I dati di un radiotelescopio forniscono i primi indizi sull’origine dei fulmini

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I dati di un radiotelescopio forniscono i primi indizi sull’origine dei fulmini

Il meccanismo fisico che porta al loro innesco, propagazione e crescita è tutt’ora sconosciuto. Ma ora le osservazioni effettuate con un radiotelescopio hanno iniziato a svelare alcuni dettagli di questo processo
di Thomas Lewton/Quanta Magazine
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Durante un temporale estivo nel 2018, un fulmine epocale è balenato sopra una rete di radiotelescopi nei Paesi Bassi. Le registrazioni dettagliate dei telescopi, che sono state elaborate solo di recente, rivelano qualcosa che nessuno aveva mai visto prima: un fulmine che parte effettivamente all’interno di una nuvola tonante.

In un nuovo articolo che sarà presto pubblicato sulle “Geophysical Research Letters”, i ricercatori hanno usato le osservazioni risolvere un lungo dibattito su ciò che innesca il fulmine, il primo passo del misterioso processo con cui i fulmini nascono, crescono e si propagano al suolo. “È piuttosto imbarazzante. È il processo più energetico del pianeta, esistono religioni incentrate su di esso, e non abbiamo idea di come funzioni”, dice Brian Hare, studioso dei fulmini all’Università di Groningen e coautore del nuovo articolo.

L’immagine da manuale scolastico è che, all’interno di una nuvola, la grandine cade mentre i cristalli di ghiaccio più leggeri salgono. La grandine “sfrega via” gli elettroni caricati negativamente dei cristalli di ghiaccio, portando la parte superiore della nuvola a caricarsi positivamente mentre la parte inferiore si carica negativamente. Questo crea un campo elettrico che aumenta fino a quando una gigantesca scintilla scocca attraverso il cielo.

Quando non è impegnata in osservazioni astronomiche a causa delle nubi, la grande rete di radiotelescopi LOFAR registra i fulmini (© LOFAR/ASTRON)

Eppure i campi elettrici all’interno delle nuvole sono circa dieci volte troppo deboli per creare scintille. “Per decenni sono stati lanciati palloni, razzi e aerei nei temporali e non si sono mai visti campi elettrici abbastanza intensi”, osserva Joseph Dwyer, fisico all’Università del New Hampshire e un coautore del nuovo articolo, che si è interrogato sulle origini del fulmine per oltre due decenni. “Non avevamo idea di come si verificasse.”

Un grande impedimento è che le nuvole sono opache; anche le migliori telecamere non possono sbirciare al loro interno per vedere il momento iniziale. Fino a poco tempo fa, questo ha lasciato agli scienziati poca scelta se non quella di avventurarsi nella tempesta, qualcosa che hanno provato fin dal famoso esperimento dell’aquilone di Benjamin Franklin del 1752. (Secondo un resoconto del tempo, Franklin attaccò una chiave a un aquilone e lo fece volare sotto un temporale, osservando che l’aquilone si elettrizzava). Più di recente, palloni meteorologici e razzi hanno offerto istantanee dell’interno, ma la loro presenza tende a interferire con i dati creando artificialmente scintille che non si verificherebbero naturalmente. “Per molto tempo non abbiamo davvero saputo quali sono le condizioni all’interno di un temporale nel momento e nel luogo in cui il fulmine scocca”, dice Dwyer.

Così Dwyer e il suo gruppo si sono rivolti al Low Frequency Array (LOFAR), una rete di migliaia di piccoli radiotelescopi per lo più nei Paesi Bassi. LOFAR di solito guarda le galassie lontane e le stelle che esplodono. Ma secondo Dwyer, “si dà il caso che funzioni molto bene anche per misurare i fulmini”.

Quando i temporali passano sopra LOFAR, c’è ben poca astronomia a cui possa dedicarsi. Così, invece, il telescopio sintonizza le sue antenne per rilevare una raffica di circa un milione di impulsi radio che emanano da ogni lampo. A differenza della luce visibile, gli impulsi radio possono passare attraverso le nuvole dense.

Usare i rivelatori radio per mappare i fulmini non è una novità; antenne radio costruite appositamente hanno osservato a lungo le tempeste nel New Mexico. Ma queste immagini sono a bassa risoluzione o solo in due dimensioni. LOFAR, un telescopio astronomico all’avanguardia, può mappare il lampo in tre dimensioni sulla scala del metro, e con una frequenza di fotogrammi 200 volte superiore di quella che potevano raggiungere gli strumenti precedenti. “Le misurazioni di LOFAR ci stanno dando la prima immagine veramente chiara di ciò che sta accadendo all’interno del temporale”, dice Dwyer.

