavanger, in Norvegia, che è coautore di un articolo in preprint nel quale lui e i suoi colleghi sostengono di aver misurato la radiazione di Hawking di questa fusione.

Schema della fusione dei due buchi neri rispettivamente di 66 e 85 masse solari che nell’evento GW190521 ha dato origine a un buco nero di 142 masse solari (© LIGO/Caltech/MIT/R. Hurt/IPAC)

Le onde gravitazionali di questo evento, chiamato GW190521, non solo hanno prodotto increspature che alla fine hanno interagito con i rivelatori di LIGO e Virgo sulla Terra, ma hanno anche investito il buco nero residuo prodotto dalla collisione iniziale. Ciò che è successo dopo dipende dalla visione della fisica dei buchi neri che si ha. Se i buchi neri sono descritti interamente dalla teoria generale della relatività di Einstein, allora hanno un orizzonte degli eventi, un confine a senso unico in cui tutto può cadere ma da cui nulla può sfuggire. “Nell’immagine standard dei buchi neri, l’orizzonte degli eventi di un buco nero assorbe tutta la radiazione”, dice Paolo Pani, fisico teorico della Sapienza Università di Roma. Quindi le onde gravitazionali verso l’interno dovrebbero semplicemente scomparire.

Ma questo potrebbe non essere successo. I fisici pensano che per descrivere pienamente i buchi neri sia necessaria una qualche combinazione di fisica quantistica e relatività generale, e in questo caso è possibile che una parte delle onde gravitazionali in entrata possa essere riflessa, o a causa di effetti quantistici nelle immediate vicinanze dell’orizzonte o perché l’oggetto denso e compatto creato dalla fusione non ha un orizzonte e ha una qualche struttura interna. Se così fosse, firme simili a echi potrebbero essere presenti nelle informazioni raccolte da LIGO, Virgo e altri rivelatori. Come gli echi sonori, queste firme sarebbero molto più deboli e leggermente ritardate rispetto alle onde gravitazionali originali della fusione.

Il modo esatto in cui dovrebbero presentarsi questi echi dipende dalla specifica fisica che viene modellizata. Per esempio, si pensa che la regione appena fuori dall’orizzonte di un buco nero sia un luogo vivace, pieno di coppie di particelle virtuali che entrano ed escono dall’esistenza. A volte una particella della coppia cade nel buco nero e l’altra fugge. Queste particelle in fuga costituiscono la radiazione di Hawking. Si tratta di un processo esasperatamente lento. Nel caso di GW190521, Abedi e i suoi colleghi sostengono che la produzione di radiazione di Hawking come risultato della fusione potrebbe essere significativamente accelerata – stimolata, in altre parole – dalle onde gravitazionali in arrivo.

Il principio è in qualche modo simile a quello che si verifica durante l’emissione stimolata della radiazione negli atomi. In questo processo, i fotoni di luce colpiscono gli elettroni “eccitati” degli atomi, inducendo gli elettroni a scendere a livelli di energia inferiori mentre emettono fotoni che hanno la stessa lunghezza d’onda dei fotoni incidenti. In certe situazioni, questa emissione stimolata può superare di gran lunga l’emissione spontanea “di fondo” della radiazione (in cui un elettrone, da solo, scende da un livello di energia superiore a uno inferiore ed emette un fotone).

Una fusione di buchi neri fuori dall’ordinario

Abedi e i suoi colleghi teorizzano che le onde gravitazionali che interagiscono con l’orizzonte degli eventi di un buco nero dovrebbero stimolare in modo analogo la produzione di radiazione di Hawking fino a livelli che superano di molto le emissioni spontanee, rendendola così rilevabile. Questa radiazione costituirebbe onde gravitazionali della stessa lunghezza d’onda delle onde incidenti, anche se di intensità molto inferiore.

