Un robot tenterà di ricostruire gli affreschi di Pompei
Un progetto ambizioso mira a ricomporre gli antichi dipinti frammentati: un robot farà una scansione dei pezzi, che verranno poi combinati dall’intelligenza artificiale. Se funzionerà, il metodo aiuterà a ricostruire molti altri reperti archeologici finora irrecuperabili
di Jen Pinkowski/Scientific American
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Immaginate di avere un puzzle con 10.000 pezzi ma nessuna immagine su una scatola. In effetti, non avete nemmeno la scatola, perché è stata distrutta quasi 2000 anni fa. Questi pezzi del puzzle sono frammenti di affreschi dell’antica città romana di Pompei, rasi al suolo o sepolti dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Alcuni pezzi mancano, altri sono frantumati. E invece di essere forme tagliate con precisione progettate per incastrarsi perfettamente, sono frammenti danneggiati e irregolari. Come si può risolvere questo puzzle?
Gli scienziati dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) hanno un piano: mandare avanti un robot. Il loro progetto, chiamato RePAIR (Reconstructing the Past: Artificial Intelligence and Robotics meet Cultural Heritage) fonde robotica, intelligenza artificiale (IA) e archeologia nel tentativo di ricostruire caratteristiche architettoniche di Pompei che altrimenti rimarrebbero incomplete, perché troppo complesse o perché richiederebbero quantità stratosferiche di tempo e di lavoro umano.
Nei prossimi mesi, i ricercatori dell’IIT e i loro collaboratori di una manciata di università internazionali costruiranno, addestreranno, testeranno e metteranno all’opera un robot per ricomporre affreschi murali rovinati in due edifici. Nel primo edificio, sanno che aspetto dovrebbero avere gli affreschi perché erano intatti fino a poco tempo fa. Nel secondo edificio, non hanno idea di cosa rappresentino; i loro frammenti sono rimasti in un magazzino per decenni in attesa che qualcuno o qualcosa li rimettesse insieme.
RePAIR è sperimentale e potrebbe fallire, ammette Arianna Traviglia, direttrice dell’IIT Center for Cultural Heritage and Technology di Venezia e ricercatrice principale del progetto, che è sostenuto da un finanziamento di 3,5 milioni di euro assegnato da un fondo della Commissione europea che sostiene iniziative rischiose dedicate a “tecnologie future radicalmente innovative”. Se il progetto avrà successo, la tecnologia potrà essere usata per ricostruire una varietà di manufatti culturali frammentati il cui restauro è rimasto “fuori dalla portata umana”, spiega il coordinatore del progetto Marcello Pelillo, professore di informatica e intelligenza artificiale all’Università di Venezia.
“Speriamo che funzioni, perché non è mai stato provato prima”, scherza Traviglia. “È davvero una follia ai massimi livelli.”
I cervelli
Il robot ancora senza nome di RePAIR deve avere una combinazione di cervello, forza e un tocco sensibile. Il cervello verrà da un mix di visione computerizzata ad alta tecnologia per scansionare i pezzi del puzzle dell’affresco, algoritmi di apprendimento automatico per risolvere i puzzle e competenze umane per guidare l’intelligenza artificiale.
“Pensiamo che usare un sistema basato sull’intelligenza artificiale non sarà sufficiente”, dichiara Pelillo, il cui gruppo sta sviluppando il programma di intelligenza artificiale per risolvere i puzzle in collaborazione con un gruppo della Ben Gurion University del Negev, in Israele. Ecco perché otterranno indicazioni da archeologi e storici dell’arte sui diversi stili di affreschi trovati a Pompei.
A Pompei, i ricercatori stanno digitalizzando manualmente ogni frammento di affresco nei due siti di prova per creare un database digitale per il robot RePAIR. Una volta che l’intero sistema sarà pienamente operativo, però, “avremo il robot che procederà autonomamente alle scansioni”, afferma Pelillo.
Quando i robot possono gestire la digitalizzazione di routine, gli umani sono liberi di gestire compiti più complessi. Gli specializzandi non possono scansionare i materiali 24 ore su 24 senza cibo, acqua o sonno, ma un robot sì. “L’idea è quella di lavorare per automatizzare il più possibile questo lavoro di digitalizzazione del patrimonio culturale, che richiede molto tempo e peraltro è noiosa”, aggiunge Traviglia.