© Science Photo Library/AGF

Un fulmine che si materializza produce milioni di impulsi radio. Per ricostruire un’immagine 3D del fulmine dall’accozzaglia di dati, i ricercatori hanno impiegato un algoritmo simile a quello usato per gli allunaggi dell’Apollo. L’algoritmo aggiorna continuamente ciò che è noto sulla posizione di un oggetto. Mentre una singola antenna radio può solo indicare la direzione approssimativa del flash, l’aggiunta di dati da una seconda antenna aggiorna la posizione. Mettendo costantemente in loop migliaia di antenne di LOFAR, l’algoritmo costruisce una mappa chiara.

Quando i ricercatori hanno analizzato i dati del lampo dell’agosto 2018, hanno visto che gli impulsi radio provenivano tutti da una regione dello spessore di 70 metri ben all’interno della nube temporalesca. Hanno subito dedotto che lo schema degli impulsi supporta una delle due principali teorie su come viene innescato il tipo di fulmine più comune.

Un’ipotesi sostiene che i raggi cosmici – particelle provenienti dallo spazio esterno – si scontrano con gli elettroni all’interno dei temporali, innescando valanghe di elettroni che rafforzano i campi elettrici.

Le nuove osservazioni indicano però la teoria rivale. Inizia con ammassi di cristalli di ghiaccio all’interno della nuvola. Le collisioni turbolente tra i cristalli aghiformi spazzano via alcuni dei loro elettroni, lasciando un’estremità di ogni cristallo di ghiaccio caricata positivamente e l’altra negativamente. L’estremità positiva attira elettroni dalle molecole d’aria vicine. Altri elettroni fluiscono da molecole d’aria più lontane, formando canali di aria ionizzata, chiamati streamer, che si estendono da ogni punta dei cristalli di ghiaccio.

Ogni punta di cristallo dà origine a una moltitudine di streamer, con i singoli streamer che si diramano sempre più. Gli streamer riscaldano l’aria circostante, strappando in massa elettroni dalle molecole d’aria in modo che una corrente più grande fluisca sui cristalli di ghiaccio. Alla fine uno streamer diventa abbastanza caldo e conduttivo da trasformarsi in un leader, un canale-guida lungo il quale può improvvisamente viaggiare la scarica di un fulmine vero e proprio.

“Questo è ciò che stiamo vedendo”, dice Christopher Sterpka, primo autore del nuovo lavoro. Un filmato che i ricercatori hanno creato dai dati mostra che all’inizio del lampo gli impulsi radio crescono esponenzialmente, probabilmente a causa del diluvio di streamer. “Quando la valanga si ferma, vediamo nelle vicinanze un leader del fulmine”, dice. Negli ultimi mesi, Sterpka ha realizzato svariati filmati di innesco di fulmini, che sembrano tutti simili al primo.

Il ruolo chiave dei cristalli di ghiaccio si combina con le recenti scoperte che l’attività dei fulmini è scesa di oltre il dieci per cento durante i primi tre mesi della pandemia COVID-19. I ricercatori attribuiscono questo calo ai lockdown, che hanno portato a una diminuzione di inquinanti nell’aria, e quindi a meno siti di nucleazione per i cristalli di ghiaccio.

“I passi fatti grazie a LOFAR sono certamente significativi”, commenta Ute Ebert, fisica della Eindhoven University of Technology, nei Paesi Bassi, che studia l’innesco dei fulmini ma non è stata coinvolta nel nuovo lavoro. Secondo Ebert i filmati di LOFAR offrono un quadro da cui partire per costruire accurati modelli e simulazioni di fulmini, che finora erano stati ostacolati da una mancanza di dati ad alta risoluzione.

Ebert nota, tuttavia, che nonostante la risoluzione, il filmato descritto nel nuovo articolo non mostra direttamente le particelle di ghiaccio che ionizzano l’aria, ma solo quello che accade subito dopo. “Da dove viene il primo elettrone? Come inizia la scarica vicino a una particella di ghiaccio?”, si chiede. Sono pochi i ricercatori che ancora preferiscono la teoria rivale – quella secondo cui sarebbero i raggi cosmici a innescare direttamente il fulmine – ma i raggi cosmici potrebbero ancora avere un ruolo, sia pure secondario, nella creazione di elettroni che innescano i primi streamer che si collegano ai cristalli di ghiaccio, dice Ebert. Anche il modo preciso in cui gli streamer si trasformano in leader è una “questione grandemente dibattuta”, nota Hare.

Dwyer spera che LOFAR possa essere in grado di risolvere questi processi su scala millimetrica. “Stiamo cercando di vedere quelle prime piccole scintille che si staccano [dai cristalli di ghiaccio]per catturare l’azione di innesco proprio all’inizio”, dice.

L’innesco è solo il primo di molti passi intricati che il fulmine compie lungo la strada verso il suolo. “Non sappiamo come si propaga e cresce”, aggiunge Hare. “Non sappiamo come si collega al suolo”. Gli scienziati sperano di mappare l’intera sequenza con la rete LOFAR. “È una capacità completamente nuova, e penso che aumenterà la nostra comprensione dei fulmini a passi da gigante”, commenta Julia Tilles, studiosa dei fulmini al Sandia National Laboratories, nel New Mexico.

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