I ricercatori sostengono di aver osservato segni di questa emissione stimolata di radiazione di Hawking dal “relitto” GW190521. Per analizzare i dati di GW190521 raccolti da LIGO e Virgo gli scienziati hanno usato due metodi diversi. Il primo metodo mette a confronto due modelli: uno basato puramente sulla relatività generale, senza echi o segnali postumi, e un altro che include la radiazione di Hawking stimolata. Se li si confronta, il metodo che include la radiazione stimolata è molto più preferibile rispetto a quello basato sulla sola relatività generale, dice Abedi.

Il secondo metodo era agnostico su qualsiasi modello specifico e semplicemente cercava esplosioni coerenti di onde gravitazionali post-fusione da diversi rivelatori. Il gruppo sostiene di aver trovato tali esplosioni. “[I due metodi] sono coerenti tra loro”, dice Abedi.

L’analisi statistica dei ricercatori dà lo 0,5 per cento di probabilità (circa una possibilità su 200) che il presunto segnale sia invece solo rumore. Normalmente, perché i fisici possano rivendicare una scoperta, le probabilità di un falso segnale devono essere inferiori a una su un milione. Di conseguenza, Pani, che non faceva parte del gruppo, è circospetto. “La prova statistica che hanno è decisamente troppo bassa per rivendicare una misurazione”, dice.

“Questo non è [un]segnale molto forte”, riconosce Abedi, aggiungendo che tuttavia è quanto di meglio si possa fare con gli attuali rivelatori di onde gravitazionali. “Il nostro obiettivo sono i rivelatori di prossima generazione.”

di Katie McCormick/Quanta Magazine Pani concorda sul fatto che un impianto come il Laser Interferometer Space Antenna (LISA), un progetto dell’Agenzia spaziale europea (ESA) il cui lancio è previsto per la fine degli anni 2030, sarebbe più adatto per studi di questo tipo. “Con i rivelatori futuri, se c’è qualcosa, potremo ottenere le prove necessarie per rivendicare una misurazione”, dice.

Anche se la prova di un segnale fosse statisticamente più significativa, tuttavia, Pani rimane critico nei confronti dell’affermazione di Abedi e dei suoi colleghi che sarebbe la prova della radiazione di Hawking. “Avrebbero potuto rivendicare la misurazione di echi di onde gravitazionali. Dire che questa è una radiazione di Hawking stimolata comporta un notevole balzo concettuale”, dice Pani. “In altri modelli, potrebbe essere qualcos’altro.”

Proprio il mese scorso i membri di LIGO, Virgo e KAGRA (Kamioka Gravitational Wave Detector), in Giappone, hanno pubblicato un preprint della loro ultima analisi dei dati sulle onde gravitazionali. Hanno esaminato 15 eventi, 14 in cui due buchi neri si sono fusi e uno in cui un buco nero si è fuso con una stella di neutroni. Tutti gli eventi sono stati osservati da due o più rivelatori. “Questa analisi ha incluso GW190521. Non troviamo prove di echi o altre deviazioni dalle previsioni della relatività generale”, dice Daniel Holz, membro del gruppo LIGO dell’Università di Chicago. “Sarebbe incredibilmente eccitante se esistessero gli echi, o qualsiasi altra ipotetica deviazione dalla relatività generale, ma sembra che finora nei dati non ci siano prove convincenti in tal senso. Fino a oggi la teoria di Einstein ha superato tutti i test. È efficace e precisa in modo quasi imbarazzante.”

Pani, nel frattempo, sta tenendo gli occhi all’orizzonte per vedere se l’affermazione fatta da Abedi e dai suoi colleghi sulla radiazione di Hawking stimolata, o sugli echi in generale, sarà confermata o meno. “Se sarà confermata in futuro, sarà un grande passo – dice Pani – soprattutto per il campo in generale perché sarà una sorta di portale alle proprietà quantistiche dei buchi neri che altrimenti sarebbe impossibile vedere con altri mezzi.”

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