Il robot umanoide è composto da un torso e da braccia, sviluppati da Nikolaos Tsagarakis e dai suoi colleghi del laboratorio Humanoid & Human Centered Mechatronics dell’IIT di Genova. Con braccia lunghe da 80 a 100 centimetri e un peso da 25 a 30 chilogrammi, il robot avrà circa le stesse dimensioni del torso di una persona media. Il suo design è basato in parte sui precedenti robot “umanoidi compatibili” che il laboratorio di Tsargarakis ha sviluppato per l’uso in luoghi colpiti da disastri, tra cui WALK-MAN, che nel 2016 ha esplorato un edificio danneggiato di Amatrice, dove il terremoto aveva ucciso quasi 300 persone.
Le mani si collegheranno alle braccia tramite cavità nei polsi. Sono state progettate nel laboratorio di Antonio Bicchi, scienziato senior all’IIT di Genova e docente di robotica all’Università di Pisa, che ha sviluppato mani robotiche per l’uso nell’industria e come protesi. A Pompei, le morbide mani robotiche dovranno afferrare, spostare e orientare frammenti di varie dimensioni e pesi con estrema cura, e nel mentre raccogliere informazioni su di loro. Queste mani sono come guanti morbidi ma intelligenti che integrano anche sensori tattili, cinestetici e di posizione. Idealmente, sottolinea Bicchi, in futuro le persone saranno in grado di indossarli sulle proprie mani per raccogliere ulteriori dati che le mani umane non possono ottenere da sole.
I ricercatori stanno ancora lavorando al design finale (un design alternativo abbandona il torso e semplicemente aggancia le braccia a un telaio metallico), ma probabilmente il robot sarà montato su un cursore su un banco di lavoro in modo che possa muoversi facilmente da un’estremità all’altra dell’area di lavoro. Una volta installate, le mani morbide afferreranno i pezzi, li scansioneranno in 3D e invieranno i dati all’IA che cercherà di trovare corrispondenze virtuali. Una volta trovata la soluzione, l’IA invierà i dati alle mani, che assembleranno i pezzi.
I siti dei puzzle
Il primo puzzle di affreschi che gli scienziati del RePAIR tenteranno di risolvere con il nuovo robot è una parte della Schola Armaturarum, la sede di un’associazione militaresca situata in Via dell’Abbondanza, la strada principale di Pompei, dove i membri pianificavano attività militari e battaglie tra gladiatori. Scoperta nel 1915, la sua grande sala era decorata con rappresentazioni di trofei e armi e contornata da armadi di legno che potrebbero aver ospitato armature e trofei. È sopravvissuta sia all’eruzione vulcanica sia a una bomba alleata che l’ha colpita nel 1943, ma alcune sue parti sono crollate nel 2010 dopo forti piogge che si sono riversate su Pompei, inclusi gli affreschi murali che i ricercatori tenteranno di ricostruire. Poiché sanno come erano gli affreschi in origine, è una buona sede per testare le capacità del robot.
Se il robot avrà successo con gli affreschi della Schola Armaturarum, la squadra tenterà di ricostruire gli affreschi trovati in due stanze crollate nella Casa dei pittori al lavoro. Questo edificio è così chiamato perché gli artigiani vi stavano dipingendo degli affreschi quando il Vesuvio eruttò; gli archeologi hanno riportato alla luce i loro secchi e pennelli, così come i flebili contorni degli affreschi in attesa di colori, ombreggiature e dettagli che non sono mai arrivati. Parti dell’edificio furono distrutte allora, e la costruzione fu anche gravemente danneggiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Poiché ogni muro sbriciolato conteneva un affresco distinto e non ci sono immagini di riferimento da cui partire, questo sito pone una sfida molto più grande. “Immaginate di avere cinque diversi puzzle: uno con la Torre Eiffel, l’altro con il Colosseo, e così via”, dice Pelillo. “Aprite le scatole e mescolate tutti i pezzi. E poi vi viene chiesto di risolvere i cinque puzzle. Questo è effettivamente quello che cercheremo di fare”.
Gli scienziati di RePAIR mirano a installare il robot a Pompei (la posizione esatta è ancora in via di decisione) entro la primavera o l’estate del 2022. Hanno un po’ di tempo per sperimentare; il loro finanziamento sosterrà il progetto fino al 2025.
I ricercatori intravedono un mondo di possibilità per il robot. I musei e le università di tutto il mondo conservano nelle loro collezioni resti frammentati, molti dei quali ignorati per decenni. “Se avremo successo con questo progetto, speriamo di offrire una tecnologia che permetterà a molti musei di tutto il mondo di ricostruire affreschi frammentati o manufatti simili su larga scala”, conclude Pelillo. “Ci stiamo concentrando principalmente sugli affreschi, ma questa è solo una prova. Se avremo successo, cercheremo di applicare questa tecnologia ad altri manufatti o magari, per esempio, ai papiri”.